Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 13-06-2011, n. 23643 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 15/3/07, dichiarava D.M. M. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), e artt. 64 e 71, 65 e 72 e la condannava alla pena di giorni 15 di arresto ed Euro 9.000,00 di ammenda, pena sospesa, con ordine di demolizione del manufatto abusivo;

La Corte di Appello di Napoli, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse della prevenuta, con sentenza del 5/11/08, in riforma del decisimi di prime cure, ha sostituito la pena detentiva con quella di Euro 570.00 di ammenda, così determinando la pena complessiva in Euro 9.570.00 di ammenda; ha revocato il beneficio della sospensione della pena e concesso all’imputata quello della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale;

conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la prevenuta a mezzo del suo difensore, con i seguenti motivi: – ha errato il giudice di merito nel ritenere concretizzato il reato ascritto alla imputata nella condotta dalla stessa posta in essere, in quanto la realizzazione di un soppalco non determina la violazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) perchè non causa la creazione di volumi o superfici nuove.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il discorso giustificativo, svolto dal decidente a sostegno della pronuncia di colpevolezza, si rivela del tutto logico e compiuto.

Evidenziasi che la D.M. era stata chiamata a rispondere dei reati di cui in imputazione per avere realizzato, in difetto di titolo abilitativo e in violazione della normativa sulle edificazioni in c.a., all’interno di una unità immobiliare, due aree soppalcate.

La censura avanzata attiene alla insussistenza del reato, ascritto alla prevenuta, nel caso in cui oggetto del "presunto" abuso sia la realizzazione di un soppalco, la cui creazione non violerebbe il disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

La doglianza si palesa totalmente priva di fondamento, in quanto questa Corte ha avuto modo di affermare il principio, ormai da tempo consolidatosi, secondo cui la esecuzione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano, allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costituire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività, ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3.

Detto intervento comporta, infatti, un incremento della superficie utile calpestabile che a norma dell’art. 110, comma 1, lett. c), del citato decreto, impone il regime di alternatività, indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume (Cass. 26/10/06. Montilli; Cass. 26/1/07, n. 2881; Cass. 1/3/07. n. 8669).

Con;le stesse pronunce di questa Corte è stato rilevato che le opere interne non sono più previste, nella formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, come categoria autonoma di intervento sugli edifici esistenti e devono ritenersi riconducibili alla "ristrutturazione edilizia "allorquando comportino aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche dei volumi, dei prospetti o delle superfici o mutamenti di destinazione d’uso.

La, Corte di merito ha, peraltro, specificato, che nel caso di specie la creazione dei soppalchi in questione ha comportato un aumento della originaria superficie dell’appartamento in misura di un quarto.

Correttamente, di poi, la Corte distrettuale rileva che la relazione allegata alla D.I.A.. presentata dalla D.M., non prevedeva la realizzazione dei soppalchi in contestazione, nè avrebbe potuto prevederla, tenuto conto che l’altezza dell’appartamento, di mt.

4.45, non consentiva la edificazione di soppalchi abitabili, alla stregua del regolamento edilizio del Comune di Napoli, che prevede una altezza minima di m. 2.40.

Osservasi che i reati contestati si sarebbero prescritti in data 14/6/09, successivamente alla data in cui è stata resa la sentenza impugnata, ma la inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infontezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 22/12/2000. De Luca).

Tenuto conto, poi della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la D.M. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la stessa, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannata al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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