Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-10-2011, n. 21519 Esecuzione forzata per consegna o rilascio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia concerne la proprietà di vasti terreni, circa 230 ettari, siti in agro di (OMISSIS), F. 22 mappali 1 e 2 e 3, acquisiti, con decreto di trasferimento del giudice fallimentare di Roma, dai sigg. G.G. ed Mo.Ez.. Costoro intimarono nel 1997 precetto di rilascio a C.G., E. e Gi..

Il tribunale di Cagliari, investito da opposizione dei C. del 17 febbraio 1997, accolse la domanda di usucapione per possesso ultraventennale proposta dai C.; dichiarò l’inesistenza del diritto degli acquirenti di procedere ad esecuzione forzata;

dichiarò inammissibile la domanda di rilascio svolta dalla sas Riserva S. Angelo di Mura Bruno & C, intervenuta in giudizio affermandosi promissaria acquirente dei terreni de quibus. Riuniti gli appelli proposti dalla sas Riserva S. Angelo e da G. G., la Corte d’appello di Cagliari il 26 maggio 2008 riformava la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di usucapione e condannava i signori C. al rilascio dei terreni. E. e Ci.Gi. e gli eredi di C.G. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 27 ottobre 2008 e il 12 novembre 2010, a seguito di ordinanza di integrazione del contraddittorio resa da questa Corte il 19 ottobre precedente. M. B., accomandatario della sas, ha resistito con controricorso.

G. e gli eredi Mo. sono rimasti intimati. Sono state depositate memorie.
Motivi della decisione

Con unico motivo di ricorso, i signori C. lamentano violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea, illogica e contraddittoria valutazione delle risultanze processuali di primo grado, prova testimoniale e relazione di consulenza d’ufficio con riferimento all’art. 1158 c.c. e segg. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorso è soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, giacchè il nuovo rito, che abroga l’art. 366 bis c.p.c., si applica, per effetto della disposizione transitoria contenuta nella L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, solo con riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge (Cass. 26364/09).

Parte resistente ha eccepito la inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Il rilievo, che è comunque oggetto di esame officioso, coglie nel segno.

Il ricorso omette senz’altro la formulazione di quesito di diritto a conclusione del motivo. Ne da atto parte ricorrente in memoria (pag.

2), riconoscendo che questa scelta dipende dal fatto che l’impugnazione verte sulla valutazione delle risultanze istruttorie e quindi, più esattamente, su censure alla motivazione.

Tuttavia anche quanto alla parte di questo motivo che espone vizi di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, si rileva la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione.

In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08;

16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere. Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Invano parte ricorrente sostiene di aver "posto in risalto", in ricorso, "le parti controverse" della sentenza impugnata. Nella norma dell’art. 366-bis cod. proc. Civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione" – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

Le carenze registrate nel caso di specie sono evidenti e rendono inammissibile il ricorso per difetto di una chiara conclusiva sintesi dei fatti controversi, che dovrebbero essere estrapolati dalla Corte solo con paziente lettura.

Mette conto inoltre rilevare che il ricorso si risolve nella richiesta di rivisitazione del giudizio di merito reso dalla Corte territoriale in ordine alla configurabilità dell’usucapione. Mette conto ricordare che i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass 6064/08;

18709/07).

La censura per vizi della motivazione deve porre in risalto decisivi errori della motivazione, cioè incongruenze tali, per illogicità e/o insufficienza, da rendere del tutto insoddisfacente il percorso seguito dal giudice di merito per giustificare la decisione.

Le argomentazioni esposte in ricorso, peraltro in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, perchè non è riportato per esteso il testo delle risultanze oggetto di doglianza, non palesano la necessaria decisività, ma sollecitano solo una diversa valutazione dei fatti.

Ne consegue anche sotto questo profilo la inammissibilità del ricorso.

Va disposta pertanto la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione al controcorrente costituito delle spese di lite liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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