Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-02-2011) 10-06-2011, n. 23469

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 18 novembre e depositata il 23 novembre del 2010 la Corte di assise di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, pronunciando in sede di opposizione avverso proprio precedente provvedimento del 2 ottobre 2007, ha confermato la confisca dell’appartamento in (OMISSIS) (provincia di (OMISSIS)), (OMISSIS), intestato a G.C., moglie di P.M., quest’ultimo condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, usura e riciclaggio, ritenendone ingiustificata la provenienza per la rilevata sproporzione tra il valore dell’immobile e i redditi dichiarati ovvero le attività economiche svolte dagli stessi coniugi.

2. Avverso la suddetta ordinanza la G., tramite il suo difensore, avvocato Salvino Greco, ha proposto ricorso a questa Corte, denunciando inosservanza delle disposizioni di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito nella L. n. 356 del 1992, nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per la non provata fittizieta dell’intestazione dell’immobile alla sua persona, in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale, nel caso di confisca di beni di cui sia intestataria persona diversa dal condannato per delitti di mafia o altri gravi reati previsti dalla cit. art. 12 sexies, richiede la prova rigorosa, incombente sul pubblico ministero, della non coincidenza tra titolarità formale e disponibilità effettiva del bene attribuito alla persona condannata e non a quella interposta come apparente titolare di esso.

Nella fattispecie, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che i coniugi P. – G. erano separati fin dal lontano 2001 e non avevano più avuto alcun contatto tra loro già in epoca precedente l’instaurazione del procedimento di separazione, mentre l’immobile era stato acquistato nel successivo anno 2005 con denaro di cui la G. aveva dato ampia giustificazione, al punto che l’impresa individuale di affittacamere, denominata " (OMISSIS) di G.C.", di cui la ricorrente era titolare, così come la sua autovettura, Peugeot 206, erano state dissequestrate dalla stessa Corte di assise di Salerno.

La denunciata mancanza di elementi fattuali gravi, precisi e concordanti, idonei a dimostrare la prospettiva accusatoria, avrebbe dovuto imporre, quindi, al giudice dell’esecuzione il dissequestro e la restituzione anche dell’appartamento sequestrato alla G., sua legittima proprietaria.
Motivi della decisione

3. Va premesso che la speciale ipotesi di confisca in esame, prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, comma 1, convertito in L. n. 356 del 1992, introdotto dal D.L. n. 399 del 1994, art. 2, convertito in L. n. 501 del 1994, costituisce misura di sicurezza patrimoniale che colpisce tutti i beni dei quali non sia stata giustificata la provenienza, di valore sproporzionato al reddito o all’attività economica di chi sia condannato per uno dei delitti indicati nella medesima disposizione, dal momento che il legislatore opera una presunzione di illecita accumulazione senza distinguere se detti beni siano o meno collegati da nesso pertinenziale al reato per il quale è stata inflitta condanna e, quindi, a prescindere dall’epoca del loro acquisto (Sez. 2, n. 5358 del 23/09/1998, dep. 25/11/1998, Simoni, Rv. 211909; Sez. 5, n. 5111 del 22/09/1998, dep. 24/11/1998, Sibio, Rv. 211925).

Sempre in premessa, merita di essere ribadita la soluzione interpretativa elaborata con plurime decisioni da questa Corte, secondo cui il cit. art. 12 sexies, comma 1, ha introdotto, con riferimento ai soggetti condannati per determinati reati tassativamente previsti dalla disposizione di legge in questione e limitatamente a beni di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata, una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, trasferendo sul soggetto, che ha la titolarità o la disponibilità di beni, l’onere di giustificarne la provenienza, con l’allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione. Con l’avvertenza però che, nell’ipotesi di beni intestati a un terzo, ma che si assume siano nella effettiva titolarità o disponibilità della persona condannata e, come tali, soggetti a confisca ove non se ne dimostri dall’interessato la legittima provenienza, l’indagine al fine di disporre la misura di sicurezza patrimoniale deve essere rigorosa, tanto più se il terzo intestatario sia un estraneo che non abbia vincoli lato sensu di parentela o di convivenza con il condannato, rispetto ai quali è più accentuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile l’effettiva disponibilità dei beni da parte del medesimo. In tali situazioni la confisca può investire beni che in tutto o in parte possono essere di un soggetto che non è neppure imputato e, pertanto, sarebbe illogico ed improprio gravare la stessa persona, immune da censure sotto il profilo penale, della misura di sicurezza patrimoniale, imputandogliela in proprio. Incombe in tal caso sull’accusa l’onere di dimostrare, ai fini dell’operatività nei confronti del terzo del sequestro e della successiva confisca, l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sì che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca; il giudice ha a sua volta l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, sì da costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 11049 del 05/02/2001, dep. 21/03/2001, Di Bella, Rv.

226053; Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, dep. 24/01/2008, Catania, Rv.

239269; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, dep. 15/07/2010, Buompane, Rv. 247722).

4. Nel caso in esame, la Corte territoriale non ha violato la regola probatoria suindicata e ha dato ampia ragione, con motivazione coerente e immune da vizi logici e giuridici, della riconducibilità dell’appartamento sequestrato al condannato, P., e non alla sua apparente intestataria, G., moglie separata del primo.

Contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte di merito ha, infatti, valutato l’Introduzione nell’ottobre 2001 della causa di separazione dei coniugi P. – G., su iniziativa del marito, peraltro non ancora sfociata in alcuna sentenza, e l’acquisto dell’appartamento intestato alla sola G. nel successivo anno 2005, ma ha motivatamente ritenuto siffatti elementi non determinanti per escludere che l’immobile fosse stato acquistato con denaro tratto dall’attività illecita del P., ravvisando, con motivazione adeguata e coerente, la prova del simulato acquisto da parte della ricorrente sulla base dei seguenti elementi: a) sproporzione tra il valore dell’immobile al momento della sua alienazione, indicato in Euro 44.000,00, e la mancanza di redditi dichiarati dalla ricorrente nel periodo compreso tra il 1996 e il 2005, fatta eccezione per il 2002 in cui denunciò l’irrisorio reddito di L. 213.000; b) avvenuta riscossione, da parte della stessa G., il 10 aprile 2000, prima dunque dell’instaurazione della causa di separazione su iniziativa del P., della somma di L. 200.000.000 presso l’istituto bancario Monte dei Paschi di Siena di (OMISSIS) per scadenza di titoli al portatore, e, il successivo 30 dicembre 2003, dell’ulteriore somma di Euro 46.500,00 presso il Monte dei Paschi di Siena di (OMISSIS) (in provincia di (OMISSIS)) per scadenza di un certificato di deposito al portatore precedentemente movimentato, rinnovato ed acceso dalla figlia, P.R., nata dalla sua unione con P. M., senza alcuna giustificazione di provenienza delle dette somme; c) avvio dell’attività economica di affittacamere da parte della ricorrente, quale titolare della predetta omonima impresa individuale "(OMISSIS), solo a partire dall’anno 2006 e, quindi, successivamente all’acquisto dell’appartamento ubicato nella medesima cittadina piemontese.

La Corte territoriale ne ha, dunque, tratto la motivata e fondata convinzione che il capitale utilizzato per l’acquisto dell’appartamento, nel 2005, sia da attribuire all’illecita attività del P., condannato per associazione di tipo mafioso ed altri gravi delitti, il quale, tramite la moglie separata, lo avrebbe investito nell’acquisto nell’immobile in esame per salvaguardarlo, a beneficio della famiglia (dall’unione del P. e della G. è nata, come si è detto, una figlia), da eventuali provvedimenti ablativi dell’Autorità.

La puntuale analisi in concreto svolta dalla Corte di merito per accertare l’effettiva titolarità dell’appartamento de quo, lungi dall’essere contraddetta come ritenuto dalla ricorrente, è, al contrario, confermata dal disposto dissequestro dell’impresa individuale di affittacamere con relativi beni aziendali, gestita dalla stessa G. in (OMISSIS), e dal pur deliberato dissequestro della sua autovettura Peugeot 2006.

Mantenendosi coerente alla rigorosa metodologia probatoria applicata, la Corte di merito ha, infatti, proceduto a separata analisi delle fonti economiche giustificative di ciascuno dei beni e attività di cui risulta titolare la G. e ha ritenuto che non sussistesse, limitatamente all’azienda individuale e all’autovettura, la sproporzione del loro valore alle risorse economiche della ricorrente, risultando documentalmente provato il conseguimento, da parte della stessa, di due finanziamenti in tempi successivi: l’uno dell’importo di Euro 35.000,00 erogatole il 23 ottobre 2006 e l’altro dell’importo di Euro 9.341,00 ottenuto il 31 maggio 2006, finalizzati, rispettivamente, all’intrapresa attività economica, "Minihotel Soleluna di Greco Carmela" B & B residence, e all’acquisto dell’autovettura Peugeot.

5. Avendo, dunque, la Corte di merito adeguatamente motivato la confisca disposta ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, comma 1, convertito in L. n. 356 del 1992, cit., nel rispetto dell’onere della prova incombente al pubblico ministero per essere il bene confiscato nella formale titolarità di persona diversa dal condannato, ne discende il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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