Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 10-06-2011, n. 23366

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 2 marzo 2010 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 17 febbraio 2009 dal Tribunale di Napoli con la quale B.S. era stato dichiarato colpevole dei reati di concorso in rapina pluriaggravata ( art. 61 c.p., nn. 5 e 7, art. 110 c.p., art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1) e sequestro di persona, reati commessi in (OMISSIS), ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, esclusa l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 5 con la contestata recidiva, alla pena di anni sette di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento:

a) al rigetto da parte del giudice di primo grado, confermato nella sentenza impugnata, dell’eccezione difensiva relativa alla tardività del deposito della lista dei testi, avvenuto oltre il termine perentorio previsto dall’art. 468 c.p.p., da parte del pubblico ministero, eccezione tempestivamente eccepita ai sensi dell’art. 493 c.p.p. dalla difesa; irritualmente e immotivatamentc. secondo il ricorrente, il pubblico ministero avrebbe ottenuto la restituzione nel termine, con la conseguenza della nullità della sentenza impugnata essendo state le testimonianze ammesse in violazione di legge valutate dal giudice di merito;

b) alla sottovalutazione del mancato riconoscimento dibattimentale dell’imputato da parte della persona offesa la quale già aveva posto in dubbio in sede di individuazione personale l’esito della precedente individuazione fotografica, pur avendo avuto la stessa persona offesa un contatto prolungato e ravvicinato con l’autore della rapina; sarebbe stata invece irragionevolmente attribuita attendibilità al riconoscimento nel B. del soggetto che era fuggito dopo la rapina a bordo di un ciclomotore da parte degli agenti operanti i quali avevano tuttavia avvistato l’autore dell’azione criminosa a distanza non ravvicinata, mentre viaggiava a velocità sostenuta e in condizioni di instabilità.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Dal verbale dell’udienza svoltasi in data 2 ottobre 2008 risulta che il giudice di primo grado ha "rimesso in termine" il pubblico ministero aggiungendo che "oltretutto sono tutti testi che poi dovrebbero essere citati dal Tribunale ex art. 507 c.p.p., quindi li sentiamo" (cfr. trascrizione f.7).

Sostanzialmente, quindi, il Tribunale di Napoli ha inteso esercitare il potere di disporre d’ufficio l’esame dei testi che la difesa assumeva essere stato richiesto intempestivamente dal pubblico ministero e, come affermato anche recentemente da questa Corte (Cass. sez. 6, 6 novembre 2009 n.24242, S.), l’assunzione di una prova testimoniale disposta dal giudice ex officio in un momento diverso da quello del termine dell’acquisizione delle prove indicato dall’art. 507 c.p.p. costituisce una mera irregolarità e non comporta, in difetto di un’espressa previsione normativa, alcuna sanzione di nullità o di inutilizzabilità. Peraltro la giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata nella sentenza impugnata e condivisa da questo collegio, è pressochè unanime nel senso che il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto (Cass. Sez.Un, 17 ottobre 2006 n.41281, Greco) e in particolare, che l’ammissione di prove testimoniali tardivamente o comunque irritualmente indicate non è causa di nullità della relativa ordinanza, posto che rientra tra i poteri del giudice assumere le prove anche d’ufficio, con la conseguenza che la prova indicata non tempestivamente o in modo generico ed espletata deve ritenersi ammessa d’ufficio (Cass. sez. 6, 1 febbraio 2005 n.9214, Zaratin; sez. 5, 10 febbraio 2010 n.15325, Cascio; sez. 5, 3 giugno 2010 n.32742. Accordino).

Il secondo motivo è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Nella motivazione della sentenza impugnata si è ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità si desumeva dal fatto che l’imputato era stato riconosciuto "senza ombra di dubbio" nel corso dell’inseguimento sia dall’ass. Ma. sia dall’agente scelto M., i quali già avevano conosciuto il B. in occasione di precedenti attività investigative e di controllo del territorio, ed anche dal riconoscimento in fotografia, "con la massima certezza", da parte della persona offesa che in occasione dell’individuazione personale, effettuata tuttavia a distanza di alcuni mesi, si era limitata a rilevare una forte somiglianza del B. all’autore della rapina.

Peraltro il giudice di merito ha evidenziato, a conforto dell’attendibilità dei riconoscimenti effettuati dai testi, che il numero di targa del ciclomotore a bordo del quale il rapinatore si era dileguato, comunicato agli investigatori dalla persona offesa, era risultato singolarmente corrispondere a quello appartenente alla sorella dell’imputato. Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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