Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 10-06-2011, n. 23368

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 15 giugno 2010 la Corte di appello di Milano riformava la sentenza emessa in data 18 giugno 2009 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con la quale C. N., all’esito del giudizio abbreviato, era stato dichiarato colpevole dei reati di concorso in ricettazione, rapina aggravata e porto ingiustificato di un taglierino, reati accertati il primo e commessi gli altri due il 20 febbraio 2009, ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4 equivalenti e con la diminuente per il rito, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. La Corte territoriale riduceva la pena detentiva ad anni tre, mesi otto di reclusione.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di ricettazione dell’autovettura Nissan e, in particolare, alla consapevolezza della provenienza delittuosa del mezzo che era stato utilizzato, non dall’imputato che era alla guida di altra autovettura che faceva da "apristrada" a quella oggetto della contestata ricettazione, solo il 17 febbraio 2009 nel corso di una ricognizione effettuata dinanzi ad un istituto di credito preso di mira dal gruppo che aveva attuato la rapina del 20 febbraio successivo;

2) la manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di rapina aggravata, essendo l’imputato estraneo all’azione criminosa del 20 febbraio 2009, come sostenuto dai coimputati S. e Z. all’udienza di convalida dell’arresto ( S. aveva sostenuto che il C. si era limitato, il giorno della rapina, a dare a lui e allo Z. "un passaggio"; Z. aveva dichiarato che C. si era limitato ad accompagnarlo), desumendosi peraltro anche dall’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto che il C. era impegnato unitamente ai coimputati M. e M. (condannati anch’essi in primo grado) nella ristrutturazione di un negozio;

3) la mancanza e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 61 c.p., n. 2 e L. n. 110 del 1975, art. 4 essendo stato il taglierino utilizzato all’insaputa del C. dagli autori materiali della rapina;

4) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4 nonostante l’incensuratezza, in ragione unicamente della pericolosità sociale desunta delle ordinanze di custodia cautelare in data 3 novembre 2009 e 21 gennaio 2010 emesse nei confronti del ricorrente per fatti antecedenti (e non successivi, come erroneamente affermato nella motivazione della sentenza impugnata) alla condotta criminosa oggetto del presente procedimento.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Nella motivazione della sentenza impugnata il giudice di merito ha osservato che la prova della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di ricettazione si desumeva dal fatto che il C. il 17 febbraio 2009 si era recato all’appuntamento nel magazzino di (OMISSIS) ove lo attendeva lo Z. in compagnia dello S. e, all’uscita, si era messo alla guida dell’autovettura Opel che aveva fatto da apristrada all’autovettura Nissan (oggetto della contestata ricettazione) occupata dai coimputati S. e Z., i quali indossavano parrucche e abiti idonei al travisamento e dopo un sopralluogo avevano rinunciato alla rapina nella banca presa di mira allontanandosi a bordo della autovettura Nissan, seguita dal veicolo guidato dal C.. Lo stesso piano criminoso, questa volta portato a compimento, era stato ripetuto, presente ancora una volta il C. alla guida di un’autovettura, il 20 febbraio successivo ed anche in questo caso era previsto "l’utilizzo nell’interesse del gruppo criminale di un’auto non facilmente riconducibile agli autori della rapina". Dalle modalità della condotta si è quindi desunto che l’imputato fosse consapevole che l’autovettura Nissan, dovendo garantire l’impossibilità di risalire all’identità dei suoi occupanti, era di provenienza delittuosa. La Corte territoriale si è pertanto adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2^ 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2^ 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie).

Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Cass. Sez. Un. 26 novembre 2009 n. 12433, Nocera; sez. 1^ 17 giugno 2010 n. 27548, Screti), l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Nella motivazione della sentenza impugnata si è posta in rilievo, per giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine al reato di rapina, la stretta connessione operativa tra il C. e i coimputati S. e Z., autori materiali, tanto il 17 che il 20 febbraio 2009, e si è rilevato che dal verbale di arresto risultava che il giorno della rapina il C. – che (come si evince dalla dettagliata ricostruzione dei fatti riportata nella motivazione della sentenza di primo grado, cui il giudice di appello ha fatto richiamo) era alla guida dell’autovettura con la quale aveva accompagnato S. e Z. (travisati, tra l’altro, con parrucca) fino al parcheggio di Rozzano in cui si erano trasferiti su un’altra autovettura – era rimasto fermo in attesa nel parcheggio, ove il coimputato M. aveva tentato di raggiungerlo prima di dileguarsi alla vista dei Carabinieri. Il giudice di appello ha, infine, evidenziato che i coimputati Z. e S., pur cercando di alleggerire la posizione processuale del C., non avevano potuto negare che egli "forse aveva capito qualcosa". Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il terzo motivo è inammissibile per le medesime ragioni indicate relativamente al secondo motivo. L’uso del taglierino, con il quale dagli esecutori materiali era stata presa in temporaneo ostaggio una cliente per ottenere l’apertura delle porte di accesso dell’istituto di credito, è stato infatti ritenuto, con argomentazione logicamente coerente, compreso nel piano criminoso alla cui realizzazione il ricorrente aveva partecipato.

Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Al ricorrente sono state riconosciute dal giudice di primo grado sia le circostanze attenuanti generiche, per l’incensuratezza, che la circostanza attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4 per la speciale tenuità del danno patrimoniale subito dall’istituto di credito in cui era stata commessa la rapina, con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate. Dalle ordinanze di custodia cautelare eseguite il 3 novembre 2009, per delitti legati all’uso di armi e al traffico di sostanze stupefacenti, e il 21 gennaio 2010, per una rapina consumata e una tentata, la Corte territoriale ha motivatamente desunto, quale elemento di valutazione sfavorevole ai fini della richiesta prevalenza delle circostanze attenuanti, la non episodicità – delle sue incursioni nel mondo della delinquenza" Poco importa, a parere della Corte, che dette ordinanze si riferissero a fatti antecedenti o successivi alla rapina oggetto del presente procedimento essendo comunque la condotta dell’imputato – antecedente, contemporanea o susseguente – un parametro considerato dall’art. 133 c.p. applicabile anche ai fini degli artt. 62-bis e 69 c.p., a fronte del quale il ricorso non evidenzia alcun significativo elemento di segno opposto ulteriore rispetto a quelli già considerati per il riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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