Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-10-2011, n. 21409 Opere pubbliche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione dell’11/5/2002 il Ministero della Difesa conveniva in giudizio innanzi alla Corte d’appello di Roma l’Associazione Temporanea fra le imprese Impregilo (mandataria), Ferrocemento Recchi, Giudici e Casali Costruzioni s.p.a. e Nuova Cavaglia s.p.a., proponendo appello avverso la sentenza (di cui sollecitava l’integrale riforma) con la quale il Tribunale di Roma lo aveva condannato al pagamento in favore della detta associazione della somma di L. 1.222.098.000, a titolo di interessi per ritardati pagamenti afferenti ai lavori di costruzione della Nuova Scuola Allievi Carabinieri di (OMISSIS), che erano stati commissionati con contratto del 10/9/90.

Determinatosi il contraddittorio, parte appellata contestava l’ammissibilità dell’appello, chiedendone nel merito il rigetto in quanto infondato, sollecitazione che veniva accolta dalla Corte territoriale, che per l’appunto decideva in conformità.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Difesa e l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso l’Impregilo, che ha a sua volta proposto ricorso incidentale condizionato, con il quale ha fra l’altro eccepito l’inammissibilità del ricorso, e successivamente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione

Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. e prendendo dapprima in esame il ricorso principale, si osserva che con i motivi di impugnazione i ricorrenti principali hanno denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, rispettivamente sotto i seguenti aspetti:

a) con riferimento agli artt. 201 e 345 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile, perchè effettuata in sede di gravame, la produzione della relazione tecnica di parte, includente prospetti di conteggi asseritamente comprovante la somma dovuta dall’Amministrazione;

b) in relazione al computo degli interessi moratori sulle somme liquidate a vario titolo all’appaltatore.

L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso, dedotta per la sua avvenuta proposizione non già da parte del Ministero della Difesa, che aveva viceversa partecipato al giudizio di merito, ma da due diverse Amministrazioni, vale a dire il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, è fondata limitatamente a quest’ultima, atteso che, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, la legittimazione al ricorso per cassazione spetta esclusivamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte alla stregua delle risultanze della decisione impugnata, onde la stessa deve essere negata quando tale partecipazione non vi sia stata, come verificatosi per la detta Agenzia.

Ne consegue dunque, per quest’ultima, l’inammissibilità della proposta impugnazione, senza che rilevi in senso contrario l’eventuale veste di litisconsorte sostanziale indebitamente pretermesso (C. 10/25344, C. 06/3688, C. 94/9753).

Diversamente deve invece dirsi per l’altro ricorso, poichè se è vero che lo stesso risulta formalmente proposto dal Ministero della Difesa (e non da quello dell’Economia, che aveva preso parte ai giudizi di merito), è pur vero che si tratta di evidente errore materiale, come desumibile dalla circostanza che nel corpo del ricorso l’Avvocatura Generale dello Stato ha costantemente richiamato (per ben cinque volte) il Ministero dell’Economia, che va quindi inteso come l’effettivo soggetto impugnante.

Se l’eccezione pregiudiziale va dunque disattesa per quanto concerne il Ministero della Difesa, il ricorso dallo stesso proposto risulta ugualmente inammissibile. Ed invero, quanto al primo motivo, se ne rileva l’assoluta genericità e la sua inadeguatezza rispetto alla ragione della decisione.

La Corte di appello ha infatti ritenuto ammissibili sia le critiche contro la consulenza contabile espletata in primo grado (interpretate come "mere argomentazioni… sempre possibili") che "la produzione del detto mandato (quello informatico, con i relativi conteggi) atteso che il divieto di ammissione di nuove prove in appello .. riguarda solo le prove costituende", ritenendo comunque le censure infondate nel merito, per non essere state in precedenza contestate le risultanze della consulenza tecnica (implicitamente condivise) e per essere qualificabili i prospetti posti a base della censura non già come prova documentale (che non sarebbe incorsa nel divieto di cui all’art. 345 c.p.c., all’epoca vigente), e che avrebbe dovuto essere qualificata come relazione tecnica di parte, che in quanto tale avrebbe dovuto essere depositata nel primo giudizio.

Orbene, a fronte delle specifiche indicazioni sopra richiamate il ricorrente si è limitato ad affermare la diversa valenza attribuibile ai prospetti in questione (che sarebbero stati interpretabili unicamente come utile strumento di riepilogo delle conclusioni svolte) e l’inapplicabilità delle preclusioni previste per i mezzi di prova alle consulenze tecniche di parte, ed a prospettare quindi argomentazioni inidonee a censurare adeguatamente la sopra indicata ragione della decisione.

A conclusioni sostanzialmente analoghe deve pervenirsi per quanto concerne il secondo motivo di ricorso.

Al riguardo va considerato che il Ministero ha sostanzialmente lamentato l’omessa indicazione, da parte della Corte di appello, dei dati che avrebbero dovuto sorreggere le conclusioni rappresentate, doglianza che nella sua astrattezza potrebbe presentare profili di fondatezza.

La Corte di appello, infatti, nel prendere in esame i diversi titoli sulla base dei quali erano stati richiesto il riconoscimento degli interessi moratori, pur facendo specifici riferimenti per ciascuno di essi, si è espressa in termini di assoluta sinteticità ed in termini non sempre connotati della necessaria chiarezza.

Tuttavia la parziale riproposizione, da parte del ricorrente, delle censure già prospettate in sede di gravame, sulle quali la Corte territoriale non avrebbe dato risposta soddisfacente, non consente di esprimere un giudizio di fondatezza sulla doglianza prospettata, e ciò sotto un duplice aspetto, vale a dire sia poichè il motivo non è corredato della esplicitazione di tutti i dati che sarebbero stati invece necessari per una corretta comprensione della critica avanzata (in particolare il ricorrente avrebbe dovuto a tal fine precisare quali erano le richieste della Impregilo, quali le relative causali, quale la valutazione del consulente tecnico di ufficio, quale il profilo di erroneità riscontrato in relazione a ciascuno dei titoli di credito da questi considerato, quale il profilo di correttezza che viceversa il consulente avrebbe dovuto seguire, quale il motivo fondante della pretesa correttezza del diverso computo seguito), sia perchè la delibazione dei rilievi formulati richiederebbe valutazioni in fatto inammissibili in questa sede di legittimità, valutazioni che appaiono essenzialmente incentrate sull’asserita erroneità dell’elaborazione, da parte del consulente tecnico di ufficio, dei dati risultanti dalla documentazione contabile, per di più in un quadro fattuale, come detto, non compiutamente rappresentato.

Il ricorso principale, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.

Quanto al ricorso incidentale, articolato in due motivi con i quali era stata denunciata violazione di legge per l’inammissibilità delle deduzioni in appello contro la consulenza tecnica di ufficio (primo motivo) e per l’avvenuta produzione in tale sede del mandato informatico (secondo motivo), lo stesso è stato proposto in via subordinata, e resta pertanto assorbito dall’esito negativo del ricorso principale.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale consegue la condanna in solido dei ricorrenti, soccombenti, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili quelli principali, assorbito l’incidentale e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.000, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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