Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 10-06-2011, n. 23367

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 7 giugno 2010 la Corte di appello di Bari confermava la sentenza emessa in data 14 settembre 2009 dal Tribunale di Trani con la quale V.M. e O.R., all’esito del giudizio abbreviato, erano stati dichiarati colpevoli dei reati di concorso in rapina e lesioni personali ai danni di una turista tedesca, reati commessi in (OMISSIS), ed erano stati condannati, ritenuta la continuazione, con la recidiva contestata per il V. e con la diminuente per il rito, il V. alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa e l’ O. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per entrambi con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto, personalmente il V. e tramite il difensore l’ O., ricorso per cassazione.

Con il ricorso del V. si deduce:

1) la violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 628 c.p. e art. 192 c.p.p., e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione essendo il fatto contestato riconducibile all’ipotesi di furto con strappo, come poteva desumersi non solo dalle dichiarazioni dell’imputato ma anche da quelle della persona offesa (non assistita da un interprete, nonostante le difficoltà ad esprimersi in lingua italiana della donna, che non era stata in grado di riferire correttamente nemmeno il paese di residenza);

2) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art. 62 c.p., n. 4 per l’immotivato e irragionevole mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, avendo la persona offesa ottenuto la restituzione di quanto sottrattole ed essendo comunque il fatto di non particolare gravità;

3) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p. per l’immotivato e irragionevole mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante il buon comportamento processuale e l’immediata resipiscenza dimostrata nella lettera di scuse che il giudice di appello aveva ritenuto ispirata a "finalità speculative" nonostante la persona offesa non lo avesse formalmente riconosciuto.

L’imputato V. ha presentato, in data 25 gennaio 2011, una memoria in cui sostiene l’eccessività della pena in rapporto alla sua giovane età e alla sua precaria situazione familiare e chiede il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati contestati.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’ O. si deduce:

1) la violazione dell’art. 628 c.p., artt. 192 e 361 c.p.p. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al limitato valore probatorio del riconoscimento informale effettuato dalla persona offesa dopo aver visto in commissariato i due giovani arrestati e alla mancata assistenza di un interprete per la persona offesa al momento della denuncia;

2) la violazione degli artt. 110 e 628 c.p., e art. 192 c.p.p. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità per essere il fatto contestato riconducibile all’ipotesi di furto con strappo, avendo la persona offesa riportato le lesioni a seguito della caduta accidentale seguita all’azione di impossessamento della borsa;

3) la violazione di legge, in relazione all’art. 62 c.p., n. 4 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione essendo la relativa attenuante concedibile esclusivamente per i danni patrimoniali e dovendo il danno economico essere parametrato alla persona offesa, che nel caso in esame si trovava in condizioni economiche agiate ed era rientrata subito in possesso di quanto sottrattole;

4) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p. per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante l’incensuratezza e la "fame e disperazione" che avrebbero indotto l’imputato a delinquere.

I ricorsi, in gran parte coincidenti, sono inammissibili.

In ordine alla qualificazione giuridica del fatto come rapina anzichè come furto con strappo (primo motivo del ricorso del V. e secondo motivo del ricorso dell’ O.), la Corte territoriale ha fornito una motivazione logicamente coerente e giuridicamente corretta circa l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di rapina mettendo in evidenza che nel caso in esame – come risultava dal verbale di arresto e dalla denuncia della persona offesa – risultava che, dopo aver tentato invano di sottrarre la borsa alla cittadina tedesca presa di mira, i due giovani autori del fatto avevano fatto uso di violenza sulla donna colpendola con pugni al volto che le avevano procurato la rottura del labbro e la contusione ad un occhio. Si è quindi fatta puntuale applicazione della distinzione, consolidata nella giurisprudenza di legittimità e in dottrina, circa gli elementi che differenziano il furto con strappo previsto dall’art. 624 bis c.p., in cui la condotta di violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, dal delitto di rapina che sussiste quando la res sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta (Cass. sez. 2, 11 novembre 2010 n.41464, P.; sez. 2, 3 ottobre 2006 n.34206, Vaccaio; sez. 2, 7 novembre 1990 nn.7386, Vittuari).

Quanto alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa (primo motivo del ricorso del V. e primo motivo del ricorso dell’ O.), la Corte rileva la manifesta infondatezza delle doglianze difensive. La Corte territoriale si è infatti adeguata alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato, purchè siano sottoposte ad un attento controllo circa la loro attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni, anche se nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. sez. 1, 24 giugno 2010 n.29372, Stefanini; sez. 1, 4 novembre 2004 n.46954, Palmisani; sez. 6, 3 giugno 2004 n.33162, Patella; sez. 3, 27 aprile 2006 n.34110, Valdo Iosi; sez. 3, 27 marzo 2003 n.22848, Assenza). Detto controllo tuttavia avviene nell’ambito di una valutazione di fatto che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (Cass. sez. 3, 22 gennaio 2008 n.8382, Finazzo). Nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato che le dichiarazioni della persona offesa K.B. E. erano non solo logiche e coerenti e, quindi, intrinsecamente attendibili, ma trovavano riscontro nel referto medico in atti che attestava la presenza di lesioni al volto della donna perfettamente compatibili con l’aggressione frontale dalla stessa riferita. Con argomentazione immune da vizi logici si è inoltre affermato che la mancata conoscenza della lingua italiana da parte della K. costituiva una mera illazione, mentre l’inesatta indicazione nel referto medico di "Edimburgo" quale indirizzo della donna tedesca ben poteva essere un errore dei medici che l’avevano compilato o il comprensibile effetto dello stato di agitazione di una persona violentemente aggredita. I rilievi in ordine al riconoscimento informale degli autori dell’azione delittuosa da parte della persona offesa sono del pari manifestamente infondati poichè, come più volte precisato da questa Corte, la ricognizione formale di cui all’art. 213 c.p.p., non è, per il principio della non tassatività dei mezzi di prova, l’unico strumento probatorio idoneo al fine (Cass. sez. 2, 10 gennaio 2006 n. 3635, Raucci) e che il riconoscimento stesso non può soffrire limitazione alcuna per la valutazione nel giudizio abbreviato in cui rileva solo l’inutilizzabilità patologica dell’accertamento (Cass. Sez.Un. 21 giugno 2000 n.16, Tammaro; sez. 6, 17 ottobre 2006 n.4125, Cimino;

sez. 3, 5 maggio 2010 n.23432, D.P.).

Quanto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4 (secondo motivo del ricorso del V. e terzo motivo del ricorso dell’ O.), la Corte rileva che nella sentenza impugnata, attraverso puntuali richiami giurisprudenziali, si è fatta corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia espressi ripetutamente da questa Corte.

La giurisprudenza di legittimità è infatti consolidata nel senso che, ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, che lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto (Cass. sez. 2, 20 gennaio 2010 n. 19308, Uccello; sez. 2, 4 marzo 2008 n. 12456, Umina; sez. 2, 22 novembre 2006 n.41578, Massimi; sez. 2, 6 marzo 2001 n.21872, Contene). Nel caso di specie si è posto in adeguato rilievo che il danno patrimoniale intrinseco (costituito dalla sottrazione della somma di Euro 200,00 e di un telefono cellulare nonchè dalla distruzione della borsa della persona offesa) non era particolarmente esiguo e che, comunque, la valutazione complessiva dell’episodio faceva escludere l’applicabilità dell’attenuante in considerazione dell’obiettiva gravità della condotta (la persona offesa aveva subito lesioni personali che l’avevano costretta a ricorrere alle cure dei sanitari).

Le doglianze relative al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (terzo motivo del ricorso e memoria del V. e quarto motivo del ricorso dell’ O.) sono manifestamente infondate. Le circostanze previste dall’art. 62 bis c.p. sono state negate al V. sia per le modalità "odiose" di commissione del fatto (i due giovani avevano portato a termine la rapina ai danni della persona offesa, una turista straniera seguita da (OMISSIS), agendo "con non comune ferocia" di fronte alla strenua resistenza della vittima) sia per i precedenti penali, anche specifici e recenti. L’ O. si è visto negare, nonostante l’incensuratezza che da sola non è tuttavia sufficiente (art. 62 bis c.p., comma 3), il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per la gravità intrinseca dell’episodio, che avrebbe potuto arrecare alla vittima conseguenze più gravi, e per l’intensità del dolo. Dette motivazioni sono adeguate e comunque in questa sede insindacabili nel merito poichè la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. sez. 6, 24 settembre 2008 n.42688, Caridi; sez. 6. 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio). Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri (Cass. sez. 6, 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic). La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra, in conclusione, nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. sez. 6, 28 ottobre 2010 n.41365, Straface). Nè è necessario, del resto, che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. sez. 6, 16 giugno 2010 n.34364, Giovane).

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrente al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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