Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-10-2011, n. 21412

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

volgimento del processo

Z.S. nel 1997 convenne innanzi al Tribunale di Brescia il Credito Agrario Bresciano – presso il quale aveva a suo tempo costituito un conto di amministrazione titoli – affermando che le era dalla Banca giunta notizia della costituzione di una lettera di pegno 11.3.1996 a sua firma, con la quale erano stati costituiti in pegno i titoli in deposito, e che dalla stessa Banca era quindi pervenuta il 4.6.1997 lettera di richiesta di pagamento della somma di L. 31.856.000 a rientro dei conti sui quali era stato costituito pegno in favore della soc. Kromatek: poichè la Z. negava la sussistenza di quei conti e di alcuna costituzione di pegno, chiese la condanna alla restituzione delle somme sussistenti sul conto da ella aperto a suo tempo. La Banca si costituì affermando che di contro emergeva che la Z., moglie del commercialista della società Kromatek, aveva accettato di apparire terzo datore di pegno ed all’uopo aveva versato gli assegni con i quali erano stati acquisitati i titoli poi dati in pegno. Il Tribunale, preso atto della tesi della Z. per la quale i documenti le erano stati fatti sottoscrivere in bianco e delta assenza di alcuna prova in tal senso, ed anzi le prove assunte militando in senso contrario, con sentenza 27.10.2003 rigettò la domanda ed accolse la riconvenzionale della Banca. La sentenza venne impugnata dalla Z. e si costituì il Banco di Brescia s.p.a.(già Credito Agrario) e la Corte di Brescia con sentenza 14.3.2007 rigettò il gravame, affermando in motivazione che la tesi afferente il malgoverno delle deposizioni Za. e M. era inconsistente, che il Tribunale aveva infatti rettalmente considerato reticente la deposizione del secondo, anche perchè viziata dal ruolo personale svolto nella vicenda, che l’attrice aveva totalmente fallito rispetto all’onere di dare prova dei patti sottostanti le evidenze delle scritture recanti la sua firma, che a nulla valeva eccepire e rilevare il preteso ruolo connivente della Banca, che meritava quindi condivisione anche il capo della prima decisione di accoglimento della riconvenzionale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso con tre motivi la Z. con atto del 28.4.2008 resistito da controricorso 21.5.2008 di Banco di Brescia San Paolo Cab (che ha eccepito la assenza del requisito dei quesiti di diritto). La Z. in memoria ha replicato alle eccezioni di controparte.
Motivi della decisione

I tre motivi denunziano violazione della regola sull’onere probatorio (il primo), falsa applicazione del principio di specificità dei motivi di appello (il secondo) e scorretta applicazione del principio di non contestazione, considerata senza porre attenzione alla implicita contestazione formulata nella memoria ex art. 183 c.p.c. (il terzo). In particolare, il terzo motivo pur rubricato come denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 va ritenuto contenere la denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, non essendo configurabile alcun vizio di motivazione nella valutazione del fatto le volte in cui, come in motivo contestato, venga lamentata la errata lettura degli atti processuali di parte.

Si tratta, dunque, all’evidenza, di tre censure di scorretta applicazione di legge sostanziale e processuale.

Esse difettano totalmente del requisito applicabile ratione temporis, quello di cui all’art. 366 bis c.p.c., come eccepito. E che tal requisito sia applicabile, con riguardo alla impugnata sentenza 14.3.2007 e pur in sede di decisione di legittimità da assumere dopo l’abrogazione della menzionata disposizione, è dato indiscutibile alla luce del principio posto dalle recenti pronunzie di questa Corte (Cass. n. 7119 e n. 20323 del 2010) alle quali il Collegio intende dare seguito e che la difesa della ricorrente, in memoria, mostra di ignorare.

Quanto all’argomento, anch’esso inserito nella memoria finale, per il quale il quesito sarebbe comunque "desumibile" dalla lettura del ricorso, esso deve essere recisamente disatteso alla luce dei principii da ultimo formulati in S.U. n. 14611 del 2011 e Cass. 1639 del 2010). L’inammissibilità del ricorso segue quindi indiscutibilmente. Essa comporta la condanna della ricorrente alla refusione delle spese in favore della controricorrente (senza che si scorgano i profili per pronunziare condanna per responsabilità aggravata, come sollecitato dal P.G.).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere alla controricorrente le spese di giudizio per Euro 2.700 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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