Cassazione civile, Sez. II, sentenza 21 aprile 2010, n. 9505. Il terzo, il quale abbia omesso di chiedere al (falso) rappresentante l’esibizione della procura stipulata in forma scritta, non può invocare il principio dell’apparenza giuridica.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

iSVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il … e … M.N. convenne al giudizio del Tribunale di … la società P.P.F. s.r.l., unitamente al suo presidente del consiglio di amministrazione G.A., al fine di sentir pronunziare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., sentenza lenente luogo del non concluso contratto definitivo di compravendita, in esecuzione specifica di quello preliminare concluso con scrittura privata del (OMISSIS), ad oggetto di un fondo agricolo con sovrastante fabbricato sito in (OMISSIS), per il cui acquisto esponeva di aver corrisposto la somma di £. cento milioni, in acconto sul pattuito prezzo di centottanta, e che il G., presentato si davanti al notaio nel giorno convenzionalmente fissato per la stipula del trasferimento, si era rifiutato di procedervi, disconoscendo il potere rappresentativo del socio che aveva sottoscritto il preliminare, tal G.R..
Tale disconoscimento veniva ribadito, nel costituirsi in giudizio dalla società convenutale chiedeva pertanto il rigetto della domanda, mentre il G., a sua volta, eccepiva il proprio personale difetto di legittimazione passiva.
All’esito d’istruttoria documentale ed orale, con sentenza del … l’adito Tribunale rigettò, con il carico delle spese, la domanda, ritenendo non provata la rappresentanza dedotta dall’attrice, nè l’eventuale ratifica. Proposto appello dalla soccombente, resistito dagli appellati, con sentenza del …, pubblicata il …, la Corte di … confermava il rigetto della domanda, compensando tuttavia interamente le spese dei due gradi di giudizio, essenzialmente ritenendo privi di adeguato supporto probatorio, peraltro richiesto ad substantiam attesa la natura immobiliare dei diritti implicati, sia l’assunto potere rappresentativo nel G., sia la ratifica, in subordine dedotta dal l’attrice; del pari escludeva che nella specie potesse comunque configurarsi un’ipotesi di "apparenza del diritto" in presenza di obiettivi elementi atti ad ingenerare nella contraente il ragionevole convincimento dell’esistenza del potere nel falsus procurator; giustificava tuttavia il regolamento delle spese con l’incontroversa buona fede della M. nella particolare vicenda – in cui la società aveva "incassato il cospicuo acconto".
Contro tale sentenza ricorre per cassazione con due motivi la M.; resistono gli intimati con comune controricorso, contenente ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo di quello principale viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1703 e segg. c.c., per erronea applicazione delle norme e dei principi di diritto "attinenti la figura del procuratore".
Premesso che nella fattispecie sia le parti, sia i giudici di merito sarebbero stati concordi nella ricostruzione in fatto della particolare vicenda, nell’ambito della quale sarebbero risultati documentalmente provati sia l’incasso e la mancata restituzione dell’acconto da parte della societaria gli iniziali espliciti riconoscimenti da parte del consiglio di amministrazione e del legale rappresentante in carica tale S., poi deceduto, e di un suo delegato, tale geom. Z., dell’operato del socio ed abituale procacciatore di affari G., poi successivamente "scaricato", dal nuovo legale rappresentante della convenutaci lamenta che quand’anche quest’ultimo fosse stato un falsus procuratori sarebbero stati comunque gli estremi di una valida ratifica del relativo operato.
Con il secondo motivo si deduce "contraddittoria, omessa ed insufficiente motivazione", perchè la corte di merito, pur essendo risultate accertate le suddette circostanze ed aver dato atto, segnatamente, dell’incasso del "cospicuo acconto", non avrebbe tratto coerenti conseguenze, limitandosi a "dire che quanto prodotto e quanto acquisito in sede probatoria non è sufficiente, senza dire il perchè", omettendo ogni valutazione delle risultanze testimoniali (in particolare delle deposizioni di G.R. e dello Z.) conclamanti la volontà della società di vendere il terreno, della procura al riguardo rilasciata e della consapevolezza di tanto da parte di G.A., all’epoca dei fatti segretario del consiglio di amministrazione.
La sentenza impugnata, pur essendo "intrisa di compassione verso la signora M.", che nel contrarre aveva usato la "diligenza richiesta dal codice civile", non avrebbe adeguatamente valutato sul piano giuridico la fattispecie. Si invoca, conclusivamente, la riparazione da parte di questa Corte di un caso di "ingiustizia, anche innovando o modificando principi giurisprudenziali non più attuali".
I motivi di ricorsola cui stretta connessione ne comporta l’esame congiunto, non meritano accoglimento, risolvendosi nella palese esposizione di mere censure in fatto, tendenti ad accreditare una ricostruzione, funzionale alla tesi attrice, di una vicenda nel complesso rimasta poco chiara, come da atto la corte di merito. Tali doglianze tuttavia non evidenziano da parte di quest’ultima alcun malgoverno della norma richiamatale carenze o illogicità di sorta della motivazione, nella parte in cui è stato ritenuto non provato sia che il socio G. avesse, nel contratto concluso con la M., agito in forza di un preventivo e valido mandato rappresentativo conferito dalla società P., e per essa dal suo legale rappresentante all’epoca in carica, sia che da parte di quest’ultimo fosse intervenuta alcuna valida ratifica dell’operato del falsus procurator, considerate in particolare l’inidoneità probatoria al riguardo del controverso "fax" attribuito al predetto e la circostanza che il mandato a vendere era risultato conferito non al suddetto socio, bensì a tale geometra Z. e solo da quest’ultimo e di propria iniziativa modificato, con raggiunta del nome del G..
Le censure contenute nel mezzo d’impugnazione, comunque, non superano, e neppure attaccano, la solida argomentazione della corte veneta, correttamente aderente al dettato normativo (art. 1392 c.c., in rel. art. art. 1351 c.c. e art. 1350 c.c., n. 1), da sola sufficiente a sorreggere la decisione, secondo la quale l’invocabilità dell’applicazione de principio dell’apparenza del diritto, da parte della contraente che avrebbe confidato nella sussistenza del potere rappresentativo, era nel caso di specie da escludere, essendo richiesto per la procura la stessa forma prescritta, nella specie quella scritta ad substantiam attesa la natura immobiliare del diritto da trasferire, per il negozio concluso con il falsus procurator. E del pari vano, può aggiungersi, risulta ogni sforzo della ricorrente attrice diretta a dimostrare la sussistenza di un sostanziale riconoscimento a posteriori dell’operato del G. da parte della società, tenuto conto dell’analoga regola dettata dall’art. 1399 c.c., comma 1, esigente anche per la ratifica l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione del contratto concluso dal rappresentante senza poteri, ad integrare la quale non sarebbe stata, di per sè sola, sufficiente la sola circostanza che l’acconto versato dall’incauta contraente fosse in qualche modo, come si assume (con l’avallo di un’affermazione contenuta nella parte finale della sentenza) pervenuto nella casse della società. Il ricorso principale va pertanto respinto.
Non miglior sorte merita quello incidentale, con il quale si censura, per violazione dell’art. 91 c.p.c., o in subordine nell’art. 92 c.p.c., nonchè per "omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione", il regolamento delle spese da parte della corte di merito, che oltre a non tener conto della totale soccombenza dell’attrice appellante, avrebbe indebitamente e genericamente considerato ai fini della disposta compensazione, l’assunta buona fede della M., la quale ben avrebbe potuto chiamare in causa il falsus procurator G., condannato anche in sede penale, senza addebitarne le conseguenze all’incolpevole società.
Richiamato il consolidato principio secondo il quale la violazione dell’art. 91 c.p.c., sussiste soltanto nei casi in cui la parte totalmente vittoriosa sia stata in tutto o in parte condannata alle spese (tra la tante, v. Cass. …/…, …/…, …/…), ipotesi che nella specie non ricorre, il primo e principale profilo di censura risulta infondato.
Quanto alla disposta compensazione, la statuizione non è immotivata avendo la corte esposto ragioni che, anche a prescindere dal controverso incasso della somma da parte della società, risultano più che sufficienti a giustificare l’esercizio del potere discrezionale de quo, nel contesto di una complessa e non del tutto chiarita vicenda, nella quale, al di là dei motivi giuridico – formali comportanti la reiezione della domanda, era pur certo che la M. fosse rimasta vittima del comportamento di soggetti facenti capo, sia pur senza chiari poteri rappresentativi, entourage della società convenuta. L’evidente natura equitativa della valutazione in questione ne comporta pertanto l’insindacabilità nella presente sede.
Analoghe considerazioni, oltre alla reciproca soccombenza, comportano infine la compensazione anche delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.
Così deciso in …, il … .
Depositato in Cancelleria il … .

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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