Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
e Carmine, che chiede il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.1.- Con ordinanza 21.6.2010 il GIP del Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, pronunciava ordinanza con la quale decideva contestualmente: 1) le richieste del PM di revoca della sospensione condizionale della pena concessa a I.M. con sentenza 28.2.2002 del Tribunale Monocratico di Roma, di revoca dell’indulto, applicato al medesimo, ai sensi della L. n. 241 del 2006, con ordinanza 6.4.2007 del GIP del Tribunale di Roma nella misura di mesi 1 e giorni 19 di reclusione costituente parte residua della pena inflittagli con la sentenza 24.9.2002 del Tribunale di Roma; 2) la richiesta del difensore dello I., volta ad ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione in relazione ai reati per i quali erano state pronunciate le sentenze 28.2.2002 del Tribunale di Roma, 24.9.2002 del Tribunale di Roma e 17.5.2007 del GIP del Tribunale di Roma; 3) la richiesta della stessa difesa di scarcerazione dello I..
Il GIP accoglieva entrambe le richieste del Pm in ragione del fatto che: 1) la sospensione condizionale della pena, di mesi 10 e giorni 20 di reclusione, inflitta con la sentenza 28.2.2002 del Tribunale monocratico di Roma andava revocata di diritto ai sensi dell’art. 168 c.p., comma 1, per avere commesso lo I., il (OMISSIS), entro i cinque anni successivi alla irrevocabilità della condanna, un ulteriore delitto per il quale era stato condannato a pena detentiva con la sentenza 17.5.2007 del GIP del Tribunale di Roma, irrevocabile l’8.1.2009; 2) il beneficio dell’indulto, concesso nella misura di mesi 1 e giorni 29 di reclusione, andava revocato di diritto, ex L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, poichè il condannato, il 2.11.206, entro i cinque anni successivi al 1 agosto 2006, data di entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, aveva commesso un delitto per il quale era stato condannato a pena detentiva- anni 4 e mesi 9 di reclusione- con sentenza 17.5.2007 del GIP del Tribunale di Roma, irrevocabile l’8.1.2009.
Respingeva la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato, presentata dal difensore del prevenuto, sul rilievo che unico elemento addotto a sostegno era la circostanza che tutti i delitti, dei quali alle sentenze indicate, erano stati commessi a causa dello stato di tossico ed alcool dipendenza dello I. e tale elemento, pur essendo indicato nell’art. 671 c.p.p. tra quelli da valutare ai fini del riconoscimento della continuazione, nel caso di specie non aveva concreta incidenza.
Il GIP respingeva anche l’istanza di scarcerazione sul presupposto che l’ordine di carcerazione, emesso il 3.4.2009 dal PM a seguito di cumulo, fosse, comunque, esecutivo anche per la parte di pena calcolata quale residuo da espiarsi, nella misura di anni 1 e giorni 9, in riferimento alla revoca della sospensione condizionale della pena e dell’indulto, avendo il PM contestualmente richiesto al giudice dell’esecuzione i relativi provvedimenti e trattandosi di ipotesi di revoca obbligatorie ed automatiche.
1.2.- Propone ricorso per Cassazione il difensore di I.M. avvocato Spuntarelli Federico per i seguenti motivi:
1) Nullità dell’ordinanza per violazione del combinato disposto di cui all’art. 670 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Assume il ricorrente che il giudice dell’esecuzione nel respingere la richiesta di scarcerazione dello I. abbia fondato la sua decisione su un’unica pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. 1 n. 7338/2002 ric. Liguori, senza tenere alcun conto delle altre sentenze di legittimità e, in particolare, della sentenza n. 5153/98, sez. 1 ric. Quintano, prodotta in atti, nella quale veniva riconosciuta al PM la facoltà di emettere provvedimento di esecuzione anche per le pene in relazione alle quali doveva essere pronunciata revoca dei benefici, ma era attribuito unicamente al giudice dell’esecuzione il potere di risolvere la condizione sospensiva relativa alla possibile o certa revoca dei benefici, di guisa che l’ordine di esecuzione del PM poteva avere una efficacia solo parziale, in attesa della decisione del giudice. La interpretazione fornita nel provvedimento impugnato comporterebbe, se condivisa, una disparità di trattamento tra il condannato in libertà, il quale potrà tranquillamente attendere il termine ordinario prima di vedere messa in esecuzione una pena coperta da benefici revocandi, e quello detenuto che invece vedrebbe anticipata l’espiazione di una pena non ancora non eseguibile, oltre a sostanziare una portata abrogativa dell’art. 674 c.p.p.. Tenuto conto, altresì, che lo I. avrebbe diritto non solo alla scarcerazione ma anche, in conseguenza di questa, all’emissione di un ordine di esecuzione sospeso ai sensi dell’art. 656 c.p.p..
Chiede, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e la liberazione del ricorrente o, in subordine, atteso il contrasto giurisprudenziale, la rimessine di ricorso alle Sezioni Unite.
2) Nullità dell’ordinanza per violazione del combinato disposto di cui alla L. n. 49 del 2006, art. 4 vicies e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
L’ordinanza è, secondo il ricorrente, assolutamente carente di motivazione nella parte relativa alla argomentazione esposta in riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra diversi reati, così come domandato con l’incidente di esecuzione, laddove afferma che la L. n. 49 del 2006, art. 4 vicies opera allorquando lo stato di tossico o alcool dipendenza ha determinato la commissione dei reati finalizzati all’approvvigionamento delle sostanze utilizzate. Si tratta di una interpretazione restrittiva e non conforme alla piena rilevanza che, invece, il legislatore del 2006 ha voluto dare allo stato di dipendenza da sostanze del condannato, senza limitarsi a specificare, per l’applicazione del disposto, la finalità dei reati consumati o tentati. L’espressione usata dal legislatore "fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza", ed in particolare l’espressione "in relazione allo stato di tossicodipendenza" non deve essere intesa, come motivato nella decisione del giudice dell’esecuzione, solo quale azione, o pluralità di azioni, finalizzati a procurarsi i mezzi per l’acquisto delle sostanze da assumere, quanto, piuttosto, quale riferimento ad una situazione, di fatto, che connota Fazione di chiunque, a causa della propria dipendenza, si trovi a commettere dei reati. Concludeva, quindi, il difensore per l’annullamento della ordinanza impugnata.
1.3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte Dott. Carmine Stabile, con atto depositato il 26.10.2010, chiede il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni.
Motivi della decisione
2.- Il Ricorso è infondato.
2.1- Riguardo al primo motivo, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che il Collegio condivide: "In tema di revoca di benefici, quando la stessa sia prevista come obbligatoria ed automatica, in conseguenza dell’intervenuta condanna per reati commessi entro un certo termine, la pur necessaria pronuncia formale adottata ai sensi dell’art. 674 c.p.p., dal giudice dell’esecuzione ha un carattere meramente dichiarativo e ricognitivo di un effetto già prodottosi "ex lege". In detta ipotesi, quindi, il pubblico ministero, quale organo dell’esecuzione, è legittimato a porre direttamente in esecuzione la pena già coperta dal beneficio caducato, sempre che, nel contempo, chieda al competente giudice dell’esecuzione di pronunciare, nelle forme previste, la declaratoria di cui al summenzionato art. 674" (Cass.Sez. 1, Sent. 17.11.1995, n. 5897, Rv. 203039).
Si tratta di principio di diritto che, pur con oscillazioni interpretative differenti e divergenti quali quella di cui alla sentenza di questa Corte richiamata in ricorso (Sez. 1, sent.
21.10.1998, n. 5136), è stato anche di recente riaffermato (Sez. 1, sent. 3.12.2001, n.7338, Rv. 221106; Sez. 1, sent. 17.2.2006, n. 8670, Rv. 233584) e che non ha subito ulteriori arresti. Ne consegue che nel caso di specie, nel quale la condanna che costituisce motivo di revoca e della sospensione condizionale della pena e dell’indulto è intervenuta per reati commessi entro i termini normativamente previsti, la pronuncia del giudice dell’esecuzione – richiesto dal PM di pronunciarsi ex art. 674 all’atto dell’emissione del nuovo provvedimento di cumulo con contestuale ordine di esecuzione – come correttamente argomentato dal GIP del Tribunale di Roma, ha solo effetto ricognitivo e dichiarativo, dunque era legittimo ed esecutivo l’ordine di carcerazione emesso dal PM nei confronti del ricorrente il 3.4.2009. 2.2- Quanto al secondo motivo di gravame osserva il Collegio che, sulla base della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo, almeno a grandi linee, nella loro specificità, situazione che va tenuta distinta dalla mera inclinazione, da parte del reo medesimo, a reiterare nel tempo reati della stessa specie, anche quando tale propensione alla reiterazione sia dovuta ad una scelta di vita deviante. Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso devono essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le circostanze di tempo e di luogo. Qualora ricorra anche solo taluno di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni. Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p., la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita sulla base del raffronto del contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumono essere "in continuazione" (Cass. Sez. 1, 16.1.2009, n.3747, RV 242537). Con riferimento alla circostanza dell’allegata condizione di dipendenza del ricorrente deve essere rilevato che la formulazione del comma 1 dell’art. 671 c.p.p., per effetto della L. n. 49 del 2006, art. 4 vicies, è volta ad attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di tossicodipendenti, ma ciò non significa che si debba ritenere che lo stato di tossicodipendenza sia di per sè stesso elemento esclusivo ai fini della valutazione della sussistenza di un medesimo disegno criminoso alla base delle diverse violazioni commesse (Sez. 1 sent. 7.11.2006, n. 39704, Rv. 235045);
si tratta, invero, di un elemento del quale il giudice deve tener conto e che deve valutare unitamente agli altri elementi che, in quanto sintomatici e specificamente indicativi, incidono sulla disciplina della continuazione (Sez. 1, sent. 14.2.2007, n.7190, Rv.
235686; Sez. 4, sent. 8.7.2008, n. 33011, Rv. 241005; Sez. 1, sent.
13.10.2010 , n. 39287, Rv. 248841).
Nel caso di specie il GIP del Tribunale di Roma, al quale il riconoscimento della continuazione era richiesto solo sulla base dell’asserita condizione di dipendenza del condannato, ha ben individuato la nozione di unità del disegno criminoso, propria della disciplina del reato continuato, e ha correttamente escluso, sulla base della non ricorrenza degli elementi sintomatici necessari, quale ricavabile dal contenuto delle sentenze esaminate, l’esistenza della assunta continuazione. Ha, infatti, valutato, con motivazione congrua ed aderente ai principi di diritto indicati da questa Corte, che di stato di tossicodipendenza del condannato si parla solo nella sentenza ultima del 17.5.2007 e non, anche, nelle prime due; ha evidenziato, inoltre, che si tratta di delitti eterogenei tra di loro, commessi in un arco temporale di 5 anni, e in relazione ai primi due – incendio doloso e tentato omicidio per rutili motivi- non è dato rinvenire alcun nesso con il presunto stato di tossico o alcool dipendenza dello I.. Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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