Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 10-06-2011, n. 23365 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e avv. Minniti Rosario del foro di Milano, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 7 maggio 2009 il Tribunale di Milano dichiarava P.B. colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico di cocaina commesso nella qualità di promotore e organizzatore ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1: capo A) dal (OMISSIS) nonchè dei reati di concorso in acquisto, importazione dal Belgio, trasporto e detenzione per la vendita di varie partite di cocaina ( art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 commi 1, 1 bis e 6 commesso il (OMISSIS): capi B, C, D; artt. 110 e 56 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis e 6 commesso in data successiva al 25 ottobre 2006 e anteriore al 30 ottobre 2006:

capo E: art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 commi 1, 1 bis e 6, art. 80, comma 2 commesso l'(OMISSIS): capo F).

Ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche ed esclusa l’applicazione della recidiva contestata, il P. era stato condannato alla pena di anni diciannove di reclusione (pena base per il più grave reato contestato al capo A, già ridotta per le attenuanti, anni sedici di reclusione, aumentata di sei mesi di reclusione per ciascuno dei reati contestati ai capi B, C, D, E e di un anno di reclusione per il più grave episodio al capo F), con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

La Corte di appello di Milano con sentenza in data 5 maggio 2010 riduceva la pena ad anni sedici di reclusione (pena base per il più grave reato contestato al capo A anni venti di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p. ad anni tredici, mesi otto, aumentata per la continuazione di mesi cinque per i reati contestati ai capi B, C, D ed E e di mesi dieci per il reato contestato al capo F), confermando le restanti statuizioni.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore avv. Andrea Marini, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale, con riferimento all’art. 238 bis c.p.p., e comunque l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo; erroneamente si sarebbe tenuto conto, ai fini dell’affermazione della responsabilità in ordine al reato associativo, della sentenza di condanna irrevocabile emessa nei confronti del coimputato M. senza valutare la sentenza, acquisita ex art. 238 bis c.p.p., a norma dell’art. 187 c.p.p., e art. 192 c.p.p., comma 3, anche nel rispetto dell’interpretazione costituzionalmente orientata contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 6 febbraio 2009 (sentenza di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 238 bis c.p.p.); peraltro la condanna a carico del coimputato era stata emessa all’esito del giudizio abbreviato e la Corte costituzionale nella citata sentenza aveva avvertito l’esigenza di tener conto anche del tipo di procedimento (ordinario, abbreviato, con accettazione della pena) in cui la sentenza acquisita era stata pronunciata e quindi anche del contraddittorio in esso svoltosi, mentre nel caso in esame il giudice di merito avrebbe omesso di vagliare criticamente le conclusioni della pronuncia a carico del M. riproponendo sostanzialmente una pregiudiziale penale;

2) la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della struttura associativa, essendosi la Corte territoriale limitata ad una motivazione per relationem anche in ordine al requisito dell’indeterminatezza del programma criminoso, nonostante il coimputato M., collaborante, si fosse limitato a parlare dell’importazione di 8 kg. di sostanza stupefacente per un numero determinato di viaggi; nella sentenza impugnata non sarebbe stata fornita spiegazione sugli elementi (indeterminatezza del programma criminoso, stabilità del vincolo e affectio societatis) in base ai quali era stata riconosciuta l’esistenza di una struttura associativa che presisteva – o, comunque, prescindeva – dall’apporto del M., soprattutto tenendo conto che il periodo di permanenza dell’associazione veniva fatto coincidere cronologicamente con i viaggi del M.;

3) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea interpretazione della legge penale relativamente alla mancata qualificazione giuridica della condotta del P. ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 2, quale mero partecipante all’associazione; erroneamente il suo ruolo di organizzatore sarebbe stato ritenuto sulla base delle dichiarazioni del teste C. e la posizione apicale di organizzatore, promotore o e finanziatore sarebbe stato confusa con quella di colui che ha una generica posizione di preminenza rispetto ad un altro soggetto (nel caso di specie il M.); nè il ruolo di organizzatore avrebbe potuto essere attribuito al P. per il solo fatto che egli, secondo l’impostazione accusatoria recepita dal giudice di merito, pagava la sostanza stupefacente acquistata o manteneva i contatti, peraltro senza rapporto gerarchico, con i presunti fornitori e acquirenti che rappresentano solo anelli della catena distributiva;

tra l’altro, in relazione all’ultimo viaggio del M. seguito dall’arresto dello stesso, risulterebbe da un’intercettazione telefonica (n.65 dell’11 novembre 2006 ore 18,51) che era tale E., effettivo destinatario della sostanza stupefacente trasportata, a impartire disposizioni al P.;

4) l’erronea interpretazione della legge penale con riferimento all’aggravante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 in relazione al capo F;

5) l’erronea interpretazione della legge penale con riferimento all’individuazione della pena base in quella prevista dal reato associativo anzichè in quella relativa al reato contestato al capo F ( art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1 bis e 6, art. 80, comma 2) sanzionato con una pena edittale astrattamente più elevata, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

Con i motivi nuovi, presentati dall’avv. Rosario Minniti, si deduce:

1) il vizio della motivazione con riferimento ai requisiti della chiamata di correo ( art. 192 c.p.p., comma 3); in particolare si sostiene che le dichiarazioni del M. sarebbero inattendibili dal punto di vista soggettivo trattandosi di soggetto tossicodipendente, con numerosi precedenti penali, in disagiate condizioni economiche, il quale aveva confessato dopo essere stato arrestato in flagranza con un carico di circa 4 kg. di cocaina e nutriva astio o, comunque, desiderio di vendetta nei confronti del P.; in particolare il rancore del M. si desumeva dalla lettera con la quale il P. attribuiva le accuse nei suoi confronti ai loro cattivi rapporti per questioni collegate all’attività di contrabbando svolta in comune e dalla lettera del detenuto N.S., non acquisita dal giudice di appello che aveva rigettato con motivazione contraddittoria la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale pur costituendo la missiva un elemento sopravvenuto di indubbia utilità; nè il Tribunale nè la Corte di appello avrebbero pertanto analizzato le motivazioni che erano all’origine delle dichiarazioni del M. e la loro impronta vendicativa, sottovalutando anche i sensibili vantaggi sul piano sanzionatorio tratti dalla sua collaborazione; quanto all’intrinseca consistenza delle dichiarazioni del M. non si sarebbe tenuto conto: a) dell’inverosimiglianza del compimento di quattro viaggi per l’importazione di cocaina, senza corrispettivo tranne un limitato rimborso spese; b) dell’incompletezza delle dichiarazioni del M. il quale non aveva consentito l’individuazione del suo "referente" E.; il giudice di merito non avrebbe poi adeguatamente affrontato il problema dei riscontri esterni individualizzanti se non con formule di stile e attraverso il riferimento ad elementi equivoci (il doppio fondo dell’autovettura approntato dal P., utilizzato tuttavia solo per nascondervi somme di denaro; l’uso dell’automobile al posto del camion, che sarebbe stata impiegata solo come apripista per i camion adibiti al trasporto di sigarette di contrabbando; le intercettazioni telefoniche il cui contenuto, originariamente interpretato con riferimento al contrabbando di sigarette, era stato reinterpretato dopo la confessione del M.); peraltro la chiamata in correità sarebbe contraddetta dall’implicazione del P. in vicende di contrabbando, dall’indisponibilità delle risorse economiche per gestire il narcotraffico, dalle disposizioni del fornitore belga Ca. il quale intendeva occuparsi personalmente del ritiro delle autovetture trasportate dal M. (intercettazioni telefoniche), dalle dichiarazioni del coimputato V. (che aveva scagionato P.) immotivatamente ritenute inattendibili;

2) l’apoditticità e la contraddittorietà della motivazione con riferimento al reato associativo la cui sussistenza sarebbe esclusa dalle caratteristiche rudimentali della presunta struttura associativa, dalle dichiarazioni scarsamente significative rese al riguardo dal M. (il quale aveva limitato l’accordo criminoso al trasporto di 8 kg. di sostanza stupefacente, dietro un compenso di Euro 20.000,00) e dalla durata del periodo di attività del sodalizio criminale determinata dal giudice di primo grado in coincidenza con il tempo della consumazione dei reati fine.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Il primo motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata viene dato rilievo al contenuto della sentenza di condanna emessa, a seguito di giudizio abbreviato, dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 18 settembre 2008, confermata dalla Corte di appello di Milano il 19 marzo 2009 e passata in giudicato, nei confronti dei coimputati M.G., arrestato l’11 novembre 2006 mentre trasportava 4,1890 kg. di cocaina, e V.G. in ordine agli stessi fatti contestati al P. (quanto al reato associativo il V. era stato assolto, mentre il M. era stato riconosciuto partecipe dell’associazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti). Il M. aveva ammesso le sue responsabilità dichiarando (come estesamente riportato nella sentenza di primo grado) che a proporgli di guidare i mezzi – prima per il trasporto di sigarette di contrabbando e poi, con un compenso di Euro 20.000,00, per il trasporto di 8 kg di sostanza stupefacente suddivisi in vari viaggi tra il Belgio e l’Italia (il trasporto aveva riguardato la prima e la seconda volta 1 kg. di cocaina; la terza volta 2 kg.; la quarta volta il trasporto non era stato portato a compimento; la quinta volta, quando il M. era stato tratto in arresto, circa 4 kg.) era stato P.B., conosciuto durante un periodo di comune detenzione e a conoscenza dei suoi problemi economici. Era stato il P. a fornirgli le due autovetture che gli aveva fatto intestare, una Chrysler e una Lancia K (dotate di doppifondi o comunque di spazi per l’occultamento della sostanza stupefacente trasportata), a pagargli le spese di viaggio e di soggiorno all’estero e ad impartirgli le direttive per l’effettuazione dei trasporti, mantenendo diretti contatti con i fornitori stranieri (tale E., non identificato, e Ca.Br.Ra., deceduto).

Non risulta tuttavia dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata che il giudice di appello, come sostenuto dal ricorrente, sia venuto meno al dovere di valutare il contenuto della sentenza di condanna emessa nei confronti dei coimputati M. e V. secondo le modalità previste dall’art. 238 bis c.p.p..

L’art. 238 bis c.p.p. prevede, infatti, che le sentenze divenute irrevocabili sono acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati e sono valutate a norma dell’art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 6, 12 novembre 2009 n. 47314, Cento; sez. 6, 30 settembre 2008 n.42799, Campesan) la sentenza divenuta irrevocabile ed acquisita come documento non ha quindi efficacia vincolante, ma va liberamente apprezzata dal giudice unitamente agli altri elementi di prova, al pari delle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo procedimento o in procedimento connesso, attraverso la verifica dei necessari riscontri che possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica. In particolare questa Corte ha affermato il principio che l’acquisizione in funzione probatoria della sentenza pronunciata sulla medesima vicenda nei confronti del coimputato, divenuta irrevocabile, non esime il giudice del processo ad quem sia dal dovere di accertare la veridicità dei fatti ritenuti dimostrativi e rilevanti rispetto all’oggetto della prova, fatta salva in ogni caso la facoltà dell’imputato di essere ammesso alla prova del contrario, sia dal dovere di acquisire, su richiesta del pubblico ministero e nel contraddittorio tra le parti, gli elementi di prova che confermino la dedotta veridicità (Cass. sez. 2, 28 febbraio 2007 n. 16626, Guarnirei; sez. 4, 29 marzo 2006 n. 13542, Ragaglia). Nella sentenza impugnata il contenuto della sentenza irrevocabile emessa nei confronti dei coimputati M. e V., giudicati con rito abbreviato, risulta essere stato valutato adeguatamente sia dal giudice di primo grado che dal giudice di appello (il quale ha compiuto un ampio e legittimo richiamo per relationem alle motivazioni del Tribunale), unitamente alle ulteriori acquisizioni dibattimentali che ne confermavano l’attendibilità e che erano costituite dalle dichiarazioni testimoniali degli operanti (in particolare del mar. C.R.), dalle dichiarazioni dello stesso M. assunte nel corso dell’esame dibattimentale (in cui erano state ribadite le dichiarazioni accusatone già risultanti dalla sentenza di condanna a suo carico), dal contenuto delle numerose conversazioni telefoniche di contenuto inequivoco effettuate nei giorni immediatamente precedenti e seguenti i singoli viaggi (e dettagliatamente analizzate, per ogni singolo episodio di importazione contestato, nella motivazione del giudice di primo grado), dalle circostanze dell’arresto in flagranza del M. (e dal conseguente sequestro della sostanza stupefacente).

La Corte inoltre rileva che effettivamente, come affermato nella citata sentenza n.29 del 2009 della Corte costituzionale, ai fini della valutazione ed utilizzazione della sentenza irrevocabile acquisita ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. non può non tenersi conto del tipo di procedimento (ordinario, abbreviato, con accettazione della pena) in cui la sentenza stessa è stata pronunciata e quindi anche del contraddittorio in esso svoltosi.

Tuttavia nel caso in esame, pur trattandosi di sentenza irrevocabile emessa all’esito del giudizio abbreviato, il M. risulta essere stato esaminato nel corso del giudizio di primo grado quale imputato di reato connesso, quindi direttamente nell’ambito del presente procedimento e nel pieno contraddittorio delle parti, ed ha ribadito in maniera ampia ed articolata le dichiarazioni accusatone precedentemente rese.

I rilievi del ricorrente sul punto appaiono peraltro del tutto generici.

Il secondo motivo è del pari infondato.

Va premesso che la motivazione della sentenza impugnata va letta congiuntamente a quella della sentenza di primo grado sia per l’ampio e legittimo richiamo per relationem fatto dal giudice di appello sia perchè, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. scz. 4, 14 febbraio 2008 n.15227, Baretti; sez. 4, 24 ottobre 2005 n. 1149, Mirabilia; sez. 6, 26 settembre 2002 n.1307, Delvai S.; sez. 1, 26 giugno 2000 n.8868, Sangiorgi; Sez s. Un. 4 febbraio 1992 n.6682, Musumeci) il giudice di legittimità, ai fini del vaglio di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento – ove si tratti di una sentenza pronunciata in grado di appello – sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, che si integrano vicendevolmente, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili, tanto più allorchè, come nel presente caso, la sentenza di appello abbia confermato (ed. doppia conforme) le statuizioni del giudice di primo grado in punto di responsabilità e l’appellante si limiti alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice.

Nella sentenza di primo grado si è affermata l’esistenza di un progetto criminoso finalizzato all’importazione e compravendita di sostanza stupefacente, indeterminato e stabile, attuato mediante una struttura organizzativa solida, ben strutturata ed efficacemente funzionante fino all’imprevisto arresto in flagranza del M. avvenuto nel (OMISSIS), dopo ripetute importazioni effettuate nell’arco di pochi mesi. L’indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, è stata adeguatamente rappresentata dal giudice di primo grado con riferimento al contenuto delle intercettazioni telefoniche da cui risultava la disponibilità incondizionata dei personaggi coinvolti a vario titolo nelle importazioni di sostanza stupefacente a cooperare per la realizzazione del fine comune tenendo in vita l’organizzazione per assicurare "continuita" nell’attività illecita e, in particolare per il P., la stabile presenza nel gestire e dirigere ogni aspetto organizzativo del traffico illecito (nella sentenza di primo grado viene specificamente indicata la conversazione telefonica intercettata il 20 settembre 2006 alle ore 22,58 tra il P. e il Ca.). In tale contesto si ritiene che risulti ragionevolmente giustificata la determinazione della data di cessazione dell’attività del sodalizio criminoso in coincidenza con l’imprevisto arresto del M., senza che per questo venga meno la solidità del quadro probatorio in ordine alla piena operatività lino a questa data della struttura associativa criminale. Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente, anche in ordine al reato associativo, risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il terzo motivo è anch’esso infondato.

Va ribadito quanto sopra detto circa l’integrazione reciproca delle sentenze di primo grado e di appello, anche con riferimento al ruolo organizzativo e direttivo svolto dal P. nell’ambito della struttura associativa. Le dichiarazioni rese al riguardo dal M. hanno trovato riscontro, come evidenziato dal giudice di primo grado, nelle ulteriori emergenze dibattimentali e in particolare nel contenuto delle intercettazioni telefoniche e nelle dichiarazioni testimoniali del mar.llo C. da cui risultavano positivi e convergenti elementi sul ruolo fondamentale svolto dall’imputato per tenere in vita e alimentare il traffico di sostanze stupefacenti e contribuire in maniera sostanziale alla realizzazione, in qualità di organizzatore, dei singoli reati-fine. Il giudice di merito ha posto in rilievo -attraverso un esame analitico e razionale delle risultanze dibattimentali – la fornitura da parte del P. al corriere M. delle autovetture, allo stesse intestate, e, inoltre, la predisposizione all’interno dei veicoli di nascondigli destinati ad occultare la sostanza stupefacente, lo studio degli itinerari più sicuri per eludere i controlli delle forze dell’ordine ed evitare i passaggi alla dogana svizzera, i contatti diretti con i fornitori esteri ( Ca. e il non meglio identificato E.) e con gli acquirenti in Italia. Quanto alle doglianze difensive, la Corte osserva che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 4, 23 ottobre 2008 n.45018, Cela), la qualifica di "organizzatore", all’interno di un’associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti, spetta a chi assume poteri di gestione, quand’anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo e nel caso di specie deve ritenersi pertanto correttamente attribuita al P., il quale manteneva per conto dell’associazione i contatti con i fornitori esteri del sodalizio e con gli acquirenti nel territorio nazionale.

Il quarto motivo è del tutto generico essendosi il ricorrente limitato, senza argomentare il suo assunto e in forma meramente assertiva, a rilevare l’indeterminatezza del criterio della possibile saturazione del mercato di riferimento o del numero delle dosi astrattamente ottenibile e l’incongruenza di detto criterio rispetto al quantitativo di sostanza stupefacente sequestrato e al principio attivo in esso contenuto.

Il quinto motivo è infondato.

Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez.Un. 12 ottobre 1993 n.748, Cassata; Sez.Un. 26 novembre 1997 n.15, Varnelli; sez. 1, 27 maggio 2004 n.26308, Micale; sez. 1, 5 novembre 2008 n.44860, Ficara; sez. 4, 27 gennaio 2009 n.6853, Maciocco; sez. 2, 6 novembre 2009 n.47447, Sali; sez. 3, 26 gennaio 2010 n.11087, P.G. in proc.S.; sez. 5, 11 febbraio 2010 n. 12473), in caso di applicazione del regime della continuazione, la "violazione più grave" va individuata nel delitto in relazione al quale il giudizio di maggior gravità discende direttamente dalle scelte del legislatore. Peraltro la Corte ha affermato, in numerose sentenze anche recenti (Cass. sez. 1, 15 giugno 2010 n.24838, Di Benedetto;

sez. 4, 9 ottobre 2007 n.47144, Fcrrcntino; sez. 6, 12 dicembre 202 n. 1318, Bombasaro), che la violazione più grave va individuata sì in astratto, in base alla pena edittale, avendo tuttavia riguardo al reato così come ritenuto in sentenza, tenendo quindi conto delle circostanze riconosciute esistenti e dell’eventuale giudizio di comparazione fra di esse. Pertanto se vi sia stato riconoscimento di circostanze attenuanti e sia stato effettuato il giudizio di comparazione rispetto alle aggravanti, è al risultato di tale giudizio che deve farsi riferimento per l’individuazione in astratto della pena edittale per il reato circostanziato.

I reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano infatti la loro autonomia e si considerano come reati distinti, anche ai fini dell’individuazione del reato più grave (Cass. Sez.Un. 27 novembre 2008 n.3286. Chiodi). Nel caso in esame in relazione al reato previsto dall’art. 73, aggravato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, l’aggravante risulta in concreto elisa in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Di conseguenza deve ritenersi che correttamente sia stato ritenuto più grave il reato di associazione per delinquere finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, nella qualità di promotore ed organizzatore per il P., che è punito con la pena della reclusione non inferiore a venti anni.

Il primo dei motivi nuovi è manifestamente infondato.

Nel giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria e tale accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di merito che, se correttamente motivata come nel caso in esame, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. sez. 3, 22 gennaio 2008 n.8382, Finazzo; sez. 3, 23 maggio 2007 n.35372, Panozzo; sez. 4, 19 febbraio 2004 n. 18660, Montanari; sez. 4, 5 dicembre 2003 n.4981, Ligresti).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto che l’acquisizione della lettera inviata al P. dal detenuto N.S. (secondo il quale il M. parlava molto male del P., ritenendo che lo avesse fatto arrestare) e l’esame di quest’ultimo fossero ininfluenti ai lini della valutazione dell’attendibilità del M. che era stata positivamente stimata dal giudice di primo grado, anche con specifico riferimento alla credibilità intrinseca del chiamante in correità che la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale tendeva a mettere in dubbio (prospettando un sentimento di rancore del M. nei confronti del P. emergente dalla lettera del N.).

La Corte territoriale ha evidenziato, infatti, che il M. aveva reso anche dichiarazioni autoaccusatorie e che comunque il giudice di primo grado aveva preso in esame le dichiarazioni accusatone alla luce dei criteri di valutazione indicati dall’art. 192 c.p.p. definendole, sia pure stringatamente, "ampie, argomentate, coordinate e supportate dal sovrabbondante restante quadro probatorio".

Considerato il tenore della richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale che indica le dichiarazioni del M. quale "unica fonte indiziarià" a carico del P. (atto di appello avv. Alberto Talamone), detta motivazione appare sufficiente a giustificare la decisione negativa del giudice di appello il quale ha inteso ancora una volta richiamare, per condividerla, la motivazione del giudice di primo grado nella parte in cui fa riferimento al complessivo quadro probatorio emerso a carico dell’imputato.

Nè, come sembra prospettarsi nei motivi nuovi, nella lettera del detenuto N.S. poteva ravvisarsi un elemento sopravvenuto ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 2, che riguarda nuove "prove" sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado.

Quanto alle ulteriori doglianze difensive riguardanti la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal M., la Corte osserva che il giudice di primo grado si era ampiamente soffermato sulle dichiarazioni dibattimentali del M., riportate nei dettagli, definendole "un ulteriore tassello probatorio che sì inserisce nell’esaustivo quadro complessivo" costituito dai risultati dell’attività di polizia giudiziaria (sui personaggi coinvolti nel traffico di sostanze stupefacenti, sui rispettivi spostamenti, sui telefoni cellulari a loro disposizione, sulle autovetture utilizzate, sui viaggi compiuti), dal sequestro al M. della cocaina importata dal Belgio, dalle sentenze di condanna nei confronti dello stesso M. e del V., dal contenuto delle conversazioni telefoniche tra i coimputati. Significativamente, inoltre, il giudice di primo grado aveva affermato che "in realtà il quadro probatorio è talmente complesso e complessivamente supportato da ulteriori elementi a suo carico che le dichiarazioni di M. potrebbero per ipotesi anche risultare sovrabbondanti". Il Tribunale aveva anche affermato che le dichiarazioni accusatone del M. "da qualsiasi spunto emozionale siano state dettate, corrispondono perfettamente alle restanti emergenze e ne sono integralmente supportate ed inserite, così che i dati probatori complessivamente considerati si incasellano perfettamente l’uno nell’altro ed escludono qualsiasi difformità dal vero delle dichiarazioni accusatone rese dal M.".

Il Tribunale, quanto alla credibilità intrinseca del M., aveva conclusivamente affermato che costui sulle sue dichiarazioni aveva fondato "innanzitutto la propria responsabilità e su di esse ha pagato la propria condanna, ben oltre che per il quantitativo per cui è stato arrestato in flagranza. E sulle dichiarazioni etero accusatone ogni sua affermazione è risultata confermata e supportata ampiamente dalle restanti fonti probatorie sopra indicate e ribadite.

E’ rimasto pertanto destituito di qualsivoglia attendibilità l’assunto difensivo secondo il quale le dichiarazioni accusatone di M. sarebbero inattendibili perchè originate solo da motivi di ritorsione e vendetta".

Quanto alle ulteriori deduzioni difensive riguardanti gli elementi di riscontro individualizzanti indicati attraverso plurimi elementi asseritamente equivoci, la Corte rileva che nella sentenza impugnata la tesi alternativa prospettata dalla difesa (il P. sarebbe responsabile unicamente del contrabbando di tabacchi lavorati esteri) viene efficacemente, con argomentazioni immuni da vizi logici, contrastata. La Corte territoriale ha infatti osservato che il trasporto di sigarette di contrabbando avviene normalmente in grossi quantitativi che richiedente) mezzi di trasporto adeguati, mentre l’utilizzo di doppi fondi nelle autovetture costituisce un sistema abitualmente adottato per le importazioni di sostanze stupefacenti.

Quanto al contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, il giudice di appello ha osservato che non risultavano dai colloqui riferimenti all’attività di contrabbando mentre l’arresto in flagranza del M. e il sequestro della sostanza stupefacente consentivano di ricollegare logicamente i discorsi intercettati al traffico di droga. Nè può avere rilevanza, quanto all’interpretazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche, che le intercettazioni disposte nell’ambito di indagini a carico del P. riguardanti un’attività di contrabbando di tabacchi lavorati esteri siano state "rilette" dopo l’arresto del M. per violazione della normativa sugli stupefacenti. Le doglianze difensive risultano del resto fondate su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.

Il secondo dei motivi nuovi è infondato, anche per le ragioni già esposte nel l’esaminare il secondo e il terzo motivo del ricorso principale.

La Corte ritiene di dover puntualizzare, in particolare, che per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Cass. sez. 1, 22 dicembre 2009 n.4967, Galioto; sez. 6, 12 maggio 1995 n.9320, Mauriello).

Va inoltre osservato che ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale.

La Corte rileva, infine, che in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta condudentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori. i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive. (Cass. sez. 6, 17 giugno 2009 n.40505, 11 Grande; sez. 4, 7 febbraio 2007 n.25471, Cirasole;

sez. 4, 29 novembre 2005 n.4481, Lo Nigro).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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