Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 13-06-2011, n. 23719 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 16/11/2010 il Tribunale del riesame di Catanzaro modificava parzialmente l’ordinanza 25/10/2010 del G.I.P. del Tribunale in sede – con la quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di T. R., sottoposto a indagini per il delitto previsto dalla L. n. 1427 del 1956, art. 9, comma 2 e succ. mod. – sostituendo la predetta misura con quella degli arresti domiciliari.

In particolare il Tribunale – dopo aver premesso in fatto che l’indagato, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, era stato sorpreso in data 22/10/2010 a bordo della autovettura guidata dal figlio fuori del comune di residenza, violando in tal modo le prescrizioni inerenti la misura di prevenzione – riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza desunti sia dalla informativa di p.g., sia dalla piena confessione resa dall’indagato.

Tuttavia il Tribunale, pur ritenendo che la giustificazione addotta dall’indagato (svolgimento di un lavoro e necessità di recupero urgente di una somma di danaro) non lo esimeva dal chiedere la prescritta autorizzazione, concedeva gli arresti domiciliari non essendo venuta meno l’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), atteso il concreto pericolo di reiterazione dei reati della stessa indole, desumibile sia dalle modalità esecutive, sia dai precedenti penali dell’indagato.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore, che ne ha chiesto l’annullamento deducendo: a) la violazione dell’art. 34 c.p.p., comma 2 sul rilievo che due dei componenti il collegio del Tribunale del riesame erano incompatibili, in quanto gli stessi erano stati componenti del collegio del Tribunale che aveva applicato la misura di prevenzione; b) la violazione dell’art. 51 c.p., comma 1 sul rilievo che la condotta del ricorrente non era punibile, in quanto lo stesso si era allontanato dal comune di residenza per svolgere un lavoro lecito al fine di mantenere il nucleo familiare;

c) la manifesta illogicità della motivazione sul rilievo che il Tribunale non aveva adeguato la misura al caso concreto pur avendo dimostrato il ricorrente che il suo allontanamento dal comune di residenza era giustificato dalla necessità di procurarsi urgentemente danaro per far fronte ad esigenze familiari.

Il ricorso non merita accoglimento.

Va premesso che, a seguito della entrata in vigore della L. n. 155 del 2005, qualsiasi inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno integra il delitto previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2. Ne consegue che la nuova norma è applicabile a tutte le condotte poste in essere successivamente alla entrata in vigore della L. n. 155 del 2005 a nulla rilevando che il decreto di applicazione della misura di prevenzione sia stato adottato prima della entrata in vigore della legge predetta, atteso che la nuova norma si è limitata a modificare il precetto e non lo "status" di sorvegliato speciale di P.S., che costituisce il presupposto del delitto previsto dall’art. 9, comma 2 legge citata.

Ciò premesso, va rilevato che il primo motivo deve essere senz’altro disatteso, in quanto non risulta che il ricorrente abbia presentato istanza di ricusazione. D’altra parte l’eventuale incompatibilità di un giudice componente del collegio non potrebbe comunque configurare un difetto di capacità generica del giudice medesimo, in quanto lo stesso conserva la capacità di organo giudiziario legalmente investito della potestà di decidere. Infatti, non incidendo sui requisiti di capacità, l’incompatibilità del giudice ex art. 34 c.p.p. non determina la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179 c.p.p., ma costituisce soltanto un motivo di ricusazione dello stesso giudice da far valere con la prescritta procedura prevista dagli artt. 37 e segg. c.p.p. (Cass. sez 1, sent. 3918/95, rv. n. 201866).

Pertanto, poichè nel caso di specie non è stata proposta alcuna istanza di ricusazione, la dedotta censura deve ritenersi infondata.

Manifestamente infondato deve ritenersi il secondo motivo tenuto conto che, come giustamente rilevato dal Tribunale, ben poteva il ricorrente chiedere la prescritta autorizzazione prima di allontanarsi dal comune di residenza.

Parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo relativo alla adeguatezza della misura, in quanto il Tribunale con motivazione non suscettibile di censura in questa sede, oltre a ritenere la sussistenza delle esigenze cautelari, ha evidenziato la persistente pericolosità dell’indagato, desunta dai precedenti penali, tanto che misura adeguata a prevenire il concreto pericolo di reiterazione dei reati della stessa indole non poteva che essere quella degli arresti domiciliari.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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