Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-06-2011, n. 3646 Impianti di ripetizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Basilicata, E. T. s.p.a. impugnava il provvedimento n. 9607 in data 16 luglio 2008 con il quale il Responsabile dell’Area tecnica del Comune di Tricarico aveva respinto la sua istanza ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. 6 dicembre 2007, n. 259, per l’installazione di un impianto di telefonia mobile sul terreno in catasto al foglio 75, particella 102, situato in località Tempa di San Valentino di quel Comune in quanto il suddetto terreno non era destinato all’allocazione di antenne per telefonia mobile cellulare, come precisato nella delibera del Consiglio comunale 13 marzo 2008, n. 2.

Lamentava violazione degli artt. 13, quarto e quinto comma, e 93 del d.lgs. 6 dicembre 2007, n. 259, degli artt. 3, 7, 8, 10 e 10bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 57 del d.P.R. 1° settembre 1990, n. 285, dell’art. 338 del r.d. 24 luglio 1934, n. 1265, ed eccesso di potere sotto vari profili, chiedendo quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Con la sentenza in epigrafe, n. 99 in data 6 marzo 2009 il Tribunale amministrativo della Basilicata dichiarava inammissibile il ricorso per l’omessa impugnazione della deliberazione n. 7 in data 23 marzo 2002 con la quale il Consiglio comunale di Tricarico aveva approvato il piano comunale di individuazione dei siti per il trasferimento e la delocalizzazione degli impianti di tele radiocomunicazioni ai sensi dell’art. 5 della legge regionale della Basilicata 5 aprile 2000, n. 30.

2. Avverso la predetta sentenza E. T. s.p.a. propone l’appello in epigrafe, rubricato al n. 3407/2010, contestando le argomentazioni che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si è costituito in giudizio il Comune di Tricarico chiedendo, con tre memorie, per un ammontare complessivo di settantatre pagine, nelle quali per due volte viene integralmente trascritta la sentenza di primo grado, il rigetto dell’appello.

L’appellante ha depositato memoria.

La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 6 maggio 2011.

3. L’appello deve essere ammesso in rito.

Nonostante la prolissità degli atti difensivi del Comune, le eccezioni qualificate "assorbenti questioni pregiudiziali e preliminari" sono in gran parte incomprensibili.

Pare di capire che il Comune sostenga che l’irregolarità della notifica effettuata ai sensi dell’art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, in quanto effettuata in violazione dei limiti territoriali di competenza degli ufficiali giudiziari, ma la questione non può essere condivisa in quanto i predetti limiti non si applicano all’avvocato che provveda direttamente alla notifica ai sensi della predetta legge (Cass., 19 febbraio 2000, n. 1938).

L’art. 23bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 è di stretta applicazione, per cui non può essere applicato, ed invero non è nella prassi applicarlo, per i giudizi riguardanti l’installazione di impianti per la telefonia mobile, non considerati dalla norma.

L’appello è poi fondato nel merito.

3a. Occorre premettere come nella presente controversia sia irrilevante ogni riferimento ad un precedente diniego, opposto dal Comune appellato in relazione a diversa domanda di localizzazione di impianto per la telefonia cellulare, sul quale pure si diffondono le parti, in quanto il provvedimento di cui ora si discute non è confermativo del precedente, atteso che prevede una diversa localizzazione dell’impianto.

La mancata impugnazione di quel diniego non impedisce quindi all’appellante di tutelarsi avverso il rigetto di una domanda del tutto distinta dalla prima.

3b. Non sussiste l’inammissibilità del ricorso originaria, riscontrata dal primo giudice.

Il ricorso di primo grado è stato dichiarato inammissibile in quanto il provvedimento impugnato è stato emanato in attuazione della deliberazione n. 7 in data 23 marzo 2002 con la quale il Consiglio comunale di Tricarico aveva approvato il piano comunale di individuazione dei siti per il trasferimento e la delocalizzazione degli impianti di tele radiocomunicazioni ai sensi dell’art. 5 della legge regionale della Basilicata 5 aprile 2000, n. 30.

Come già sottolineato, il primo giudice ha ritenuto che la tutela delle ragioni della società ricorrente non potessero prescindere dall’impugnazione del suddetto atto, da proporre entro sessanta giorni dalla conoscenza o meglio dalla formazione dell’onere di conoscenza, avvenuta il giorno della presentazione dell’istanza.

La tesi non può essere condivisa in quanto il richiamato art. 5 della legge regionale della Basilicata 5 aprile 2000, n. 30, è stato superato dal successivo sviluppo della legislazione statale in materia di comunicazioni attraverso telefoni cellulari.

Invero, con la legge 1 agosto 2002, n. 166, in esecuzione delle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, la disciplina della copertura del sistema di comunicazioni mediante telefonia mobile è stata accentrata presso lo Stato, che ha posto la disciplina specifica con il d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 41 della predetta legge n. 166.

In questo quadro, la scelta di inserire le infrastrutture di reti di telecomunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria esprime un principio fondamentale della legislazione urbanistica, come tale di competenza dello Stato (Cons. Stato., VI, 27 dicembre 2010, n. 9404).

Di conseguenza, il potere a contenuto pianificatorio dei comuni di fissare, ai sensi dell’art. 8, u.c., della citata l. n. 36 del 2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non si può mai tradurre nel potere di sospendere la formazione dei titoli abilitativi formati o in corso di formazione ai sensi degli artt. 86 e 87 Codice delle comunicazioni elettroniche. La citata potestà dei Comuni deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe infatti a costituire un’inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto con l’art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il territorio dello Stato (Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2010, n. 9414).

Il richiamato piano comunale è stato emanato sulla base del differenti presupposto normativo costituito dalla legge della Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 30, le cui previsioni palesemente divergono da quelle della sopravvenuta normativa statale in quanto attribuiscono ai comuni un generalizzato potere di pianificazione delle infrastrutture della telefonia mobile, riservando alla Regione l’autorizzazione di ogni singolo impianto.

Le previsioni della legge regionale sono quindi divenute inapplicabili a seguito dell’entrata in vigore della normativa di rango superiore a contenuto incompatibile, e sono quindi divenute inapplicabili le disposizioni generali dettate dai comuni in sua attuazione.

Da tali osservazioni consegue che l’appellante non aveva alcun onere di impugnare il citato piano comunale, non applicabile nella fattispecie a causa della sopravvenuta inefficacia e quindi privo di valenza lesiva.

La deduzione dell’argomentazione in appello è quindi ammissibile, in quanto ha assunto rilievo solo in esito all’impostazione della sentenza appellata.

4. In conclusione, la censura di difetto di motivazione proposta dall’appellante si appalesa fondata, in quanto la scelta del Comune si basa integralmente su un atto inapplicabile in quanto superato dalla normativa sopravvenuta e palesemente contrario alla ricostruzione della medesima, di cui alla richiamata sentenza di questa Sezione 27 dicembre 2010, n. 9414.

L’appello deve, pertanto, essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accolto il ricorso di primo grado ed annullato il provvedimento impugnato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello n. 3407/10, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado per l’effetto annullando il provvedimento impugnato.

Condanna il Comune soccombente al pagamento, in favore dell’appellante, di spese ed onorari del presente grado del giudizio, liquidandole in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre agli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

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