Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-10-2011, n. 21389 Dichiarazione di pubblica utilità Espropriazione parziale o speciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, pronunciando sull’appello proposto dal Comune di Manduria avverso la sentenza del Tribunale di Taranto in data 22 gennaio 2001, con la quale era stata accolta la domanda risarcitoria avanzata da P.M. in relazione all’occupazione usurpativa di un fondo di sua proprietà per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria, riteneva che nel caso fosse configurabile un’ipotesi di occupazione acquisitiva, e procedeva, quindi, alla liquidazione, sulla base delle risultanze peritali, applicando i criteri quanto all’area edificabile, previsti dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65. 1.1 – Veniva, in particolare, affermato che l’apprensione del terreno era avvenuta sulla base di decreto di occupazione d’urgenza emesso il 2 luglio 1979; che tale occupazione era finalizzata alla necessità di attuare il piano particolareggiato della zona E; che le opere erano state ritenute differibili ed urgenti.

1.2 – Avverso tale decisione propone ricorso P.M., sulla base di 4 motivi, illustrati con memoria.

Il Comune di Manduria non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, in relazione agli artt. 834 e 2043 c.c., nonchè alla L. n. 2359 del 1865, art. 13. Si afferma che, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, erroneamente ravvisata da parte della Corte territoriale nel decreto di occupazione e di urgenza, avrebbe dovuto essere confermata la ricorrenza del fenomeno dell’occupazione usurpativa.

2.1 – Con il secondo motivo la medesima censura viene prospettata sotto il profilo motivazionale, per essersi la sentenza impugnata soffermata esclusivamente sulla mancata emissione del decreto di esproprio, senza esaminare la questione concernente l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità rilevata nella decisione di primo grado.

2.2 – Con il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla ritenuta natura agricola di una parte del fondo.

2.3 – Con il quarto motivo, infine, si censura il regolamento delle spese di lite, avuto riguardo alla parziale compensazione, in ragione di metà, delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.

3- I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto fra loro intimamente connessi.

Essi risultano infondati, dovendosi giudicare corretta la decisione impugnata – la cui motivazione va integrata nei termini che seguono – per aver ravvisato nel caso esaminato il fenomeno della c.d. occupazione espropriativa.

Ed invero, la dichiarazione di pubblica utilità, che costituisce, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il dato fondante dell’acquisto della proprietà del bene in virtù della c.d.

"accessione invertita", non può meramente collegarsi, come sembra ritenere la corte territoriale, alla valida emissione del decreto d’occupazione d’urgenza, che, in realtà, a sua volta la presuppone.

Neppure può condividersi, tuttavia, il richiamo della ricorrente allo schema procedurale previsto dalla L. n. 2359 del 1865, così come al disposto dell’art. 834 cod. civ., deponenti nel senso della necessità di una esplicita dichiarazione di pubblica utilità, senza considerare la legislazione speciale successivamente intervenuta, come la L. 3 gennaio 1978, n. 1, che, all’art. 1, ha disposto, in via generale, che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dell’autorità amministrativa competente equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse. Sempre con riferimento a tale norma, deve richiamarsi il principio secondo cui con l’indicazione dei termini di inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 13, non va confuso il termine introdotto dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, comma 3, del tutto autonomo rispetto ai precedenti, che prevede un limite massimo (triennale) entro il quale devono essere iniziati i lavori (a pena di cessazione degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità dell’opera); detto termine ha natura acceleratoria dell’esecuzione delle opere pubbliche e va raccordato con quelli di cui all’art. 13, nel senso che solo ove detti termini siano regolarmente apposti e la dichiarazione di p.u. risulti esistente, si pone il problema (logicamente successivo) di stabilire se la stessa abbia conservato o no efficacia per l’osservanza (anche) di quest’ultimo termine perentorio richiesto dalla legge per l’inizio dell’opera (Cass., 23 giugno 2009, n. 14606).

Per quanto attiene, poi, al caso di specie, va anche considerato che l’occupazione in esame venne disposta – come risulta incontestabilmente dalla stessa decisione impugnata – nell’ambito dell’esecuzione del piano particolareggiato della zona E, che in quel comprensorio prevedeva "la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e di allacciamento delle areee in questione ai pubblici servizi". Soccorre, in proposito, ancorchè non espressamente richiamata a tal fine nella decisione impugnata, che pertanto, in parte qua, deve così considerarsi modificata ed integrata, la disposizione contenuta nella L. n. 1150 del 1942, art. 16 comma 9, in base al quale tutti i piani di terzo livello (piani particolareggiati, p.e.e.p., piani di lottizzazione ed altri) adottati dal Comune ed approvati dalla Regione, oltre agli effetti propri di piani esecutivi comportano l’ulteriore valenza di dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste (cfr.

Cass., Sez. Un., 16 gennaio 1984, n. 371; Cass., 11 giugno 1993, n. 6546; Cass., 15 marzo 1999, n. 2272).

Correttamente, pertanto, è stata ravvisata nella specie la fattispecie della c.d. occupazione espropriativa, in relazione alla mancata emissione, nei termini previsti, del decreto di esproprio, in presenza di una valida, ancorchè implicita, dichiarazione di pubblica utilità. 4 – Passando all’esame del terzo motivo di ricorso, va osservato che non ricorre il vizio di motivazione in relazione alla parte di area qualificata come agricola, avendo la corte territoriale, nell’ambito della ricognizione giuridica del bene, richiamato, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, le previsioni dello strumento urbanistico vigente. Dovendo trovare applicazione il principio secondo cui il giudice del merito esaurisce l’obbligo della motivazione indicando la fonte del proprio convincimento (Cass., 7 luglio 2009, n. 15904; Cass., 3 aprile 2007, n. 8355; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26694), mette conto di rilevare come il motivo sia del tutto generico e formulato in contrasto con il principio di autosufficienza, mancando qualsiasi indicazione relativa a eventuali censure che siano state sollevate nei confronti della consulenza tecnica disposta dalla Corte di appello e dalla stessa non esaminate (Cass., 6 settembre 2007, n. 18688).

5 – il quarto motivo di ricorso, infine, implica una valutazione, come quella inerente alla compensazione parziale delle spese processuali, riservata al giudice del merito, dovendosi rimarcare, per quanto qui interessa, che tale scelta, prescindendo dagli aspetti concernenti la motivazione, nella specie sussistente e non oggetto di specifica censura, non appare censurabile, come verificatosi nel caso di specie, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. 6 – Tanto premesso, ritiene tuttavia la Corte, con riferimento alla porzione di terreno ritenuta edificabile, che non possa prescindersi – non essendosi formato il giudicato in merito alle concrete modalità dì applicazione della L. n. 359 del 1992 – dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 348/07, nel frattempo intervenuta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma, commi 1 e 2, attesa l’efficacia di una tale pronuncia dei giudizi, come quello in esame, in cui sia ancora in discussione la determinazione di detta indennità, la quale non potrebbe certamente essere regolata da norme dichiarate incostituzionali.

Torna quindi nuovamente applicabile, per la determinazione dell’indennizzo, il criterio generale del valore venale del bene, già previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che costituisce l’unico ancora rinvenibile nell’ordinamento, non essendo stato abrogato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, in quanto detta norma fa espressamente salvo "quanto previsto dall’art. 57, comma 11, (oltre che dall’art. 57 bis) il quale esclude l’applicazione del T.U. relativamente ai progetti per i quali, come è accaduto nel caso in esame, "alla data di entrate in vigore dello stesso decreto sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, ribadendo che continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data, fra cui, pertanto, quella contenuta nella Legge Generale n. 2359 del 1865, art. 39.

Deve inoltre precisarsi che nella fattispecie non opera nemmeno lo "ius superveniens" costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, che prevede la riduzione del 25% dell’indennità allorchè l’espropriazione sia finalizzata ad interventi di riforma economico – sociale, prevedendo la norma intertemporale di cui al successivo comma 90 la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di esproprio limitatamente ai "procedimenti espropriativi in corso e non anche ai giudizi in corso (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2009, n. 22756).

La relativa liquidazione – ed in tal senso va accolto il ricorso – deve pertanto calcolarsi con riferimento al valore pieno dell’area in esame, secondo la previsione del richiamato della L. n. 2359 del 1865, art. 39. 6.1 – L’impugnata sentenza deve essere quindi cassata in relazione all’aspetto testè evidenziato.

Non essendo necessari ulteriori acquisizioni, in quanto dalla sentenza impugnata emergono gli elementi di fatto necessari per la determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione, ricorrono certamente le condizioni per una decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Deve, pertanto, assumersi il dato relativo al valore del terreno, senza alcuna decurtazione ai sensi dell’abrogato della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, pari ad Euro 17.848,75 (mq 240 x il valore unitario, non contestato, di L. 144.000).

A tale importo deve aggiungersi quello di Euro 3.300,00, relativo al terreno agricolo, non interessato dalla richiamata pronuncia della Corte costituzionale, nè da eventuali profili di illegittimità dei criteri indennitari di cui alla L. n. 685 del 1971, art. 16, trattandosi di liquidazione di tipo risarcitorio e non indennitario, ragion per cui l’importo complessivamente dovuto alla P. va rideterminato in Euro 21.184,75, con gli interessi e la rivalutazione così come indicati nella decisione impugnata.

Avuto riguardo alle ragioni della pronuncia, correlate piuttosto allo ius superveniens che non alla fondatezza dei motivi di ricorso, ricorrono giusti motivi per la compensazione, in ragione di metà, delle spese processuali del presente giudizio, che per il resto, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, ridetermina la somma complessivamente dovuta alla P. in complessivi Euro 21.148,75, con gli interessi, rivalutazione e spese del giudizio di merito come da decisione impugnata. Compensa per metà le spese dell’intero giudizio, liquidate nella totalità in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, ponendole nel resto a carico del Comune di Mandria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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