Cons. Stato Sez. V, Sent., 14-06-2011, n. 3606 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 2612/2010 il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, ha respinto il ricorso proposto da E. S. s.r.l. avverso gli atti con cui il comune di Cologne ha esercitato il riscatto degli impianti di pubblica illuminazione, in precedenza gestiti dalla società ricorrente.

E. S. s.r.l. ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Il comune di Cologne e la regione Lombardia si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione da parte di E. S. s.r.l., titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica situati nel comune appellato, degli atti con cui lo stesso comune ha deciso di esercitare il riscatto degli impianti ai sensi del R.D. n. 2578/1925 e del d.P.R. n. 902/1986.

Il giudice di primo grado ha ritenuto vigente la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15 ottobre 1925 n. 1568 ed al d.P.R.. n. 902/1986 e ha poi giudicato infondati i restanti motivi attinenti allo stato di consistenza e all’indennità, al subentro dei contratti e alla mancata contestuale indizione di una gara per l’affidamento del servizio.

E. S. s.r.l. contesta tali statuizioni e sostiene in primo luogo che la citata normativa avente ad oggetto l’esercizio del riscatto sarebbe stata implicitamente abrogata.

Il motivo è privo di fondamento.

Come correttamente rilevato dal Tar, la facoltà di riscatto non è stata abrogata dalla normativa sopravvenuta, ma è tuttora riconosciuta dall’ordinamento al fine di garantire al Comune la possibilità di individuare, attraverso una gara pubblica, il soggetto migliore cui affidare la gestione del servizio mediante concessione.

La finalità del riscatto non è, quindi, unicamente quella di consentire ai comuni l’assunzione diretta dei servizi, ma anche, e oggi soprattutto se non esclusivamente, quella di garantire la disponibilità degli impianti in modo da individuare la migliore modalità di gestione attraverso l’indizione di una pubblica gara, specie per affidamenti disposti oltre trenta anni fa senza alcuna procedura di evidenza pubblica.

In sede cautelare, questa Sezione ha già rilevato che la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15 ottobre 1925, n. 1568 ed al D.L. n. 902/1986 non risulta implicitamente abrogata per effetto della sopravvenuta disciplina poi recepita dal T.U. n. 267/00 nella misura in cui mira all’assicurazione, in capo agli enti locali, della proprietà degli impianti costituente presupposto indefettibile per l’indizione della procedura per l’affidamento del servizio pubblico ovvero per la relativa assunzione in house", (Consiglio di Stato, V, ord. 12 dicembre 2008 n. 6639, in cui è stato affermato anche che la giurisprudenza in senso contrario riguardante il diverso settore del gas, non è analogicamente estensibile alla fattispecie qui in esame).

Pur se riguardante il diverso settore del gas, anche la giurisprudenza costituzionale conferma che il riscatto è uno strumento finalizzato alla riorganizzazione del servizio in vista di un assetto più confacente alle esigenze della collettività (Corte Cost., 14 maggio 2008 n. 132).

In definitiva, deve ritenersi che permane, in capo agli enti locali, la facoltà di riscattare la proprietà degli impianti di illuminazione pubblica ai sensi della citata normativa.

3. Con ulteriore censura l’appellante deduce che il riscatto sarebbe avvenuto in modo irritale in assenza di un accordo delle parti sullo stato di consistenza, necessario per procedere alla determinazione della prevista indennità.

Anche tale motivo è infondato, in quanto l’esercizio del riscatto non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire in fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.

Come correttamente rilevato dal Tar, nel sistema delineato dalla legge e dalla convenzione stipulata tra il Comune e E., è prevista espressamente la possibilità, in caso di mancato accordo, di rimettere la questione ad un apposito collegio arbitrale, senza che il trasferimento degli impianti possa essere procrastinato ad un momento successivo all’avvenuta definizione e liquidazione dell’indennizzo dovuto.

Infatti, l’art. 24, comma 2, r.d. n. 2578/1925 prevede che "L’ammontare dell’indennità può essere determinato d’accordo fra le parti… In mancanza dell’accordo decide in primo grado, con decisione motivata, un collegio arbitrale composto di tre arbitri, di cui uno è nominato dal consiglio comunale, uno dal concessionario ed uno dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione è posto il comune" (ricorso all’arbitrato, previsto anche dagli art. 12 e ss. Del d.P.R. n. 902/1986, che si limita a prevedere – all’art. 11 – che "lo stato di consistenza costituisce la base per la determinazione dell’indennità di riscatto", senza assegnare allo stesso alcun valore di necessario presupposto per l’esercizio del riscatto).

La quantificazione e il pagamento dell’indennizzo, compreso il presupposto stato di consistenza, sono, quindi, questioni che esulano dall’oggetto della presente controversia, che è costituito dalla legittimità dell’esercizio del riscatto, che non è incisa da una eventuale contestazione dell’indennizzo dovuto.

4. Prive di fondamento sono anche le censure, con cui l’appellante deduce il vizio dello sviamento di potere, che risulterebbe integrato dall’aver il comune ingiunto la riconsegna degli impianti senza aver contestualmente bandito una nuova gara per l’affidamento del servizio.

Anche in questo caso si tratta di una questione che esula dalla verifica della legittimità dell’esercizio del riscatto, che si pone su un piano logico e temporale in un momento antecedente rispetto alle decisioni che l’amministrazione deve assumere per la successiva gestione del servizio.

Pur avendo il Tar fatto impropriamente riferimento ad un "periodo transitorio", si osserva come il riscatto e l’effettiva consegna degli impianti non può che precedere il successivo affidamento del servizio e come sia tecnicamente arduo, se non impossibile, immaginare l’indizione di una gara contestualmente al provvedimento di riscatto, senza avere certezze sui tempi di esecuzione del provvedimento, sulla consistenza dei beni e, quindi, su elementi in base ai quali vanno redatti gli atti della gara.

Ogni ulteriore considerazione, svolta dall’appellante nelle ultime memorie e in sede di discussione orale, attiene all’attività posta in essere dal comune dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati e non può costituire parametro per valutare la legittimità degli stessi, potendo al più essere oggetto di contestazione in separati giudizi, ove l’appellante ritenga leso il proprio interesse a concorrere per l’affidamento del servizio.

5. Le precedenti considerazioni conducono a ritenere priva di fondamento anche la censura relativa alla presunta illegittimità del subentro nei contratti da parte del comune, disposto ai sensi dell’art. 24, comma 9, del r.d. n. 2578/1925.

Accertato che non è possibile procedere contestualmente all’esercizio del riscatto e alla indizione di una gara, logica conseguenza comporta che le esigenze di continuità del servizio impongano al comune di entrare in possesso degli impianti, subentrando – ai sensi del citato art. 24, comma 9 – nei contratti in essere fino all’indizione e positiva conclusione di una nuova gara per l’affidamento del servizio.

Risulta, pertanto, chiaro che il citato art. 24, comma 9, non può ritenersi tacitamente abrogato con riferimento al servizio di pubblica illuminazione qui in esame.

Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che legittimamente l’amministrazione ha preteso il rilascio dei suddetti contratti, a nulla rilevando l’eventuale contenuto di dati sensibili (la riservatezza dei quali viene superata dalla previsione di legge del subentro nel contratto).

6. E’, infine, inammissibile – in quanto motivo nuovo proposto in appello – la censura attinente alla contestazione del potere di ordinanza del comune, anche inteso quale forma di esercizio dell’autotutela.

Il motivo è stato infatti sviluppato nel solo ricorso in appello con argomentazioni non presenti negli atti notificati in primo grado.

La censura è, comunque, infondata nel merito, in quanto l’ordinanza di ingiunzione alla consegna degli impianti costituisce atto meramente esecutivo dei precedenti provvedimenti, la cui legittimità è stata in questa sede confermata.

7. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, mentre ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese con la regione.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P., compensando le spese con la regione Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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