Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-03-2011) 10-06-2011, n. 23377

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18.2.2010 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo in data 23.2.2009, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante riduceva la pena originariamente inflitta a mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Si tratta di una tentata rapina ai danni di B.A. A.. Il ricorrente veniva inizialmente avvicinato in un luogo ove numerose donne esercitavano la prostituzione da una donna che gli sottraeva una banconota da 100 Euro. Quindi l’uomo si appartava in macchina con altra donna e la minacciava con un cacciavite presso dal portaoggetti di una portiera minacciandola e chiedendole di consegnargli il denaro che aveva con sè. La donna fuggiva ed avvisava i C.C. che scoprivano nella vettura un cacciavite. La Corte rilevava che i verbalizzanti avevano effettivamente trovato il cacciavite della portiera nel posto indicato dalla parte lesa e che l’imputato aveva ammesso di aver preteso, anche urlando, la restituzione della somma sottrattagli.

Nel ricorso si lamenta la carenza e la manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata: il ricorrente aveva ammesso solo di aver richiesto spiegazioni su chi gli avesse sottratto la banconota;

era rimasto sul posto in attesa delle forze dell’ordine, cosa che certamente ira inspiegabile ove avesse davvero commesso un tentativo di rapina. La presenza del cacciavite era stata ampiamente giustificata.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Va ricordato con riferimento al vizio di motivazione che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6^ 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.

207944, Dessimone). Ora la motivazione della Corte territoriale appare congrua e immune da vizi logici: la Corte ha ricordato che a carico del ricorrente sussistono le dichiarazioni rese dalla parte lesa che avvisò i C.C., riscontrate dal rinvenimento del cacciavite nella vettura nel posto segnalato dalla vittima e dalle ammissioni, sia molto parziali, dell’imputato di avere urlato nei confronti della p.o..

La motivazione, come detto, appare congrua e logicamente coerente, mentre le censure sono di mero fatto, inammissibili come tali in questa sede.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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