Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 10-06-2011, n. 23394

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 14.5.2010 la Corte d’Appello di Genova in parziale riforma della sentenza in data 19.11.2008 del Tribunale di Savona sez. distaccata di Albenga pronunciata nei confronti di B. N. accoglieva l’appello del Procuratore Generale e per l’effetto escludeva la concessa attenuante di cui all’art. 648 cpv. c.p. ed aumentava la pena inflitta all’imputato.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. D) mancata assunzione di una prova decisiva. Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado non aveva sentito P.P., persona offesa e teste del P.M. formalmente ammesso, senza avere revocato l’ordinanza di ammissione e in assenza di rinuncia del P.M.: consentita dalla difesa e che la Corte d’Appello aveva negato la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riguardo al teste negato;

2. violazione dell’art. 606, lett. E) mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Contesta il ricorrente il riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato sulla scorta della deposizione di V.S. resa in sede di indagini e del comportamento processuale del B. rimasto contumace. Sottolinea l’inattendibilità delle dichiarazioni resa dal V.;

3. violazione dell’art. 606, lett. E) mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’esclusione dell’attenuante di cui al capo verso dell’art. 648 c.p..

Con riferimento alla prova testimoniale di P.P., richiesta dal P.M. ed ammessa dal giudice di primo grado, ma poi non espletata, e riproposta al giudice di appello con richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale – motivi primo e secondo del ricorso – va detto che ai sensi dell’art. 190 c.p.p., comma 3 e art. 495 c.p.p., comma 4, il giudice ha certamente il potere di revocare prove già ammesse quando le ritenga superflue e le parti hanno il potere di rinunciarvi.

Nel primo caso il giudice deve sentire le parti, mentre nel secondo è necessario il consenso anche dell’altra parte.

Deve però sottolinearsi che la presenza delle parti nella fase dibattimentale, dove trova massima espressione il principio del contraddittorio, non è una presenza meramente passiva.

Da ciò discende che le parti processuali presenti al dibattimento possono interloquire non solo quando sono specificamente interpellate dal giudice in ordine a precise questioni, ma debbono far valere gli interessi di cui sono portatori con tutti i poteri che il codice loro concede. E’ evidente che, nel momento in cui il giudice di primo grado invita le parti alla discussione, ha ritenuto esaurita l’assunzione delle prove, in tale momento le parti interessate ben avrebbero potuto sollecitare l’assunzione di testimoni non escussi, evidenziando all’organo giudicante la non completezza dell’istruttoria dibattimentale.

Nel caso in esame è indubbio che le parti nulla hanno osservato quando sono state invitate a discutere sugli esiti della istruttoria dibattimentale e si può ritenere, tenuto conto delle valutazioni espresse con la sentenza di primo grado, che vi sia stata da parte del giudice una implicita revoca della prova già ammesse per la sua superfluità ai fini del decidere.

Deve aggiungersi, come già osservato da questa Corte, che tale nullità, a regime cd. intermedio, deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2" (cfr.

Sez. 3, 6/12/2005 n. 816, Guatta; Sez. 3, 12/2/2009 n. 20128, Bisiol Cass. Sez. 3 n. 8159/2009; Cass Sez. 3 n. 24302/2010). Invero, il diritto alla prova, previsto dall’art. 190 c.p.p., nel vigente sistema processuale caratterizzato dalla dialettica e dall’impulso delle parti, implica anche il principio di disponibilità della prova medesima:

pertanto, in presenza di un comportamento concludente di rinuncia alla prova ammessa, non è neppure necessario un provvedimento formale di revoca.

Alle stesse conclusioni si deve pervenire per quanto concerne la richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale sia perchè, per le ragioni già esposte, la decisione della Corte Territoriale non appare illogica quando ipotizza una rinuncia alla prova della parte interessata proprio per il silenzio serbato quando era ancora possibile la escussione dei testi, sia per la superfluità della prova tenuto conto dei motivi della decisione.

Infine le questioni in discussione si possono porre in sede di legittimità soltanto quando la prova non assunta sia decisiva, carattere di decisività che certamente non possiede la prova in argomento. Il P. si era infatti, limitato a denunciare il furto del portafogli, dove era contenuto il libretto degli assegni, furto avvenuto in (OMISSIS).

Il motivo in argomento è pertanto infondato.

Generiche e versate in fatto sono le censure formulate con il secondo motivo di ricorso. Nel caso in esame la ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti.

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata Quanto alla esclusione dell’attenuante di cui al capoverso dell’art. 648 c.p., questo collegio ritiene di condividere le argomentazioni della Corte territoriale: il giudizio complessivo sul "fatto", come operato dalla Corte di appello, appare privo di vizi logici e ancorato a sicuri elementi fattuali (valore economico apprezzabile, negoziazione dell’assegno diretta alla realizzazione di una truffa) entità che ben possono essere utilizzati dal giudice nella complessiva valutazione demandatagli dal legislatore con riferimento alla fattispecie in esame.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *