Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-04-2011) 10-06-2011, n. 23400

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 14/07/2010, la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza del 3/12/2009 nella parte in cui il Tribunale di Savona aveva ritenuto C.L. responsabile dei delitti di tentata estorsione (capo a) e furto (capi f – g) ai danni di B. N.M.. p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. ILLOGICITA’ DELLA MOTIVAZIONE in ordine alla ritenuta sussistenza del reato sub a) per avere la Corte, del tutto immotivatamente, ritenuto la parte lesa B. in alcuni frangenti inattendibile ed in altri no, senza procedere ad una reale rielaborazione critica di quanto essa aveva globalmente narrato.

2. VIOLAZIONE dell’art. 624 c.p. per avere ritenuto che nella condotta tenuta fossero ravvisabili gli estremi del furto, laddove il fine di esso ricorrente non era quello del profitto ma "quello di creare un disagio alla B. o di avere una scusa per avvicinarla".
Motivi della decisione

p.3. illogicità della motivazione: la censura è manifestamente infondata.

La doglianza proposta in questa sede la medesima dedotta in appello che, però, la Corte territoriale, ha disatteso con ampia motivazione osservando che la parte lesa doveva ritenersi attendibile e che le sue dichiarazioni non erano state smentite dal suo datore di lavoro ( L.V.) il quale le aveva sostanzialmente confermate nonostante le dichiarazioni rese fossero in parte reticenti a causa del fatto che l’imputato lo aveva intimorito.

Le censure, quindi, riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento": infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745;

Cass. 2436/1993 rv 196955.

Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze:

ex plurimis SSUU 24/1999. p.4. violazione dell’art. 624 c.p.: anche la suddetta censura, riproposta in questa sede, è stata disattesa dalla Corte territoriale che ha rilevato che "pure in tale prospettiva minimalista è da ravvisarsi il fine del profitto, fine connesso con un’utilità di carattere anche non economico".

La suddetta motivazione deve ritenersi congrua ed adeguata rispetto agli evidenziati elementi fattuali e del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità: di conseguenza, la censura, va disattesa stante anche la sua genericità ed aspecificità rispetto alla suddetta motivazione. p.5. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *