T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 14-06-2011, n. 1055 Comunicazione, notifica o pubblicazione del provvedimento lesivo armi Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato, e depositato il 16 luglio 2009, F.C. proponeva impugnazione avverso il decreto dell’11 marzo 2009, in epigrafe, mediante il quale il Questore di Firenze gli aveva revocato la licenza di porto di fucile per uso sportivo, nonché avverso il successivo decreto del 30 aprile 2009, con cui il Ministero dell’Interno aveva respinto il ricorso gerarchico da lui proposto contro il divieto di detenzione di armi, adottato nei suoi confronti dal Prefetto di Firenze in data 13 novembre 2008; anche quest’ultimo provvedimento veniva, peraltro, autonomamente ed espressamente impugnato.

Il C., ricostruita in fatto la vicenda all’origine dell’iniziale divieto di detenere armi, svolgeva in diritto tre gruppi di motivi indirizzati, rispettivamente, contro ciascuno dei provvedimenti impugnati, dei quali chiedeva l’annullamento.

Costituitisi in giudizio il Ministero dell’Interno, la Questura e la Prefettura di Firenze, che resistevano al gravame, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 3 marzo 2011.
Motivi della decisione

Con decreto del 13 novembre 2008, il Prefetto di Firenze ha disposto nei confronti di F.C., odierno ricorrente, il divieto di detenzione di armi ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S., reputando il C. carente dei necessari requisiti di affidabilità e buona condotta per essersi reso responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 D.P.R. n. 309/90 (detenzione di sostanze stupefacenti). Conseguentemente, il Questore di Firenze ha revocato, con decreto dell’11 marzo 2009, la licenza di porto di fucile intestata al C., il cui ricorso gerarchico avverso l’iniziale divieto prefettizio di detenere armi è stato respinto dal Ministero dell’Interno il 30 aprile 2009.

I tre provvedimenti dianzi menzionati formano il complessivo oggetto della presente impugnazione, che il ricorrente affida in primo luogo ai due motivi in diritto rivolti contro il più risalente decreto 13 novembre 2008.

Con il primo motivo, è dedotta la violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241/90. In particolare, il ricorrente sostiene di non aver mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’irrogazione del divieto di detenzione di armi, ciò che gli avrebbe impedito di indicare all’amministrazione procedente gli elementi attestanti la correttezza della sua condotta e di confutare ab origine, anche attraverso la produzione di memorie e documenti, la tesi della sua inaffidabilità.

La censura è infondata.

Benché nel ricorso introduttivo del presente giudizio sembri contestare che la comunicazione di avvio del procedimento sia stata mai recapitata presso la sua residenza, il ricorrente in realtà – come meglio si ricava dalla premessa in fatto del ricorso gerarchico presentato al Ministero dell’Interno, nonché da altro inciso del ricorso giurisdizionale – si duole di non averne ricevuto personalmente la notifica, eseguita in sua assenza, ed afferma che, al suo rientro presso l’abitazione, nessuno (dei familiari conviventi, deve presumersi) gli avrebbe consegnato l’atto. Tuttavia, una volta assodato che la comunicazione è effettivamente pervenuta all’indirizzo del destinatario, la consegna a persona di famiglia convivente ivi rinvenuta deve presumersi idonea a perfezionare la notificazione, in virtù della solidarietà connessa al vincolo parentale e del dovere giuridico conseguente all’avvenuta accettazione dell’atto da parte del familiare (da ultimo, cfr. Cass. civ., sez. VI, 15 ottobre 2010, n. 21362); e lo stesso vale per il caso di notificazione eseguita a mezzo del servizio postale (fra le molte, cfr. Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2009, n. 22607), nell’uno e nell’altro caso gravando sul destinatario l’onere – nella specie, rimasto inadempiuto – di fornire la prova della non convivenza con il soggetto resosi materialmente consegnatario dell’atto.

Con il secondo motivo, il C., denunciando la violazione dell’art. 75 D.P.R. n. 309/90 e degli artt. 11, 39, 42 e 43 T.U.L.P.S., nonché di circolari del Ministero dell’Interno, unitamente a diversi profili di eccesso di potere, sostiene che la motivazione addotta a sostegno dell’impugnato divieto di detenzione di armi sarebbe, per un verso, inconferente rispetto al caso concreto, e comunque errata, posto che l’art. 75 D.P.R. 309/90, cit., imporrebbe la sola sospensione della licenza di porto d’armi sul presupposto che non sia data attuazione al programma di cura previsto dalla stessa norma, mentre la medesima Prefettura di Firenze avrebbe escluso, in altra sede, la necessità del ricorrente di sottoporsi a detto programma. Quanto alle richiamate disposizioni del T.U.L.P.S., esse implicherebbero la commissione di delitti e la sottoposizione a condanne penali, inesistenti a carico del C.; inoltre, non risultando in alcun modo dimostrato che quest’ultimo sia consumatore, anche solo occasionale, di sostanze stupefacenti, neppure potrebbero considerarsi integrati i presupposti richiesti dalle circolari ministeriali richiamate dal provvedimento impugnato ai fini della ritiro della licenza. In ogni caso, tenuto conto della tenuità dell’illecito amministrativo accertato a carico del C., il quale si sarebbe sempre astenuto da condotte suscettibili di turbare l’ordine pubblico e la tranquilla convivenza della collettività, il divieto di detenere armi costituirebbe misura sproporzionata, se non addirittura arbitraria, da parte dell’amministrazione.

Neppure tale censura può essere condivisa.

L’art. 39 del T.U.L.P.S. approvato con R.D. n. 773/31 stabilisce che il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti alle persone ritenute capaci di abusarne. Analogamente, l’ultimo comma dell’art. 43 T.U.L.P.S. prevede che la licenza di portare armi può essere ricusata a chi non dà affidamento di non abusare delle armi. Secondo i consolidati orientamenti della giurisprudenza, che il collegio condivide, le norme richiamate riconoscono all’amministrazione un potere di valutazione eminentemente discrezionale, da esercitarsi con prevalente riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale uso delle armi, in relazione alla condotta e all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse; corollario di tale affermazione è che la facoltà di detenere armi, munizioni ed esplosivi non corrisponde ad un diritto soggettivo, il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, bensì ad un interesse reputato senz’altro cedevole a fronte dell’esigenza di evitare rischi per l’incolumità pubblica e per la tranquilla convivenza della collettività: stante il carattere preventivo delle misure di polizia, non è dunque richiesto che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso da parte dell’interessato, essendo sufficiente che – sulla base di elementi obiettivi – costui dimostri una scarsa affidabilità nell’uso delle armi ovvero una insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni (fra le molte, da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2010, n. 379).

Conformemente all’ampio potere discrezionale riservato all’autorità prefettizia, il divieto di detenzione di armi non richiede peraltro una motivazione particolarmente approfondita, mentre il successivo vaglio giurisdizionale deve limitarsi all’esame della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2009, n. 7107).

Ciò posto in termini generali, con riferimento al caso in esame va ulteriormente precisato che il potere di vietare la detenzione di armi, esercitato dal Prefetto di Firenze in dichiarata ed esclusiva applicazione dell’art. 39 T.U.L.P.S., non viene meno in virtù della previsione dell’art. 75 D.P.R. n. 309/90, invocato dal ricorrente, che prevede la sanzione della sospensione del porto d’armi nei confronti di soggetti che fanno uso personale di sostanze stupefacenti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 506). Occorre, pertanto, verificare – sulla scorta della normativa di pubblica sicurezza – se le determinazioni assunte dall’amministrazione possano considerarsi congruenti e giustificate in relazione alla condotta contestata al C., rinvenuto nel possesso di sostanza stupefacente a seguito di una perquisizione domiciliare occasionata dal precedente controllo dell’autovettura sulla quale lo stesso C. si trovava in compagnia di certo Mirko Piredda.

Al riguardo, si osserva in primo luogo che il possesso della sostanza – trovata, in ridotta quantità, nelle tasche di un paio di pantaloni – ne fa anche presumere l’utilizzo da parte dell’interessato. Ciò posto è del tutto evidente che l’utilizzo di stupefacenti, ancorché non frequente, è di per sé incompatibile con la disponibilità di armi, giacché lo stato di alterazione notoriamente prodotto da tali sostanze impedisce di poter fare il dovuto affidamento sulla capacità dell’individuo di non abusare delle armi stesse. Nell’ottica di prevenzione che, come detto, caratterizza l’esercizio dei poteri discrezionali dell’amministrazione in materia, deve allora ritenersi non irragionevole il giudizio di inaffidabilità espresso nei confronti dell’odierno ricorrente, tenuto conto del fatto che il divieto è stato irrogato pressoché nell’immediatezza dell’episodio contestato al C. (l’accertamento del possesso di stupefacenti risale al giugno del 2008, il provvedimento impugnato è del successivo mese di novembre), quando, cioè, non poteva disporsi di elementi obiettivi – quali il decorso di un lungo lasso di tempo dall’ultima, o dall’unica, violazione commessa – per potersi inferire con adeguata certezza il carattere isolato della condotta (che, se dimostrato, potrà semmai legittimare in futuro la rimozione del divieto); né del resto, in tale ottica, è lecito pretendere che l’amministrazione subordini le proprie iniziative al trascorrere del tempo, stante la manifesta prevalenza dell’interesse alla salvaguardia della pubblica incolumità contro il pericolo dell’abuso delle armi, sia pure potenziale, a fronte dell’interesse individuale di chi, facendo uso di stupefacenti, si sia posto nella condizione – sanzionata dall’ordinamento in via amministrativa – di rappresentare quel pericolo.

In contrario, neppure rilevano le circolari ministeriali richiamate dal ricorrente. Se è ben vero, infatti, che in presenza di accertate situazioni di dipendenza da sostanze psicotrope può ritenersi di fatto vincolata la valutazione circa il venir meno dei requisiti per la detenzione di armi, questo non significa che indizi non dotati di altrettanta univocità – come nella specie – non possano far dubitare, secondo il discrezionale apprezzamento dell’amministrazione, della persistente affidabilità del soggetto. Quanto al preteso difetto di proporzionalità del provvedimento, è sufficiente ribadire che, in presenza di una condotta potenzialmente idonea a rendere la disponibilità delle armi pericolosa per la pubblica incolumità, il divieto di detenzione rappresenta misura certamente non irragionevole in funzione dell’esigenza di garantire in via prognostica l’ordine e la sicurezza pubblica.

L’acclarata infondatezza dell’impugnativa rivolta nei confronti del decreto prefettizio del 13 novembre 2008 travolge, rendendone superfluo l’esame, le analoghe censure articolate contro la decisione ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico (decisione che, com’è noto, ha effetto confermativo del provvedimento originario) e contro il decreto questorile di revoca del porto d’armi, le medesime considerazioni già svolte valendo in relazione ai profili di invalidità, derivati ed autonomi, dedotti avverso tali provvedimenti.

In forza di tutto quanto precede, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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