T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., 14-06-2011, n. 3133 Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Con il ricorso in esame P.F., dipendente dell’Amministrazione Comunale di Pozzuoli (NA), dall’1.12.1981, con la qualifica di operatore ed inquadrato nel III livello retributivo, ha impugnato il silenzio rifiuto che si sarebbe formato in relazione all’atto di diffida notificato in data 29.7.1991 inteso a conseguire a far data dal 16.7.1982, la retribuzione e le indennità spettantegli, ai sensi dei vigenti accordi nazionali, relative alla qualifica di Ufficiale Amministrativo – VI qualifica funzionale, ivi comprese quelle per lavori straordinari, tredicesima mensilità, compenso sostitutivo per ferie eventualmente non godute, il versamento dei contributi previdenziali; ha chiesto, altresì l’accertamento del proprio diritto a ricevere – e del correlativo obbligo del Comune di liquidargli e corrispondergli – con decorrenza dal 24.2.1982, i suddetti emolumenti e la conseguente condanna dell’intimato Comune, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle somme come sopra riconosciute spettanti, oltre alle maggiorazioni a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria.

A tali fini, evidenziato di aver svolto mansioni di Ufficiale Amministrativo presso gli Uffici Comunali della IV Ripartizione del Comune di Pozzuoli – come si evincerebbe dalla nota prot. n. 6846 del 24.2.1982, con cui il Capo della IV Ripartizione comunicava all’Ufficio del personale che il P. aveva regolarmente preso servizio presso gli uffici della stessa Ripartizione, dall’atto ricognitivo prot. n. 31083 del 31.3.1983, con cui l’Assessore ai servizi demografici attestava che prestava mansioni impiegatizie (Ufficiale Amministrativo) fin dalla data di destinazione agli Uffici Demografici (24.2.1982) ed, infine, da vari atti formali con cui il Sindaco gli aveva delegato le funzioni di Ufficiale di Anagrafe e di Ufficiale di Stato Civile, incaricandolo, altresì, ai sensi della L. 4.1.1968, n. 15 a provvedere all’autentica della sottoscrizione di alcuni atti, funzioni implicanti mansioni corrispondenti a quelle di cui alla 6^ qualifica funzionale ex D.P.R. n. 347/1983 – parte ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

1) Violazione di legge (art. 25 T.U. 10.1.1957, n. 3; art. 72 D.P.R. n. 268/1987; artt. 3, 36 e 97 Cost.; art. 2126 cod. civ.) – Eccesso di potere (per illogicità, contraddittorietà tra atti e comportamenti,manifesta ingiustizia);

2) Violazione della normativa sub 1) sotto altro aspetto – Violazione degli artt. 2, 3 e ss. L. 7.8.1990, n. 241 per carenza di motivazione.

L’intimato Comune non si è costituito in giudizio ed alla pubblica udienza del 28 aprile 2011 la causa è passata in decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente il Collegio deve prendere atto della dichiarazione del difensore di parte ricorrente della persistenza nel proprio assistito dell’interesse alla definizione del giudizio.

2. Il Collegio è chiamato a pronunciarsi su due domande: la prima avente ad oggetto l’annullamento del silenziorifiuto formatosi sull’atto stragiudiziale di diffida notificato al Comune di Pozzuoli in data 29.7.1991, la seconda – strettamente connessa alla prima in quanto inerente direttamente all’accertamento delle pretese sostanziali avanzate dal ricorrente con il suddetto atto di diffida ritualmente notificato – avente ad oggetto l’accertamento del diritto a ricevere – e del correlativo obbligo del Comune di liquidargli e corrispondergli – con decorrenza dal 24.2.1982, la retribuzione e le indennità a lui spettanti, in virtù dei vigenti accordi nazionali, relative alla qualifica di Ufficiale Amministrativo – VI qualifica funzionale, ivi comprese quelle per lavori straordinari, tredicesima mensilità, compenso sostitutivo per ferie eventualmente non godute, il versamento dei contributi previdenziali, con la conseguente condanna dell’intimato Comune al pagamento delle somme come sopra riconosciute spettanti, maggiorate dagli interessi legali e rivalutazione monetaria, dalla maturazione di ogni singolo credito sino al soddisfo.

3. Per ragioni di ordine logico conviene anteporre alla prima la disamina seconda censura, in quanto attinente direttamente all’accertamento della pretesa sostanziale del ricorrente a ricevere, con decorrenza dal 24.2.1982, le differenze retributive tra il III livello funzionale retributivofunzionale ex D.P.R. n. 347/1983, con la qualifica di operatore, e la VI ex D.P.R. n. 347/1983, con la qualifica di Ufficiale Amministrativo, unitamente alle indennità spettantegli, ai sensi dei vigenti accordi nazionali, relative alla qualifica di Ufficiale Amministrativo – VI qualifica funzionale, ivi comprese quelle per lavori straordinari, tredicesima mensilità, compenso sostitutivo per ferie eventualmente non godute, il versamento dei contributi previdenziali.

4. Al riguardo il Collegio ricorda in via generale che il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria ha definitivamente chiarito che, per il periodo anteriore alla privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche Amministrazioni, nessuna norma o principio generale desumibile dall’ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego, le quali dunque, salvo che una disposizione di legge non disponga altrimenti (come comparto sanitario), sono del tutto irrilevanti dal punto di vista giuridico ed economico.

Tanto perché nel rapporto di pubblico impiego le prestazioni delle parti sono oggetto di dettagliate previsioni normative, per le quali il pagamento di somme spettanti a titolo di retribuzione può avvenire solo nei casi previsti dall’ordinamento ed una deroga a tale principio generale non è rinvenibile nell’art. 72 del D.P.R. 13.5.1987, n. 268, alla stregua del quale: " In caso di vacanza del posto di responsabile delle massime strutture organizzative dell’ente, le funzioni stesse possono essere transitoriamente assegnate a dipendente di qualifica immediatamente inferiore (…….) "

Invero, a prescindere che la previsione normativa presuppone la "vacanza del posto di responsabile delle massime strutture organizzative dell’ente", nel caso di specie indimostrati, quanto alla "effettività" di siffatta disciplina, il ricorrente non tiene debito conto della successiva evoluzione del quadro normativo di riferimento e, quand’anche questo si fosse evoluto nel senso a lui gradito, in ogni caso si tratterebbe di una normativa che giammai potrebbe applicarsi retroattivamente ai periodi di servizio interessati dalle vicende riferite in gravame.

Anzitutto, l’art. 25 del D.L.vo n. 98 del 1980, nel novellare il citato art. 56 del D.L. vo n. 80/98, al comma 6, ha stabilito che: " le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali previsti dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita " e che " in nessun caso, fino alla decorrenza fissata dai contratti collettivi, lo svolgimento di mansioni superiori può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore ". Inoltre, anche qualora debba ritenersi eliminato, per opera della normativa di cui al D.L. vo n. 387 del 1998 (in tal modo attribuendo rilievo economico alle mansioni superiori svolte anche prima della definizione dei criteri in sede di contrattazione collettiva integrativa), il divieto di corrispondere differenze retributive, quest’ultimo, nel caso di specie, non resta scalfito qualora si operi una rigorosa applicazione del principio tempus regit actum. In tal caso appare quanto mai evidente come il divieto non potrebbe che riferirsi a periodi del rapporto di lavoro successivi alla entrata in vigore del citato Decreto n. 387, atteso che – secondo la sentenza n. 10 del 28.1.2000, resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – il diritto del pubblico dipendente che ne abbia svolte le funzioni al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore va riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dall’entrata in vigore del D.L. vo n. 387/98, con la precisazione che il riconoscimento legislativo di tale diritto possiede carattere innovativo e non riverbera in nessun modo la propria efficacia su situazioni pregresse. Sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. a cagione della differenza di disciplina ancorata al solo dato temporale, l’Adunanza Plenaria ne ha esclusa l’illegittimità sostenendo che lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé elemento differenziatore della fattispecie. Pertanto è perfettamente legittima una normativa sopravvenuta che introduca determinati benefici economici solo per l’avvenire, senza che possa porsi nessuna questione di disparità di trattamento rispetto al mancato riconoscimento anche in relazione a fatti avveratisi antecedentemente alla entrata in vigore della nuova normativa. Invero in casi del genere la scelta operata dal Legislatore appare legata esclusivamente a valutazioni di opportunità politica e, come tale, del tutto incensurabili nel merito, sì come conseguenza dell’ordinario succedersi delle leggi nel tempo, il quale ultimo rappresenta da solo elemento per sufficiente per una ragionevole discriminazione di situazioni solo apparentemente analoghe, per tal guisa, finendo per assecondare la naturale evoluzione dell’ordinamento.

In buona sostanza, sotto il profilo concernente lo svolgimento di mansioni superiori il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, atteso che, da un lato, gli interessi pubblici hanno carattere indisponibile e, dall’altro, l’attribuzione delle funzioni e del correlativo trattamento economico debbono avere il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento (Cfr. C. di S., sez. VI, 18.1.1995, n. 89).

L’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare, infatti, incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (che nel disporre che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione" vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.

Ancora più di recente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 3 del 24 marzo 2006, ha ribadito che: "Per effetto della modifica apportata dall’art. 15 dlgs n. 387 del 1998, il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del dlgs. n. 387 del 1998 (22 novembre 1998) (ossia, nel caso di specie, da data successiva alla notificazione del ricorso), poiché la norma, non avendo portata interpretativa, non può che disporre per il futuro e, pertanto, non produce alcun effetto in relazione alle situazioni pregresse".

5. Ne consegue, che il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di appartenenza, deve ritenersi riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, che all’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del D. L. vo 3 febbraio 1993 n. 29 (Cfr. Cons. Stato, A.P., 18 novembre 1999, n. 22; 28 gennaio, n. 10 e 23 febbraio n. 11) ed il riconoscimento di tale diritto, avendo carattere innovativo, non può, in ogni caso, ritenersi applicabile a situazioni antecedenti alla data di entrata in vigore del sopra citato decreto delegato n. 387 del 1998, con la conseguenza che le mansioni superiori asseritamente svolte dall’odierno ricorrente prima del citato termine non producono alcun effetto né giuridico né economico.

6. Alla luce di tale orientamento risultano irrilevanti tutte le circostanza di fatto evidenziate in ricorso atteso che, nella fattispecie, gli ordini o incarichi di servizio richiamati in gravame emanati dall’organo amministrativo a tal fine competente siano serviti per il conferimento di mansioni superiori ovvero, comunque, per ricollegare ad essi un preteso trattamento retributivo differente e più favorevole rispetto a quello sino a quel momento formalmente spettante. Pertanto essi non hanno avuto nessun rilievo al fine di modificare l’inquadramento funzionale del ricorrente ovvero soltanto per rendere retribuibili presunte mansioni superiori, riferendosi a meri incarichi di lavoro a lui assegnati. Per costante giurisprudenza l’inquadramento funzionale di un pubblico dipendente non è un evento che può avverarsi dall’oggi al domani ma un risultato al quale può addivenirsi sempre e soltanto all’esito della diretta e vincolata applicazione di una normativa (legale o contrattuale), ovviamente sul presupposto della disponibilità di un posto in organico e solo in presenza di specifici atti formali (provenienti dall’Organo competente) che, in forza della citata normativa, siano in grado di mutare lo status giuridico del dipendente: non sembra che, nella fattispecie, una tale ipotesi possa dirsi avverata, al di là dell’inquadramento del ricorrente nella nel III livello retributivo funzionale con la qualifica di operatore..

7. Siffatta impostazione, per quanto formalistica, non è suscettibile – come vorrebbe parte ricorrente – di essere superata attraverso un’applicazione diretta dell’art. 36 Cost. inteso come disposizione immediatamente precettiva che consentirebbe – grazie anche all’applicazione congiunta dell’art. 2126 cod.civ. – la "messa a regime" di un sistema di automatica remunerazione delle funzioni superiori e/o diverse effettivamente espletate rispetto a quelle formalmente spettanti.

L’argomento prova troppo in quanto la dominante giurisprudenza ritiene preclusa l’applicazione dell’articolo da ultimo citato nel pubblico impiego, avvertendo che: " L’art. 2126, con il garantire la remunerazione del dipendente, anche quando il titolo sia nullo o annullato, riguarda fattispecie del tutto diversa da quella in esame " (C. di S., sez. V, 24.3.1998, n. 354).

Pertanto può fondatamente sostenersi l’esistenza nel nostro ordinamento di un principio del trattamento giuridico ed economico coerente con la qualifica formalmente posseduta dal pubblico dipendente che si desume dall’insieme delle norme regolanti il rapporto di pubblico impiego e che può essere derogato solo da una norma espressa che attribuisca conseguenze giuridiche ed economiche all’esercizio di fatto delle mansioni superiori; in difetto di tale espressa previsione, nel rapporto di pubblico impiego sono prescritti e regolamentati l’accesso, la progressione ed il passaggio alle varie qualifiche (ex multis: C. di S., Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22).

8. Antecedentemente alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, l’attribuzione delle mansioni ed il relativo trattamento economico trovavano il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento ad eccezione del caso in cui una norma speciale non disponesse altrimenti con la conseguenza che l’inquadramento in qualifiche superiori può avvenire soltanto a seguito di concorso pubblico e cioè in base a criteri obiettivi di selezione, in conformità al principio di cui all’art. 97 Cost.

9. A tal punto di appalesa l’infondatezza anche della prima censura nella quale parte ricorrente lamenta l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione Comunale sulla diffida notificata in data 29.7.1991.

Riguardo alla verifica dell’ obbligo di provvedere, il Collegio ricorda che la stessa non va compiuta in astratto, ma in relazione alla domanda, perché quella invocata al Giudice investito della controversia non è una pronuncia qualsiasi, ma una pronuncia di comportamento positivo in relazione ad un preteso provvedimento che, almeno in via astratto, possa essere satisfattorio dell’interesse sostanziale fatto valere (Cfr. Cons. Stato VI Sez. 19.2.1993 n. 170; idem, 29.1.1997 n. 162; TAR Lazio, I Sez. 28.1.1998 n. 457).

Infatti, seppure in un ambito di attribuzioni amministrative contrassegnato da profili di discrezionalità, che, almeno in linea teorica, si oppone ad una definizione del provvedimento richiesto dal privato in termini di prestazionepretesa, è pur sempre rispetto all’oggetto concreto del procedimento, come individuato dalle allegazioni dell’istante, che vanno sindacati l’esistenza dell’obbligo di provvedere e l’eventuale inadempimento e, ciò, Infatti, seppure in un ambito di attribuzioni amministrative contrassegnato da profili di discrezionalità, che, almeno in linea teorica, si oppone ad una definizione del provvedimento richiesto dal privato in termini di prestazionepretesa, è pur sempre rispetto all’oggetto concreto del procedimento, come individuato dalle allegazioni dell’istante, che vanno sindacati l’esistenza dell’obbligo di provvedere e l’eventuale inadempimento; ciò, trova conferma nell’art. 31 cod. proc. amm. che, al comma 3, prevede che: " il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio ", anche se ciò non è possibile in presenza di attività discrezionale.

Invero la pratica giurisprudenziale corrente conferma, infatti, che, almeno in via puramente astratta, a tale fondatezza più che alla mera attribuzione del potere, occorre aver riguardo sia per accertare sia l’esistenza concreta dell’obbligo di provvedere sia l’effettiva realizzabilità dell’interesse sostanziale fatto valere in giudizio avverso il silenzio inadempimento (Cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 12 gennaio 2006, n. 270, Consiglio Stato sez. IV, 14 luglio 2003 n. 4159 e sez. VI, 10 febbraio 2003, n. 672).

L’evoluzione giurisprudenziale ha portato a ritenere che l’obbligo di provvedere sancito, con disposizione generale, dall’art. 2 della L. n. 241 del 1990 non sussiste nelle seguenti ipotesi: a) istanza di riesame dell’atto inoppugnabile per spirare del termine di decadenza (ex multis: C. di S., Sez. IV, n. 69/1999; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 5014/200); b) istanza manifestamente infondata (ex multis: C. di S., sez. IV, n. 6181/2000; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 1969/2002); c) istanza di estensione ultra partes del giudicato (ex multis: C. di S., Sez. VI, n. 4592/2001).

10. Nella fattispecie atteso che la diffida de qua, da quando si è andato esponendo, risulta ictu oculi infondata sub lettera b), nel caso del ricorrente non sussiste alcun obbligo per l’intimato Comune di adottare un provvedimento espresso, debitamente motivato, sulla diffida notificata in data intesa a conseguire l’adeguamento retributivo, con l’inammissibilità della domanda che ne consegue.

10. Ne deriva che la pretesa del ricorrente a percepire le differenze retributivi inerenti ad un inquadramento funzionale diverso da quello a lui formalmente spettante è ictu oculi totalmente priva di fondamento con la conseguenza che, in relazione alla relativa richiesta, non è neppure ipotizzabile l’esistenza di un obbligo di provvedere espressamente.

11. Le considerazioni che precedono inducono alla reiezione del ricorso.

12. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare fra le parti le spese giudiziali.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Quinta Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 8308/1991 R.G.), proposto da P.F., lo rigetta.

Compensa fra le parti le spese, le competenze e gli onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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