Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 13-06-2011, n. 23675

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ore Avv. Uccelli chiedeva l’accoglimento dei motivi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’assise di appello di Firenze, giudicando in sede di annullamento con rinvio, osservava che l’oggetto del nuovo giudizio era stato limitato dalla Suprema Corte al riesame del solo trattamento sanzionatorio, con la conseguenza che si era formato il giudicato sulla colpevolezza di C.F. in ordine al reato di omicidio preterintenzionale. Passava quindi ad esaminare i motivi di appello a suo tempo presentati sul trattamento sanzionatorio dai quali emergeva che l’imputato chiedeva la riduzione al minimo della pena, osservando che la sentenza di primo grado nell’applicare la pena prossima al massimo edittale aveva fatto generici riferimenti all’estrema gravita del fatto e alla condotta processuale.

La sentenza di annullamento aveva osservato che il giudice nel determinare la pena, quanto più si discosta dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare conto del corretto esercizio del proprio potere discrezionale indicando specificatamente, tra i criteri enunciati dall’art. 133 c.p., quelli che ha ritenuto rilevanti, quindi aveva rilevato l’esistenza del difetto di motivazione sul punto.

La Corte territoriale esaminava la condotta addebitata al C. e rilevava che l’avere esercitato una forte e protratta pressione sul collo della vittima si poneva nel settore delle possibili condotte come quella con maggiore possibilità di effetto letale diretto, quindi la condotta posta in essere dal C. in sommo grado configurava la probabilità della morte. La condotta inoltre aveva insita una componente dolosa molto intensa per il necessario prolungarsi dell’azione e quindi della possibilità di rendersi conto della sofferenza della vittima. Da tali elementi emergeva che il dato corrispondente alle modalità dell’azione e all’intensità del dolo imponeva una valutazione di estrema gravità. A ciò doveva aggiungersi che incideva nel giudizio di gravita sia il luogo in cui il fatto era avvenuto privo di ogni presenza umana, sia il rapporto di fiducia che legava la donna a lui. Infine l’imputato aveva caricato la donna sulla sua auto e, invece che recarsi in ospedale, si era fermato davanti ad una casa isolata ed aveva tentato maldestre manovre di rianimazione in attesa dell’arrivo non rapido della ambulanza.

Gli elementi favorevoli consistenti nel fatto che aveva trovato lavoro e di non essersi abbandonato a una vita deplorevole, non avevano incidenza sulla valutazione della sua capacità di commettere il delitto e, infatti, erano stati valutati correttamente ai fini della concessione delle attenuanti generiche.

Riteneva quindi che sussistevano tutte le condizioni per confermare la sentenza del GUP sul punto della pena.

Avverso al decisione presentava ricorso l’imputato e deduceva manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui non si era uniformata alla sentenza della Cassazione ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3, cioè non aveva indicato specificamente quali tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p. erano ritenuti rilevanti, ma aveva rivalutato in modo apodittico le modalità dell’azione. In particolare aveva rivisitato le modalità dell’azione in modo difforme da quanto statuito dalla decisione di appello già passata in giudicato e ne aveva tratto spunti per fondare il proprio giudizio sulla gravità del fatto. Non vi era infatti alcuna certezza che la morte fosse stata cagionata dalla prolungata pressione sul collo, anzi proprio la circostanza che la pressione sia stata prontamente interrotta era stata la causa della mancanza del dolo omicidiario; inoltre la condotta successiva era stata interpretata dai giudici di merito proprio come volontà di fare tutto il possibile per salvare l’amante e non poteva essere rivisitata in termini negativi per lui. In termini analoghi la sentenza aveva svalorizzato i comportamenti successivi e cioè essersi dato a stabile lavoro, non avere più commesso reati, limitandone l’ambito alla già avvenuta concessione delle attenuanti generiche.

Osservava ancora che la decisione impugnata aveva dato luogo ad una distorsione logica che impediva la convivenza tra la parte già passata in giudicato sulla responsabilità e quella sulla pena, che faceva quasi rivivere il fantasma della volontà omicida, mentre si sarebbe dovuto prendere atto del giudicato già formatosi e attenersi ad esso, prendendo in esame le numerose circostanze favorevoli all’imputato indicate dalla difesa.

Presentava una memoria la parte civile osservando che, pur non avendo alcun titolo per intervenire sul trattamento sanzionatorio, riteneva di poter affermare che la motivazione adottata dal giudice di rinvio rispondeva pienamente ai principi fissati dalla Suprema Corte, mentre i motivi di ricorsi mettevano ancora in dubbio questioni attinenti al fatto e del tutto coperti dal giudicato interno. La Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

La sentenza della corte territoriale, in sede di rinvio, si è mossa sulla linea dei vizi di legittimità ritenuti esistenti ed ha individuato su quali parametri doveva fondarsi il giudizio sul trattamento sanzionatorio. Per fare questo ha utilizzato le condotte ascritte all’imputato ed ha valutato le stesse nell’ambito dei parametri del reato contestato e cioè l’omicidio preterintenzionale, graduando la loro gravita alla luce delle modalità dell’azione e giungendo alla conclusione che tali modalità erano tali da collocarsi nella scala più grave tra quelle rientranti nella fattispecie ritenuta, perchè premere sul collo della vittima fino a provocarne la morte costituiva prova di una intensità del dolo molto forte; tale giudizio ovviamente non contrasta minimamente col fatto che sia stata riconosciuta all’imputato la scelta di aver interrotto volontariamente la pressione perchè altrimenti avrebbe risposto di omicidio volontario.

E’ evidente che nel momento in cui si sollecita una motivazione aderente ai criteri di cui all’art. 133 c.p. il giudice deve analizzare la condotta tenuta e inserirla in una scala di gravita tra un minimo ed un massimo e quindi quegli stessi elementi che avevano indotto i giudici di merito ad escludere il dolo omicidiario, erano però stati ritenuti idonei a determinare un giudizio di assoluta gravita di condotta; tale valutazione non ha comportato alcuna contraddizione tra la prima parte della sentenza e la seconda, avendo ad oggetto due indagini del tutto diverse, la prima la qualificazione del dolo, la seconda nell’ambito di un dolo già individuato la sua intensità ai fini della pena. Inoltre la valutazione degli elementi positivi, già utilizzati per concedere le attenuanti generiche, non doveva necessariamente portare a una riduzione della pena base, perchè del tutto diverso era il giudizio ai sensi dell’art. 133 c.p., e la corte ha, con motivazione congrua, ritenuto non idonei quegli stessi elementi anche a ridurre l’ammontare della pena base.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *