Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 13-06-2011, n. 23650

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 28/4/08. dichiarava S.R. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. e), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71, 65 e 72, e la condannava alla pena di mesi 3 di arresto ed Euro 30.000,00 di ammenda, condizionalmente sospesa: risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, liquidato in Euro 3.000.00;

demolizione del manufatto.

La Corte di Appello di Napoli, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto dalla difesa dell’imputata, con sentenza del 13/7/09 ha rigettalo il gravame.

Propone ricorso per cassazione la difesa della S. con i seguenti motivi:

– la Corte territoriale, con motivazione assolutamente contra jus ha rigettato le doglianze difensive in ordine alla violazione degli artt. 516, 520 e 521 c.p.p., attuatesi nel corso del giudizio di primo grado, in cui il P.M. ha proceduto a modificare la imputazione, ex art. 516 c.p.p. chiedendo che in luogo del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) si intendesse contestato il diverso reato di cui alla lett. e) della medesima norma, modifica basala su un certificato, emesso dal Dipartimento della Pianificazione Urbanistica del Comune di Napoli, avente dalla 29/4/04, presente nel fascicolo del PM:

– omessa motivazione a riscontro della contestata modifica del capo di imputazione.
Motivi della decisione

Il ricorso si palesa manifestamente infondato e va dichiaralo inammissibile. La argomentazione motivazionale, svolta in sentenza, si rivela logica e corretta. Con il primo motivo la difesa della S. rileva che in aperta violazione di legge, la Corte di Appello ha rigettato la eccepita violazione degli artt. 516, 520 e 521 c.p.p., verificatasi nel corso del giudizio di primo grado:

l’imputala era stata traila a giudizio per rispondere del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per avere realizzato una costruzione abusiva, in diletto di titolo abilitativo;

alla udienza dibattimentale del 29/10/07. davanti al Tribunale, si procedeva alla assunzione del teste G.L., appartenente all’UOSAE di (OMISSIS), ed il p.m. in assenza di una risposta certa in merito alla insistenza del manufatto abusivo in zona vincolata, procedeva alla modifica della imputazione, ex art. 516 c.p.p., comma 1, chiedendo che in luogo del reato di cui alla cit. D.P.R., art. 44, lett. b), si intendesse contestata la diversa contravvenzione di cui al medesimo art. 44, lett. c). basando tale modifica della imputazione su un certificato, emesso dal Dipartimento della Pianificazione Urbanistica del Comune di Napoli, avente data 29/4/04, già presente nel fascicolo del p.m..

Osserva la difesa che il p.m. può procedere alla modifica della imputazione solo allorquando la diversità del fatto, rispetto a quello contestalo, emerga nel corso della istruzione dibattimentale e non da elementi precedentemente acquisiti, e di fronte ad una modifica di contestazione così formulata il giudice, lungi dal consentirla, avrebbe dovuto trasmettere gli atti al p.m., ex art. 521 c.p.p., comma 3.

La censura avanzata non può trovare ingresso, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 11/3/99, Barbagallo: Cass. 2/2/06, Di Palma; Cass. 20/6/06, Battilana) il p.ni. può procedere, nel corso del dibattimento e prima dell’inizio della istruzione, alla modifica della imputazione per diversità del fatto, utilizzando a tal fine gli elementi che già emergevano nel corso delle indagini.

Rilevasi che, nella specie, la nuova contestazione è stata ritualmente notificata alla prevenuta, così da permettere ad essa di predisporre l’adeguata linea difensiva.

Sul punto la Corte distrettuale evidenzia, a giusta ragione, che è di decisiva importanza nel processo tenere presenti le garanzie riservando alla difesa, sostanziale e tecnica, della imputata, che contumace, è stata avvisata, con i dovuti termini e forme, della nuova e diversa imputazione, ex art. 519 c.p.p., commi 2 e 3, art. 520 c.p.p..

Quanto al secondo motivo di impugnazione è agevole rilevare che il giudice di seconde cure ha ritenuto, implicitamente, di confermare le conclusioni a cui era pervenuto il Tribunale sulla responsabilità della S. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).

Va rilevato che la prescrizione del reato per cui è condanna si sarebbe "maturata alla data dell’8/9/09, essendo stato l’illecito accertato l’8/3/05, quindi successivamente alla pronuncia del giudice di appello del 13/7/09, ma la inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il corretto istaurarsi del rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare, le cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 22/12/2000. De Luca).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la S. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la stessa, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., va, altresì, condannata, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della sorcina di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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