Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-10-2011, n. 21502

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La domanda di inefficacia per simulazione, ovvero per revocatoria, proposta dal creditore N.D. rispetto alla vendita di più beni immobili (con atto pubblico dell’aprile 1986) a B. A., da parte di G.F. – che aveva ricevuto precedentemente dal N. atto di precetto e successivo atto di pignoramento immobiliare degli stessi immobili per un credito di circa L. 27 milioni – veniva accolta dai giudice di primo grado (nel contraddittorio con la Curatela del fallimento di B.A. e nella contumacia del G.), unitamente alla domanda di risarcimento del danno. Il Tribunale di Castrovillari dichiarava nullo e inefficace nei confronti del N. l’atto pubblico del 1986, in uno con le scritture private del 1982, prodotte dall’acquirente a sostegno della tesi della anteriorità della vendita e della mera formalità dell’atto pubblico.

2. La Corte di appello di Catanzaro (sentenza dell’11 luglio 2005), adita dalla Curatela, confermava la decisione di prime cure, integrando la motivazione.

3. Avverso la suddetta sentenza la Curatela propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

Il N. resiste con controricorso, illustrato da memoria, deducendo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso.

G.F., ritualmente intimato, non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1. La decisione impugnata si fonda sulle seguenti essenziali argomentazioni.

Ai fini dell’eventus damni è sufficiente il pericolo di danno, ovvero una maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione coattiva del credito, che si produce con la diminuzione del patrimonio immobiliare del debitore, anche se questi rimane titolare di altri beni. Mentre, nella specie non risulta nemmeno dedotta dal debitore, rimasto contumace, la capienza del proprio patrimonio.

Ai fini del presupposto soggettivo, premesso che – non avendo pregio le prospettazioni difensive concernenti le scritture private del 1982 – l’atto di disposizione è successivo al credito, ai fini della richiesta consapevolezza in capo all’acquirente si apprezza, quale presunzione grave, precisa e concordante, d’intervenuta concordata simulazione delle scritture private di vendita chiaramente preordinate per resistere alla proposta azione revocatoria. Le tesi difensive relative alle scritture del 1982 non hanno pregio perchè:

le scritture sono prive di data certa; non risulta sicura l’imputabilità alle suddette scritture dei pagamenti tramite assegni bancari; non è giustificabile la redazione di due scritture nella stesa data e tre titoli cambiari alla stessa scadenza e la previsione della successiva stipula dell’atto pubblico, pur essendo determinati tutti gli elementi del contratto di vendita; comunque, il primo giudice le ha dichiarate nulle e su detta declaratoria nessuna doglianza è stata specificata nell’atto di appello; non risulta attendibile l’unico teste, legato da rapporti di affinità e contraddetto dal consulente tecnico di ufficio).

2. La sentenza è censurata con motivi strettamente connessi, i primi tre, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2901 cod. civ., 115, cod. proc. civ. e anche 2727 e 2729 cod. civ. (solo il secondo e il terzo), in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4 oltre che per omessa o insufficiente motivazione.

Con il quarto si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4. 3. In particolare, il primo concerne la ritenuta esistenza dell’eventus damni e il nucleo centrale della censura sostiene la violazione del principio dell’onere probatorio.

La decisione, come sopra riportata, ha fatto corretta applicazione della costante giurisprudenza di legittimità, con motivazione congrua e priva di vizi logici.

Infatti, è principio consolidato quello secondo cui Ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, per l’integrazione del profilo oggettivo dell"eventus damni" è sufficiente che l’atto di disposizione del debitore abbia determinato maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito, potendo il detto "eventus damni" consistere in una variazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del patrimonio del debitore. A tal fine, l’onere probatorio del creditore si restringe alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l’entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l’atto di disposizione, non potendo il creditore valutarne compiutamente le caratteristiche.

Per contro, il debitore deve provare che, nonostante l’atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà. (Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 4 luglio 2006, n. 15265; Cass. 14 ottobre 2005, n. 19963).

Nella specie, la alienazione degli stessi immobili sottoposti alla procedura esecutiva determinava, sicuramente, più che una semplice difficoltà nell’esazione del credito, ponendo nel nulla la stessa riscossione coattiva.

Nè la circostanza che il debitore fosse volontariamente rimasto contumace poteva esonerarlo dall’assolvimento dell’onere probatorio su di lui gravante.

Il motivo va, pertanto, rigettato.

4. Il secondo, terzo e quarto motivo, come sopra riportati, concernono la parte della pronuncia (si v. 1) che ha ritenuto la consapevolezza in capo al terzo acquirente sulla base della fittizietà – simulzione delle scritture private del 1982. 4.1. I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro stretta connessione sono, in parte, inammissibili.

E’ inammissibile il profilo che censura la motivazione, contemporaneamente, per omissione e insufficienza (motivi secondo e terzo).

Nella parte in cui fa riferimento a elementi fattuali non valutati dal giudice del merito (la ctu rispetto al prezzo della compravendita), per il mancato rispetto del principio della autosufficienza; la relazione del consulente non viene riportata nella parte di interesse, nè è indicato dove è rinvenibile in atti (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

Nella parte in cui lamenta l’insufficienza (per non aver il giudice preso in considerazione altri indici rivelatori della scientia damni) perchè ricostruisce in modo errato la motivazione del giudice, nel senso che fatto noto da cui il giudice avrebbe tratto la consapevolezza del pregiudizio in capo all’acquirente sarebbe l’atto pubblico di trasferimento, mentre il giudice (si v. sintesi della motivazione 1) ha ritenuto il carattere fittizio-simulatorio delle scritture del 1982. 4.2. All’esito dei profili inammissibili, resta da esaminare quello che sembra il nucleo centrale della censura alla sentenza, costituito dall’avere il giudice ritenuto sufficiente, ai fini dell’accertamento della consapevolezza dell’acquirente, quale unico indizio grave e preciso, la fittizietà delle scritture del 1982, intervenute tra le stesse parti. Dalla sentenza risulta che primo e secondo giudice hanno valutato le scritture del 1982 e che il primo le ha dichiarate nulle. La motivazione del giudice di appello, dettagliata, rigorosa e priva di vizi logici (come sintetizzata nel 1), da un lato vale ad escludere l’anteriorità dell’atto dispositivo rispetto al sorgere del credito, dall’altro costituisce la base per ritenere integrato l’elemento soggettivo richiesto dalla legge. In definitiva, le scritture private prodotte dall’acquirente e dichiarate nulle dal primo giudice – senza che quella parte della decisione fosse stata oggetto di impugnazione – ben potevano costituire fatto noto idoneo, per gravità e precisione, a desumere la consapevolezza dell’acquirente che, nella specie, si atteggia come partecipano fraudis. Infatti, per tutte le ragioni esposte dalla Corte di merito, le stesse scritture, prive di data certa, risultano, come dice il giudice, chiaramente preordinate per resistere alla proposta azione revocatoria.

Allora, il carattere fittizio-simulatorio non è accertato autonomamente, ma è strumentale all’indagine sull’elemento psicologico dell’acquirente, con conseguente inammissibilità del quarto motivo, dove il ricorrente sembrerebbe dedurre extrapetizione nella parte in cui il giudice, a fronte di una domanda di simulazione dell’atto pubblico proposta dal N., avrebbe, invece, ritenuto la simulazione delle precedenti scritture private.

4.2.1. Inoltre, la censura è infondata nella parte in cui non ritiene sufficiente l’esistenza di un unico indizio, grave e preciso.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, è univoca nel senso che:

la prova in ordine alla consapevolezza dell’evento dannoso da parte del terzo contraente può essere fornita anche a mezzo di presunzioni (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3676); l’apprezzamento delle presunzioni è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (Cass. 7 ottobre 2008, n. n. 24757; il convincimento del giudice in ordine al raggiungimento della prova di un fatto può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè sia grave e precisa, in quanto il requisito della concordanza ricorre solo nel caso di concorso tra più circostanze presuntive (Cass. 8 aprile 2009, n. 8484); il convincimento del giudice può ben fondarsi anche su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari. Nè occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. 1 agosto 2007, n. 16993). La Corte di merito ha fatto applicazione di questi principi desumendo ragionevolmente e secondo criteri di normalità dal carattere fittizio delle scritture private antecedenti, sul quale si è dettagliatamente soffermata, la consapevolezza in capo all’acquirente del pregiudizio economico dei creditori.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la Curatela del fallimento di B. A. al pagamento, in favore di N.D., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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