Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-10-2011, n. 21415 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 22 aprile 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da B.M. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania. Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per il riconoscimento della qualifica funzionale e del trattamento economico corrispondenti alle funzioni effettivamente esercitale.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1994. non si era ancora concluso, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo all’ordinaria complessità della controversia, non coinvolgente questioni di rilievo tale da richiedere uno straordinario sforzo di efficienza all’apparato giudiziario; sulla base dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha quindi liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 15.750,00, pari ad Euro 1.500.00 per ogni anno di ritardo, negando invece il riconoscimento di un ulteriore importo forfetario, condannando il Ministero al pagamento dei due terzi delle spese processuali, e dichiarando compensato tra le parti il residuo.

2. – Avverso il predetto decreto il B. propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha immotivatamente riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte CEDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della legge n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass., Sez. 1, 23 novembre 2010. n. 23654;

14 febbraio 2008, n. 3716).

2. – Sono poi in parte inammissibili, in parte infondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento dei bonus di Euro 2.000.00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retributivo, senza fornire alcuna motivazione.

2.1. – L’espresso diniego di tale maggiore importo da parte della Corte d’Appello rende infatti privo di qualsiasi giustificazione il richiamo del ricorrente all’art. 112 cod. proc. civ. riferibile all’ipotesi di omessa pronuncia e non anche a quella in cui il giudice di merito abbia preso in considerazione la domanda e l’abbia rigettata, sia pure senza motivare (o motivando inadeguatamente) la decisione adottata (cfr. Cass., Sez. 1 24 febbraio 2006. n. 4201).

Quanto al vizio di motivazione, si osserva che l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte CEDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa affatto che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò implichi uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009. n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1, 28 gennaio 2010. n. 1893; 28 ottobre 2009. n. 22869).

3. – Sono invece parzialmente fondati il sesto ed il settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli arti. 91 e 92 cod. proc. civ. nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, nonostante l’accoglimento delta domanda, ha dichiarato parzialmente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivazione.

3.1. – Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009. e ad esso si applica pertanto l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dall’ari. 45, comma undicesimo, della L. 18 giugno 2009, n. 69, il quale, nel richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3, 30 marzo 2010, n. 7766: Cass., Sez. lav. 31 luglio 2009, n. 17868).

Nella specie, peraltro, tale operazione interpretativa non è neppure necessaria avendo la Corte d’Appello espressamente enunciato le ragioni della propria decisione mediante il riferimento alla natura seriale della controversia ed al comportamento processuale del Ministero, che non si era opposto alla domanda. Tali circostanze non appaiono peraltro sufficienti a giustificare l’esonero neppure parziale dell’Amministrazione dall’obbligo di rifondere le spese processuali, non essendo la mancata resistenza del convenuto con figurabile di per sè come acquiescenza alla pretesa dell’attore, e dipendendo pur sempre da una colpa organizzativa dell’Amministrazione della giustizia la necessità per il privato di ricorrere al giudice, (cfr. Cass., Sez. 1 22 gennaio 2010, n. 1101; 30 dicembre 2009. n. 27728).

4. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, nei limiti segnati dai motivi accolti, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la condanna del Ministero al pagamento integrale delle spese del giudizio di merito, che si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore anticipatario.

5. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore anticipatario.
P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il sesto ed il settimo motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 560.00, ivi compresi Euro 300,00 per onorario, Euro 200.00 per diritti ed Euro 60.00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario; condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 400.00, ivi compresi Euro 300,00 per onorario ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

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