Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 13-06-2011, n. 23710 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di appello di Palermo rigettava l’appello proposto da B.G. avverso il decreto di applicazione della misura della sorveglianza speciale, osservando che sussisteva la pericolosità sociale e la sua attualità in quanto era stato condannato per traffico di stupefacenti, era stato raggiunto da avviso orale ed era stato arrestato di recente per il medesimo reato, frequentava pregiudicati e quindi ben poteva dirsi che si trattava di soggetto dedito abitualmente a traffici illeciti e che viveva dei proventi di tali traffici; a nulla valeva il riferimento alla L. n. 1423 del 1956, art. 3 che prevedeva la pericolosità per la sicurezza pubblica in quanto non era questo il caso applicato al proposto.

Nel merito rilevava che il proposto non contestava minimamente i fatti oggetto dei procedimenti penali che quindi ben potevano essere valutati ai fini della prevenzione, a nulla valendo che si trattava di episodi di spaccio di lieve entità, così come rilevante era la sua frequentazione con pregiudicati, non giustificabile con il dedotto stato di tossicodipendenza, mai provato; inoltre aveva rilievo la mancanza di fonti lecite di sostentamento non potendo valorizzarsi l’affermazione che la misura di prevenzione gli impediva di trovare lavoro; infine lo stato di detenzione non influiva sulla attualità della pericolosità, trattandosi di un elemento neutro e dovendosi l’osservazione iniziare solo dopo la scarcerazione.

Avverso la decisione presentava ricorso il proposto e deduceva:

– violazione di legge in quanto la misura era stata disposta in assenza di uno dei requisiti di legge e cioè la pericolosità per la sicurezza pubblica richiesta dalla L. n. 1423 del 1956, art. 3;

nel caso di specie la misura era stata applicata solo perchè il soggetto era stato condannato per un reato e nessuna indagine ulteriore era stata compiuta per evidenziare la sussistenza di elementi dai quali ricavare la pericolosità per la sicurezza pubblica;

– violazione di legge in quanto mancava ogni motivazione sulla attualità della pericolosità che doveva essere valutata sia al momento della decisione che a quello della sua applicazione, mentre nel caso di specie non si era considerato che il proposto si trovava da oltre un anno in stato di detenzione e quindi doveva valutarsi se l’opera di risocializzazione aveva portato a un qualche effetto;

mancava ogni motivazione sulla attuale impossibilità di incontrare pregiudicati e sul percorso di rieducazione iniziato.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato.

Il provvedimento impugnato fonda il giudizio di pericolosità sui precedenti penali, sul precedente giudiziario per il quale il soggetto è detenuto, sulla frequentazione di pregiudicati, sulla mancanza di fonti lecite di sostentamento, sulla circostanza che ha continuato a delinquere anche dopo l’avviso orale.

Detti elementi vengono posti alla base di un giudizio di pericolosità sociale attuale e non vi è alcun dubbio che si tratta della pericolosità che viene richiesta dall’ordinamento per sottoporre un soggetto a misura di prevenzione.

La giurisprudenza di legittimità ha da sempre affermato che la pericolosità richiesta è quella sociale in senso lato e comprende certo quella desunta dalla commissione di reati; l’unica cosa richiesta è che si fondi su dati di fatto obiettivi. Quanto all’attualità della pericolosità è altrettanto pacifico che lo stato di detenzione non è incompatibile col giudizio di pericolosità, purchè, se possibile, si sia valutato l’eventuale effetto rieducativo della pena (Sez. 6^ 28 maggio 1999 n. 19999, rv.

214171; Sez. 1^, 7 maggio 2008 n. 20948, rv. 240422).

Orbene nel caso di specie la detenzione al momento dell’applicazione della misura era in corso solo da un anno e quindi non si trattava di un periodo cosi lungo da garantire l’interruzione dei rapporti con l’esterno e comunque non emergevano elementi dai quali dedurre che la rieducazione fosse giunta ad un punto tale da aver fatto venir meno la pericolosità.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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