Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato in data 2 9 settembre 1998, le sorelle C. e F.A.S. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Tarante la madre D.M. e il fratello F.A., esponendo che il 14 maggio 1996 era deceduto ab intestatio il padre F.G., al quale erano succeduti ex lege, oltre alle attrici, i convenuti, la prima come coniuge superstite e il secondo quale figlio del de cuius, e che i tentativi compiuti per addivenire alla divisione del patrimonio ereditario, costituito da diversi appezzamenti di terreno e fabbricati rurali, erano stati vani.
Tanto premesso, le attrici chiesero al tribunale adito di disporre lo scioglimento della comunione ed ordinare procedersi alla divisione dei beni caduti in successione, previa determinazione delle quote spettanti a ciascuno, e, previo rendiconto della gestione, condannare i convenuti al pagamento della quota spettante alle attrici e riveniente dalla conduzione dei terreni sino alla data della divisione, ivi compresi gli eventuali contributi riscossi, percepiti, sino alla data della divisione. I convenuti, senza opporsi alla divisione, dedussero rispettivamente la D. la esclusiva conduzione dell’azienda agricola, con conseguente richiesta di rigetto della domanda relativamente ai frutti della stessa, ed il F. l’attività giornaliera espletata nell’azienda paterna, mai retribuita.
In corso di causa l’istruttore, con ordinanza dell’9 aprile 1999, assegnò, ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., termine sino al 24 maggio 1999 per la produzione di documenti e la formulazione di nuovi mezzi di prova, venne, quindi, disposta c.t.u. per la stima dei beni costituenti l’asse ereditario e la predisposizione delle quote. In data 29 novembre 2000 fu depositata la relazione peritale.
All’udienza del 1 febbraio 2001, la D. depositò la copia fotostatica del contratto di assegnazione e vendita del 1972 e l’atto di riscatto dei 1981 con il quale F.G. aveva acquisito la piena proprietà del podere sito in agro (OMISSIS), già dell’Ente Regionale di Sviluppo Agricolo della Puglia, costituente il principale cespite della massa ereditaria, deducendo di avere conseguito, quale moglie convivente – in regime di comunione legale, la proprietà della metà del podere e per successione legittima il terzo dell’altra metà, ed asserendo che gli altri beni erano stati acquisiti per usucapione da parte del comune dante causa. Chiese, pertanto, la rideterminazione delle quote sulla base delle predette circostanze.
Il convenuto F., alla udienza successiva, eccepì la inammissibilità della documentazione per esserne avvenuta la produzione oltre il termine perentorio di cui all’art. 184 cod. proc. civ., e, nel merito, dedusse la mancata dimostrazione del regime patrimoniale vigente tra la D. e il de cuius all’epoca dell’acquisto dell’azienda, ed inoltre disconobbe la conformità delle fotocopie prodotte agli atti ufficiali.
2. – Il Tribunale di Taranto, con sentenza depositata il 14 ottobre 2002, rigettò la pretesa della D., per essere fondata su documenti, prodotti oltre il termine di cui all’art. 184 c.p.c., secondo 2, e comunque non utilizzabili m conseguenza del disconoscimento della fotocopia non autenticata degli stessi.
Dispose, quindi, con ordinanza il prosieguo del giudizio.
La sentenza fu impugnata dalla D., che produsse copia autentica dell’atto di riscatto del terreno del 9 novembre 1981 ed estratto dell’atto di matrimonio: documentazione la cui ammissibilità fu contestata dall’appellato F.A. a norma dell’art. 345 cod. proc. civ. 3. – La Corte d’appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto, con sentenza depositata il 27 maggio 2005, in riforma della pronuncia, dichiaro l’appellante proprietaria esclusiva in ragione della metà degli appezzamenti di terreno ed annessi fabbricati in questione, nonchè erede in ragione di un terzo e in concorso con gli altri eredi quanto all’altra metà di detti appezzamenti e agli altri cespiti caduti in comunione ereditaria.
Osservò la Corte di merito che la questione dell’ammissibilità della documentazione prodotta dalla D. andava risolta non già alla stregua del sistema delle preclusioni di cui agli artt. 180 – 184 cod. proc. civ., ma in base alle caratteristiche proprie del giudizio di d:visione, rilevando che la richiesta di rideterminazione della massa comune effettuata dalla D. nella immediatezza della acquisizione de piano di riparto approntato dal c.t.u. andava ricondotta nell’ambito dello contestazioni espressamente previste dall’art. 789 cod. proc. civ., comma 3 e, quindi, ritenuta ammissibile per essere avvenuta tempestivamente, e cioè ancor prima della predisposizione, da parte del giudice istruttore, del progetto di divisione e della fissazione dell’udienza di discussione, normalmente deputata al sindacato delle fasi della assificazione e formazione delle quote.
Quanto al profilo della idoneità della documentazione esibita in prima istanza, negata dal giudice di primo grado per la mancata certificazione di conformità all’originale e la mancata dimostrazione dei regime patrimoniale vigente tra la D. e il de cuius, la Corte di merito, pur condividendo le argomentazioni del Tribunale quanto alla inutilizzabilità delle copie fotostatiche, osservo che a ciò si era ovviato nel giudizio di appello attraverso la produzione della copia conforme della predetta documentazione e dell’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio fra l’appellante e il de cuius, avvenuto il (OMISSIS): produzione da ritenere ammissibile, secondo la Corte, in quanto l’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione vigente da 30 aprile 1995, nello stabilire il divieto di produzione di nuovi mezzi di prova in appello, si riferisce alle prove costituende e non a quelle precostituite, quali i documenti, e ciò indipendentemente dalla indispensabilità della documentazione in questione.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre F.A. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso M. D.. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1- Con la prima censura si deduce la violazione dell’art. 184 c.p.c. e dell’art. 789 cod. proc. civ. nonchè la insufficiente e contraddittoria motivazione. Avrebbe errato la Corte di merito nell’affermare la inapplicabilità ai giudizi di divisione del disposto dell’art. 184 cod. proc. civ. e nel ritenere, su tale presupposto, che l’art. 739 cod. proc. civ., comma 3 consentendo ai condividenti di formulare contestazioni in ordine al progetto di divisione predisposto dal giudice, consentirebbe ai condividenti "contestatori" di allegare documentazione a supporto di tali contestazioni, anche dopo il decorso dei termini di cui all’art. 184 cod. proc. civ. Tale interpretazione sarebbe priva di supporto normativo, in quanto nessuna delle norme richiamate prevederebbe eccezioni, conservando il giudizio di divisione, a rutti gli effetti, la struttura di un giudizio ordinario, per il quale vige il sistema di preclusioni previsto dagli artt. 180-184 cod. proc. civ. Nella specie, la D. non aveva prodotto alcun documento nei termini perentori in ordine alla sua pretesa contitolarità del podere in questione, sicchè correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto inammissibile la documentazione versata in atti, peraltro m copia fotostatica, ammessa, invece, dalla Corte di merito.
2.1. – La censura non è meritevole di accoglimento.
2.2. – In materia di scioglimento della comunione ereditaria, la disposizione di cui all’art. 789 c.p.c. è testuale nel richiedere unicamente, ai fini della dichiarazione di esecutività del progetto di divisione, predisposto con la collaborazione di un ausiliare, che non sorgano contestazioni nell’udienza all’uopo convocata (arq. ex Cass., sent. n. 242 del 2010; n. 11575 del. 2004; n. 8441 del 1997;
n. 4273 del 1995; n. 1778 del 1988).
Ciò implica, per ciò stesso, che, invece, le eventuali contestazioni debbano essere espressamente sollevate nell’udienza in questione, la quale rappresenta, dunque, il momento oltre il quale, nel giudizio di cui si tratta, non sono più ammissibili dette contestazioni: donde la evidente differenza di disciplina, quanto al regime di preclusioni, tra il sistema tracciato dagli artt. 180-184 c.p.c. per l’ordinario giudizio di cognizione e la previsione di cui al richiamato art. 789 cod. proc. Civ., in tema di divisione ereditaria.
2.3. – Nella specie, la D. mosse contestazioni ai criteri cui si era ispirata l’assificazione dei beni relitti nella c.t.u., atto prodromico del progetto di divisione, e, dunque, ancor prima della data fissata per l’udienza di discussione del progetto di divisione: ne deriva la correttezza della decisione della Corte di merito che ha, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarato ammissibile la richiesta di rideterminazione della massa comune effettuata dalla stessa D.. 3. – Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3. La Corte territoriale aveva accolto il gravame proposto dalla D. basandosi su di una lettura della norma invocata risalente ad un indirizzo ormai superato che distingueva, in ordine ai tempi ed alle modalità di produzione in giudizio, ovvero ai fini preclusivi, fra le cosiddette prove costituende e quelle precostituite, le quali ultime si sottraevano al divieto, posto dal citato art. 345 c.p.c., comma 3, di produzione di nuove prove nel giudizio di appello. Al contrario, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, espresso nella sentenza delle Sezioni unite 20 aprile 2005, n. 8203, anteriore al deposito della sentenza impugnata, la norma richiamata va interpretata nel senso che essa fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi, e, quindi, anche delle nuove produzioni documentali, salvo che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, o che il giudice sia convinto della indispensabilità degli stessi per la decisione. Nella specie, quindi, la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare inammissibile le copie conformi del contratto di assegnazione e riscatto del podere in questione, e, conseguentemente, rigettare l’appello della D., la quale, nel produrre tardivamente la documentazione di cui si tratta, non aveva neppure dedotto circostanze a lei non imputabili idonee a giustificare la rimessione in termini ex art. 184 cod. proc. civ., nè aveva dedotto nulla in ordine alla eventuale sussistenza di eccezioni al divieto posto dal predetto art. 345 c.p.c., comma 3. 4.1. – La censura è infondata, anche se sul punto, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta nei termini che seguono.
4.2. – E’ pur vero che, come sostenuto nel ricorso, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, recepito dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 8203 del 2005, e dalle successive pronunce che ad essa si sono adeguate, nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza e, quindi, anche delle produzioni documentali, al pari degli altri mezzi di prova. Errata è, pertanto, la distinzione che, fondandosi su di un orientamento giurisprudenziale orinai superato (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 16995 e n. 1048 del 2004, n. 6756 del 2003), ha operato La Corte di merito tra prove costituende e prove precostituite al fine di escludere le seconde, e non le prime, dal divieto di cui al l’art. 345 c.p.c., comma 3.
E tuttavia la decisione della Corte territoriale va confermata, sia pure attraverso un diverso percorso argomentativo.
4.3. – La già citata sentenza delle Sezioni Unite n. 8203 del 2005 ha altresì chiarito che l’art. 345 c.p.c., comma 3, indica anche i limiti del divieto di produzione in appello di nuovi mezzi di prova, con il porre in via alternativa i requisiti che i documenti, come gli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi erano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo dei giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragiono dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione.
Ebbene, non v’è dubbio che, nella specie, la documentazione prodotta dalla D. – atto di assegnazione e vendita del podere de qua intercorso il 14 febbraio 1972 tra l’Ente di Sviluppo in Puglia e Lucania, Sez. speciale per la Riforma Fondiaria e F.G.;
atto di riscatto del podere in favore dell’assegnatario, registrato in data 19 novembre 1981, quindi in epoca successiva alla entrata in vigore della L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia; estratto dell’atto di matrimonio concordatario contratto tra la stessa e F.G. – risultasse decisiva ai fini della decisione da assumere, da ossa potendosi inferire che l’attuale controricorrente era comproprietaria sin dal 1981 con il coniuge, in forza della comunione legale, del podere, a seguito dell’avvenuto riscatto dello stesso.
5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio – che si liquidano come da dispositivo – devono, per il principio della soccombenza, essere poste a carico dei ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari.
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