Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 14-06-2011, n. 429 Commercio, industria e artigianato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’anno 2001 il signor Be. ha presentato all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Messina una domanda intesa ad ottenere la concessione del contributo previsto dall’art. 3 comma 2 lettera e) della legge n. 185 del 1992, in conseguenza dei danni causati dalle piogge alluvionali del settembre 2000 alla sua azienda agricola sita in Comune di Fiumedinisi (Me).

Con decreto dirigenziale l’Ispettorato ha concesso un contributo per un importo pari ad Euro 7.896,67 da liquidarsi "in base ai lavori di ripristino effettivamente eseguiti e subordinatamente all’esito dell’accertamento definitivo…" ed ha assegnato all’interessato il termine di 12 mesi per l’esecuzione dei lavori.

Questi, allo scadere del suddetto periodo, ha chiesto un periodo di proroga di 12 mesi, affermando di non aver potuto completare le opere nel termine assegnato per l’impossibilità di reperire manodopera specializzata.

Con ulteriore decreto l’Ispettorato ha concesso la proroga per 6 mesi e prorogato l’originario termine fino al 23.7.2006.

Con le stesse motivazioni della prima richiesta, in data successiva alla scadenza l’odierno appellante ha chiesto un ulteriore periodo di proroga di 6 mesi.

L’Ispettorato ha respinto l’istanza, rilevando che le motivazioni addotte non giustificavano il ritardo maturato per l’esecuzione dei suddetti lavori, ed ha conseguentemente archiviato l’istanza, dando avvio al procedimento di revoca del contributo.

L’interessato ha presentato una memoria, alla quale ha fatto seguito il provvedimento col quale l’Ispettorato ha revocato il contributo.

Avverso tale provvedimento il signor Be. ha proposto ricorso gerarchico al Dirigente Generale del competente Dipartimento regionale; quindi, decorso il termine di novanta giorni, ha impugnato in sede giurisdizionale il silenzio-rigetto asseritamente formatosi.

Successivamente il Dirigente generale ha rigettato il ricorso gerarchico con provvedimento espresso, impugnato dal ricorrente con motivi aggiunti.

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha dichiarato irricevibile il ricorso principale ma – concesso l’errore scusabile – ha valutato nel merito i motivi aggiunti e li ha respinti.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dal soccombente, il quale ne ha chiesto l’integrale riforma deducendo a tal fine quattro motivi di impugnazione.

Si è costituita la resistente Amministrazione, depositando una memoria volta ad illustrare l’infondatezza dell’appello.

Alla pubblica udienza del 15 marzo 2011 l’appello è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

L’appello non è fondato e va pertanto respinto.

Con il primo motivo l’appellante deduce che ha errato il Tribunale nel dichiarare irricevibile per tardività il ricorso introduttivo.

Dal momento che la impugnabilità in sede gerarchica del provvedimento dirigenziale di revoca del contributo era (sia pure erroneamente) prevista da una clausola apposta in calce al provvedimento stesso l’errore in cui è incorso il ricorrente avrebbe dovuto essere considerato scusabile.

Il mezzo è inammissibile per difetto di interesse.

Il T.A.R. infatti, dopo aver dichiarato tardivo il ricorso avverso l’originario provvedimento di revoca, ha poi qualificato la decisione gerarchica del Dirigente generale come nuovo provvedimento autonomamente lesivo e ciò ha fatto proprio concedendo quell’errore scusabile che il ricorrente oggi invoca.

In sostanza – il che è ciò che conta – sono state esaminate nel merito tutte le censure proposte dal ricorrente, il quale dunque non ha alcun interesse a dolersi della soluzione procedurale adottata dal Tribunale.

Con il secondo motivo, rubricato alla violazione dell’art. 49 della legge regionale n. 13 del 1986, l’appellante sostiene che la richiesta di ulteriore proroga del termine di conclusione dei lavori era giustificata dalle calamità naturali che avevano interessato l’azienda agricola.

Il mezzo è privo di ogni fondamento.

In via principale va rilevato che l’appellante ha giustificato le due successive richieste di proroga adducendo la difficoltà di reperire sul mercato manodopera specializzata in grado di compiere i lavori necessari: quindi ogni approfondimento sulla diversa causa di forza maggiore allegata in sede contenziosa (le suddette calamità naturali) sarebbe in realtà superfluo, non potendosi qui discutere del mancato accoglimento di una giustificazione mai prospettata dal beneficiario del contributo nella sede amministrativa propria.

In ogni caso, e cioè anche a voler prescindere da tale decisivo rilievo, la tesi interpretativa qui sostenuta dall’appellante non può essere condivisa.

L’art. 49 comma decimo lettera c) della legge regionale n. 13 del 1986 e successive modifiche individua – come cause di forza maggiore tali da giustificare una proroga del termine dei lavori ammessi a contributo – le "calamità naturali che abbiano interessato l’azienda".

Come esattamente dimostrato dal T.A.R. elementari esigenze logiche postulano che tra le calamità naturali appunto suscettibili di assurgere a causa impediente di forza maggiore siano ricomprese solo quelle verificatesi dopo la concessione del contributo stesso e cioè le calamità imprevedibili perchè sopravvenute nelle more dell’ultimazio-ne dei lavori.

Se invece gli eventi naturali allegati a giustificazione si sono verificati – come nel caso all’esame – prima della concessione del contributo l’interessato è già in grado ab initio di organizzarsi onde ultimare i lavori nel termine di legge.

Infondato è anche il terzo motivo col quale l’appellante deduce il difetto di istruttoria e di motivazione che vizierebbe gli atti impugnati.

Le considerazioni svolte nelle premesse dei provvedimenti impugnati risultano infatti congrue ed adeguate alla fattispecie, dando esse pienamente conto delle ragioni giuridiche e fattuali che imponevano la revoca del contributo per sostanziale inadempimento del beneficiario.

Non può del resto non considerarsi che, come posto in luce dall’Ispettore provinciale, per l’esecuzione dei lavori previsti in progetto era stato stimato un termine reale di esecuzione massimo di mesi tre, a fronte del quale l’interessato, in virtù della successiva proroga, ha avuto in concreto a disposizione un periodo complessivo di diciotto mesi.

Infine non sussiste la lamentata violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento, perché l’Amministrazione – come risulta dalle motivazioni fornite a supporto del provvedimento impugnato – ha tenuto adeguatamente conto delle ragioni impeditive del ricorrente, con particolare riferimento alla invocata causa di forza maggiore.

Con l’ultimo motivo l’appellante deduce che l’Amministrazione ha erroneamente disposto la revoca integrale del contributo invece di procedere – come previsto nel decreto di concessione – ad una sua riduzione, con liquidazione dei lavori effettivamente eseguiti.

Il mezzo va disatteso.

Con affermazione non contestata dal ricorrente l’Amministrazione ha infatti chiarito di avere – specie in occasione della seconda richiesta di proroga – più volte invitato il tecnico progettista del ricorrente ad avanzare richiesta di collaudo parziale dei lavori effettivamente eseguiti, richiesta che però non è mai stata presentata.

Ed anche nelle memorie prodotte a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di archiviazione, l’interessato si è limitato a ribadire la richiesta di proroga, non prospettando, neanche come ipotesi subordinata, la possibilità di un collaudo parziale delle opere eseguite, per le quali, peraltro, non sono mai stati presentati elaborati esecutivi e relativa documentazione: il che porta a concludere, anche in base al principio dell’onere della prova, che nessun lavoro liquidabile fosse stato veramente eseguito nei termini.

Sulla base delle esposte considerazioni l’appello va quindi respinto.

Ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente sentenza.

Le spese di questo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate forfettariamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’Amministrazione di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori per le spese e gli onorari della presente fase del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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