Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-05-2011) 13-06-2011, n. 23697

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la domanda di liberazione condizionale avanzata da C.F..

Il C. era detenuto, in regime di detenzione domiciliare quale collaboratore di giustizia, in espiazione delle pene oggetto di cumulo del 3.4.2007 (pene per complessivi 59 anni circa, ridotte a 30 per l’art. 78 cod. pen.), con inizio dell’esecuzione a far data dal 12.3.2003 e fine pena – considerata la liberazione anticipata già ottenuta – al 18.9.2031.

A ragione il Tribunale osservava che, pur dovendosi dar atto del contributo collaborativo prestato dal condannato, eccezionale secondo la D.D.A., e del parere favorevole di questa, il percorso di risocializzazione avviato non poteva considerarsi esitato in un "sicuro ravvedimento", attesa la brevità del periodo di detenzione extramurale, la presenza di mera condotta regolare, l’impossibilità di graduare l’accesso al più ampio beneficio mediante l’ammissione all’affidamento in prova (non previsto tra le misure in "deroga" per i collaboratori di giustizia). Nè di tale sicuro ravvedimento poteva offrire dimostrazione la sola condotta collaborativa.

2. Ricorre l’interessato a mezzo del difensore avvocato Sante Foresta e chiede l’annullamento del provvedimento denunziando violazione di legge e vizi di motivazione. Osserva che il Magistrato di sorveglianza aveva erroneamente respinto la domanda di liberazione condizionale avanzata ai sensi della L. n. 8 del 1991, art. 16-nonies (della quale sussistevano tutti i presupposti) sul presupposto che occorresse far ricorso ad una nozione esasperata di "sicuro ravvedimento", dimenticando per altro che del ravvedimento davano prova i parrei della D.D.A., e D.N.A., i permessi premi regolarmente fruiti, la detenzione domiciliare risalenti al novembre 2008 e correttamente osservata. Illogico era il riferimento alla gravità dei precedenti, che costituivano addirittura la condizione per poter fruire del regime di favore (previsto solo per condannati per i reati di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3-bis), ed arbitraria era l’affermazione che occorreva un ulteriore periodo di osservazione, disancorata da qualsivoglia considerazione dei dati concreti e risolventesi in mera petizione di principio.
Motivi della decisione

1. Osserva il collegio che il ricorso appare fondato nei limiti che si diranno.

2. Come questa Corte ha avuto in più occasioni modo di affermare, ai sensi dell’art. 176 c.p., comma 1, il requisito soggettivo del "sicuro ravvedimento" del condannato, desumibile dal comportamento tenuto durante il tempo di esecuzione della pena, costituisce – assieme all’adempimento delle obbligazioni civili scaturenti dal reato (la cui sussistenza prescinde dall’esistenza di una condanna al risarcimento dei danni e discende direttamente dalla natura e dal tipo di reato) o alla dimostrata impossibilità di adempierle – ai sensi sia della norma di genere recata dall’art. 176 cod. pen. sia del D.L. n. 8 del 1991, art 12-sexies, il presupposto fondamentale della liberazione condizionale e ne caratterizza la ratio, nella sua sostanziale assimilazione alle misure alternative alla detenzione e in stretta correlazione con il principio della funzione rieducativa della pena, enunciato dall’art. 27 Cost., comma 3, (Corte cost. 20 luglio 2001, n. 273).

2.1. Ai fini della concessione della liberazione condizionale, il "ravvedimento" deve perciò consistere "nell’insieme degli atteggiamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal soggetto durante il tempo di esecuzione della pena, che consentono il motivato apprezzamento della compiuta revisione critica delle scelte criminali di vita anteatta e la formulazione – in termini di "certezza", ovvero di elevata e qualificata "probabilità", confinante con la certezza – di un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita del condannato al quadro di riferimento ordinamentale e sociale, con cui egli entrò in conflitto con la commissione dei reati per i quali ebbe a subire la sanzione penale" (Sez. 1, Sentenza n. 9001 del 04/02/2009, Mambro). Il giudizio su tale condizione va effettuato in base a parametri obiettivi, considerando le condotte concretamente tenute dal condannato (Cass. 1, n. 18022 del 24 aprile 2007, Balzerani).

2.2. Tra gli elementi di valutazione del sicuro ravvedimento del reo e del suo riscatto morale non possono dunque non essere presi in considerazione nello specifico: i rapporti complessivamente tenuti dal condannato con familiari, con il personale carcerario o gli addetti all’osservazione esterna, con i compagni di lavoro e di socialità; lo svolgimento di attività lavorativa o di studio, i risultati raggiunti; le eventuali condotte riparatorie, anche sostitutive, poste in essere; ogni altro comportamento idoneo a rappresentare la introiezione delle regole della società civile.

Trattandosi di meri indicatori dell’esistenza di un presupposto e non di presupposti essi stessi, nessuno di detti aspetti può da solo, che sia presente o manchi, dare vita ad un automatismo valutativo.

Ciò che occorre è però che essi siano considerati e adeguatamente apprezzati unitariamente ai fini del giudizio circa la esistenza o meno di una reale revisione critica della vita anteatta del condannato e della ragionevole certezza del suo ravvedimento (cfr. di recente, Cass., Sez. 1, n. 3675 del 6.1.2007, Tedesco; Sez. 1, Sentenza n. 9887 del 01.2.2007, Pepe).

3. Dalla lettura della L. n. 82 del 1991, art. 16-nonies, commi 1 e 4, emerge quindi che la liberazione condizionale (come anche la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare) può essere disposta per collaboratori di giustizia "avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (…) anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’art. 176 c.p.".

Il combinato disposto dei due commi richiamati richiede quindi quali presupposti ulteriori – in aggiunta al ravvedimento, sulla cui nozione si è già detto – per la concessione di uno dei suddetti benefici penitenziari, come ha indicato la stessa difesa del ricorrente: che una persona sia stata condannata per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3-bis; che vengano acquisiti la proposta o il parere dei procuratori generali presso le corti di appello interessati a norma dell’art. 11 della citata legge o del procuratore nazionale antimafia; che vi siano elementi tali da far ritenere la insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva; che la persona condannata abbia prestato, anche dopo la condanna, una collaborazione importante; che la persona condannata abbia redatto entro il termine prescritto dall’art. 16-quater il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione; che sia stata espiata almeno un quarto della pena inflitta ovvero, se si tratta di condannato all’ergastolo, che siano stati espiati almeno dieci anni di pena.

3. Nel caso in esame tutti questi ulteriori presupposti paiono presenti. Vi sono i pareri favorevoli della D.D.A. e della D.N.A. Risulta inoltre in linea astratta rispettato anche il criterio della gradualità, non consacrato dalla legge ma ragionevolmente suggerito dall’esperienza trattamentale, avendo il ricorrente ottenuto già dei permessi premio ed essendo stato ammesso alla detenzione domiciliare (cfr. Cass., Sez. 1A, n. 2204 del 22.6.2006, Zanti).

Ciò nonostante, il Tribunale di sorveglianza ha negato il beneficio della liberazione condizionale affermando che occorreva un ulteriore periodo di osservazione, senza il quale non poteva ritenersi sicuro il "ravvedimento". Ma ha omesso di giustificare tale affermazione e non ha preso in considerazione alcuno dei parametri indicati al punto 2.2. Nulla ha detto in particolare su comportamenti o condotte che facevano ritenere in concreto non sufficiente il periodo di osservazione precedente e s’è nella sostanza limitata ad affermare che occorreva un ulteriore periodo, senza spiegare perchè quello trascorso non bastava e senza ancorare siffatto giudizio, implicito, di inadeguatezza ad alcun dato concreto.

L’ordinanza impugnata non si è attenuta dunque ai principi richiamati e ha omesso di giustificare adeguatamente la sua decisione.

4. L’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata e gli atti vanno rinviati al Tribunale di sorveglianza di Roma perchè, ferma restando la sua discrezionalità nella valutazione della ricorrenza dei presupposti per la concessione del beneficio, proceda a un nuovo esame sulla base di elementi concreti, dando conto dei fatti su cui riposa la sua valutazione.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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