CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – 24 novembre 2010, n. 23818 – Pres. Trifone – est. Uccella. In tema di azione revocatoria.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Per quel che ancora interessa in questa sede, va posto in rilievo che, in virtù di pregressa sentenza emessa all’esito di giudizio promosso da M. G. nei confronti dei coniugi promettenti alienanti F. e D.V., è stata accertata, in via definitiva, la sussistenza del credito dell’attore alla restituzione della somma di dieci milioni di lire, versata al F. in acconto del prezzo pattuito nel contratto preliminare di alienazione del 7 agosto 1982, avente ad oggetto il medesimo immobile successivamente venduto con patto di riservato dominio a Leonardo L.P., con atto pubblico per notar Gu. del 15 luglio 1983.
L’acquirente, in pagamento del prezzo pattuito di trentuno milioni di lire (inferiore a quello concordato nel suddetto preliminare, cui la parte promittente non aveva dato esecuzione), versava in acconto la somma di lire 3.400.000 e, per la differenza, rilasciava titoli cambiari ciascuno dell’importo di lire 1.200.000.
Con citazione del 15 dicembre 1984 M. G., premesso che gli obbligati coniugi non intendevano restituirgli l’acconto, li conveniva in giudizio, in uno con l’acquirente L.P., ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., assumendo che il suddetto atto di disposizione patrimoniale era stato posto in essere in pregiudizio del suo diritto di credito.
Il tribunale rigettava la domanda e la decisione, sull’impugnazione del soccombente, era confermata dalla Corte d’appello di Bari con la sentenza quivi denunciata.
I giudici dell’appello argomentavano in base alle seguenti considerazioni:
a) l’atto dispositivo non poteva avere arrecato alcun pregiudizio alle ragioni del creditore, in quanto l’avvenuta alienazione del bene con riserva di proprietà non poteva avere prodotto una riduzione del patrimonio del debitore, il quale, piuttosto, ne risultava addirittura accresciuto sino al momento in cui, con l’avvenuto pagamento dell’ultima rata del prezzo, non si fosse verificato l’acquisto della proprietà del bene da parte del compratore;
b) il creditore avrebbe potuto ottenere misure cautelari a garanzia del suo credito, tanto sul compendio immobiliare oggetto della vendita con riserva di proprietà, quanto presso il terzo acquirente L.P.;
c) il pregiudizio alle ragioni del creditore era da escludere anche perché a M. G. era concesso un ampio spatium deliberandi per cautelare il suo diritto di credito;
d) la prevista riserva di proprietà rendeva palese la buona fede dell’acquirente;
e) al minor prezzo convenuto per la vendita al L.P. (rispetto a quello dell’inadempiuto contratto preliminare stipulato con G. M.) non poteva assegnarsi il significato di dolosa preordinazione dell’atto di vendita in danno del creditore, dato che la riduzione del prezzo era stata determinata dal fatto che altro notaio aveva, in precedenza, rifiutato di stipulare l’atto pubblico di alienazione.
Con il primo mezzo d’impugnazione – deducendo l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia nonché la violazione del combinato disposto degli artt. 1323 e 2644 cod. civ. – il ricorrente assume che una vendita con riserva di proprietà costituisce sempre ed in ogni caso una diminuzione del patrimonio del debitore, che, rendendo più difficile il soddisfacimento del credito, per ciò stesso arreca un pregiudizio alle ragioni del creditore.
Aggiunge che, seppure l’immobile rimane nel patrimonio dell’alienante sino al momento in cui l’acquirente ne ottiene la proprietà con il pagamento dell’ultima rata del prezzo e può, perciò, sino a detto momento, essere sottoposto a misura conservativa immobiliare in danno dell’alienante e a garanzia del credito, la trascrizione dell’eventuale sequestro conservativo non potrebbe prevalere sull’antecedente trascrizione della vendita con riserva di proprietà, onde, sotto tale aspetto, la concessione della misura cautelare non realizza lo scopo di evitare al creditore il pregiudizio delle sue ragioni.
Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia nonché la violazione della norma di cui all’art. 1997 cod. civ. – il ricorrente critica la statuizione del giudice del merito circa la possibilità offerta al creditore di richiedere misura conservativa del credito presso il terzo L.P. e segnala che detta misura si sarebbe potuta realizzare solo con l’apprensione delle cambiali presso il venditore F., ai sensi della indicata norma, alla condizione, tuttavia, che i titoli di credito non fossero stati intanto azionati con girata a terzi e che l’ufficiale giudiziario li avesse rinvenuti presenti nella disponibilità del creditore.
Le due censure – che sono strettamente connesse e che, perciò, ben possono essere esaminate congiuntamente – sono fondate, risolutivo essendo al riguardo richiamare il principio, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità (ex plurimis: Cass., n. 1697/2007; Cass., n. 3470/2007; Cass., n. 16986/2007; Cass., n. 7767/2007), a mente del quale ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, ma è sufficiente che tale atto abbia determinato maggiore difficoltà od incertezza nell’esecuzione coattiva del credito medesimo, potendo l’eventus damni consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, consistente nella dismissione di beni, ma anche in una variazione qualitativa di esso, conseguente anche nella conversione del patrimonio in beni facilmente occultabili (Cass., n. 4578/98).
La vendita con riserva di proprietà – negozio giuridico perfettamente concepibile anche quando l’alienazione ha ad oggetto un bene immobile – realizza l’esigenza di facilitare gli scambi, agevolando gli acquisti da parte di coloro i quali non sono in grado di versarne a pronti contanti il corrispettivo.
Sul piano pratico detta vendita conferisce all’acquirente il notevole vantaggio di ottenere in consegna la cosa, di usarne nel proprio interesse e di pagarne il prezzo dilazionato in scadenze successive, all’uopo destinando anche gli eventuali frutti ricavabili dal godimento della cosa stessa, pur continuando questa, ai sensi dell’art. 1523 cod. civ., ad essere in proprietà dell’alienante donec pretium solvetur.
Dal momento in cui ha ricevuto in consegna la cosa, inoltre, la stessa norma pone a carico dell’acquirente tutti i rischi e gli oneri inerenti al diritto di proprietà.
In virtù della richiamata disciplina, ferma la qualificazione del negozio come contratto istantaneo ad effetti reali differiti, in dottrina, circa la natura giuridica dell’istituto, sono state prospettate la tesi del contratto sospensivamente condizionato; quella della vendita obbligatoria; l’altra del diritto di proprietà del venditore limitato, medio tempore, dal concorrente diritto del compratore; quella, infine, che – dichiaratamente rifiutando ciò che ritiene una finzione dell’ordinamento ed assegnando, invece, al dato terminologico la valenza di mero richiamo dell’originaria formula pratica della conservazione della proprietà sino al pagamento del prezzo – riconosce nella conservazione della proprietà al venditore sino all’integrale pagamento del prezzo il contenuto tipico della garanzia con finalità recuperatoria per l’ipotesi di risoluzione del contratto a seguito dell’inadempimento del compratore.
La dottrina neppure concorda sul fatto se il bene alienato, sino a quando non si verifichi il completo adempimento del compratore, sia o meno sottratto alla garanzia dei creditori del venditore, divisa, com’è, tra l’opinione che costoro non possano espropriare in danno dell’alienante la cosa venduta con il patto di riservato dominio (beninteso sino a quando sia operante la riserva di proprietà) e coloro, invece, che, non essendovi una espressa norma di legge che autorizzi la deroga ai principi generali di cui all’art. 2740 cod. civ. e artt. 543 e ss. cod. proc. civ., considerano possibile l’aggressione del bene medesimo presso il compratore.
Per altro verso, ove dall’analisi sul piano giuridico attinente alla sistemazione dogmatica dell’istituto si passi a considerare l’aspetto di puro fenomeno economico della vendita con riserva di proprietà, è di tutta evidenza come, nel corso della fase temporale in cui si svolge l’attuazione del rapporto obbligatorio, al progressivo ampliamento della sfera patrimoniale del compratore, per effetto del pagamento che egli compie delle singole rate del prezzo, corrisponde l’altrettanto progressiva e conseguente riduzione del patrimonio del venditore per la diminuzione del valore del bene alienato, riduzione che, quando anche non giunga, soluto pretio, alla totale fuoriuscita del bene dal suo patrimoni, si concreta, comunque, nell’obbligazione di restituire le rate riscosse, secondo un importo di norma superiore a quello dell’equo compenso dovutogli (art. 1526 c.c., commi 1 e 2).
Orbene, sulla scorta di quanto innanzi rilevato (ove anche non si ritenga di non poter accogliere la tesi che nega ai creditore del venditore con patto di riservato dominio la possibilità di aggredire esecutivamente il bene alienato, nella fondatezza della quale la sussistenza dell’eventus damni, ai fini dell’art. 2901 cod. civ., non avrebbe certamente bisogno di ulteriori conferme), un depauperamento del patrimonio del debitore nel suo complesso, per effetto di avvenuta alienazione di suoi beni ai sensi dell’art. 1523 cod. civ., risulta comunque sussistente, non solo quando delle cose alienate con patto di riservato dominio il compratore sia divenuto proprietario, ma anche quando, non essendosi perfezionata per il compratore la fattispecie acquisitiva della proprietà, sul venditore vengono a riversarsi oneri aggiuntivi per effetto della nascita a suo carico di obbligazioni restitutorie, tenuto conto pure del fatto che questo giudice di legittimità ha, altresì, precisato che anche la trasformazione di un bene in un altro che sia meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del danaro, realizza il pericolo di danno costituito dall’eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (Cass., n. 7262/2000).
Né assume rilevanza ai fini dell’esclusione dell’eventus damni, contrariamente a quanto ipotizza al riguardo la sentenza impugnata, l’argomento secondo cui al creditore, che voglia evitare il pregiudizio delle sue ragioni, è data, medio tempore e a garanzia del suo diritto, la possibilità di ottenere la concessione della misura cautelare reale del sequestro conservativo dell’immobile alienato con patto di riservato dominio e di assicurarne gli effetti con la trascrizione.
Invero, perché siffatta misura cautelare possa produrre realmente i suoi effetti, stante la già avvenuta obbligatoria trascrizione della vendita unitamente con nota contenente la clausola della riserva di proprietà (art. 2659 c.c., n. 4), occorre che l’acquirente non completi il pagamento del prezzo e che venga meno, perciò, la condizione del trasferimento della proprietà all’acquirente.
In caso contrario, il definitivo acquisto della proprietà da parte dell’acquirente integrerebbe causa di inoperatività del sequestro concesso al creditore dell’alienante, dato che la misura cautelare deve necessariamente intendersi essa pure operante alla condizione che non ne risulti travolto il diritto dell’acquirente al definitivo trasferimento a suo favore della proprietà dell’immobile.
Il che costituisce un principio connaturato alle caratteristiche dello stesso negozio ex art. 1523 cod. civ., che, sebbene non enunciato dal codice civile (che non contempla espressamente la sorte dei creditori del venditore), trova conferma nella regola specifica della legge fallimentare, che all’art. 73, 2 comma, stabilisce che la dichiarazione di fallimento del venditore non scioglie il contratto di vendita con riservato dominio, che continua, quindi, a svolgersi nei confronti dell’amministrazione fallimentare, che resta creditrice delle rate alle pattuite scadenze e che, con il pagamento dell’ultima, non può più vantare alcuna pretesa sul bene alienato.
Con il terzo mezzo – deducendo il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia – il ricorrente lamenta che il giudice del merito avrebbe del tutto omesso di valutare la testimonianza di Michele Albergo, il quale aveva riferito che Leonardo L.P. era a conoscenza che P.F. era protestato e che il capannone non era in regola, circostanze che avrebbero dovuto indurre il giudice del merito a ritenere che l’acquirente dell’immobile, alienatogli dopo che il credito alla restituzione dell’acconto era già sorto, era a conoscenza del pregiudizio che derivava ad esso creditore.
Anche questa censura è fondata.
Premesso che nella fattispecie il giudice del merito ha accertato che la pretesa creditoria di M. G. era anteriore sia al riconoscimento con sentenza definitiva dell’entità del credito e sia all’atto di alienazione oggetto dell’esperita actio pauliana, essendo la relativa sua ragione sorta a seguito del rifiuto opposto dal notaio alla stipulazione del definitivo siccome avente ad oggetto una res illecita (pagg. 6 e 7 della sentenza della Corte territoriale), è del tutto pacifico che la prova della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuiva la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori ben può essere tratta da elementi indiziari, ad integrare i quali non doveva essere ignorata il contenuto della prova testimoniale, nella parte in cui il teste Michele Albergo ha dichiarato le circostanze innanzi indicate.
Il giudice del rinvio, che si indica nella medesima Corte di appello di Bari in diversa composizione ed a cui è rimessa anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione, nel riesame della questione quanto all’accertamento dell’eventus damni, si atterrà al seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., la vendita con patto di riservato dominio comporta sempre un depauperamento del patrimonio del debitore nel suo complesso, sia per l’ipotesi in cui delle cose alienate il compratore diviene proprietario con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, sia per il caso in cui non giunge a conclusione per il compratore la fattispecie acquisitiva della proprietà e, a carico del venditore, sorge l’obbligazione di restituzione delle rate riscosse, tenuto conto, altresì, del fatto che il danaro corrispondente alle rate riscosse, per sua natura meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, non elimina il pericolo di danno costituito dall’eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva”.
Il giudice del rinvio, inoltre, circa l’accertamento della conoscenza da parte del terzo del pregiudizio che l’atto di alienazione arrecava alle ragioni del creditore, dovrà valutare, unitamente a tutti gli altri elementi indiziari, il contenuto della deposizione del teste Michele Albergo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

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