Corte Costituzionale ordinanza n. 292 ORDINANZA 04 – 08 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 41 del 13-10-2010

Ordinanza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 15, comma 2-bis,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – comma
introdotto dall’art. 12 del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437
(Disposizioni urgenti in materia di imposizione diretta ed indiretta,
di funzionalita’ dell’Amministrazione finanziaria, di gestioni fuori
bilancio, di fondi previdenziali e di contenzioso tributario), quale
convertito dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556 -, promossi con
ordinanze depositate il 7 maggio 2009, il 7 maggio 2009 ed il 22
maggio 2009 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto in tre
distinti giudizi di appello, vertenti, rispettivamente, tra gli
appellanti s.p.a. Grandi Molini Italiani, s.p.a. Agritalia, s.p.a.
Crivellari & Zerbini e l’appellata Agenzia delle entrate, iscritte al
n. 294, al n. 295 ed al n. 296 del registro ordinanze 2009 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1ª serie
speciale, dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della s.p.a. Crivellari & Zerbini e
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2010 (r.o. n. 296
del 2009) e nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 (r.o. n.
294 e n. 295 del 2009) il giudice relatore Franco Gallo;
Udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale del Veneto, con
tre ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, pronunciate il 2
marzo 2009 e depositate il 7 maggio 2009 (r.o. n. 294 e n. 295 del
2009) ed il 22 maggio 2009 (r.o. n. 296 del 2009), ha sollevato – in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione
– questioni incidentali di legittimita’ dell’art. 15, comma 2-bis,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);
che detto comma – introdotto dall’art. 12 del decreto-legge 8
agosto 1996, n. 437 (Disposizioni urgenti in materia di imposizione
diretta ed indiretta, di funzionalita’ dell’Amministrazione
finanziaria, di gestioni fuori bilancio, di fondi previdenziali e di
contenzioso tributario), quale convertito dalla legge 24 ottobre
1996, n. 556 – stabilisce, a proposito delle spese del giudizio
tributario, che: «Nella liquidazione delle spese a favore
dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari
dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da
propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e
procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di
avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a
ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della
sentenza»;
che il giudice a quo riferisce che, in ciascuno dei suddetti
giudizi: a) il contribuente aveva impugnato davanti alla Commissione
tributaria provinciale di Rovigo il silenzio-rifiuto formatosi
sull’istanza di rimborso dell’IRAP da lui corrisposta; b) tale
impugnazione, basata sulla dedotta incompatibilita’ dell’IRAP con la
sesta direttiva dell’UE del 17 maggio 1977, era stata rigettata dal
giudice adito, il quale aveva ritenuto che l’interessato avrebbe
dovuto presentare la richiesta di rimborso mediante apposita
dichiarazione rettificativa e non, come era avvenuto nella specie,
mediante una semplice istanza ed aveva, quindi, condannato il
contribuente al pagamento delle spese di lite in favore della
resistente Agenzia delle entrate, difesasi in giudizio con
l’assistenza di un proprio funzionario, non iscritto all’albo degli
avvocati; c) avverso la sentenza del giudice di primo grado il
contribuente aveva interposto appello davanti alla Commissione
tributaria regionale del Veneto, limitatamente al capo di pronuncia
relativo alle spese di lite, chiedendone la riforma e deducendo, a
tal fine, che, da un lato, il giudice di primo grado aveva errato nel
ritenere necessaria, per il rimborso dell’imposta, una dichiarazione
rettificativa e, dall’altro, che la questione della compatibilita’
dell’IRAP con l’ordinamento comunitario era nuova, complessa e
controversa, almeno fino al momento in cui era stata emessa – nelle
more dei giudizi – la sentenza della Corte di giustizia CE del 3
ottobre 2006, in causa C – 475/03, con la quale era stata
riconosciuta tale compatibilita’; d) secondo l’appellante, prima
della suddetta sentenza della Corte di giustizia la compatibilita’
dell’IRAP con l’ordinamento comunitario era stata incerta, al punto
che la stessa Agenzia delle entrate aveva sottolineato l’opportunita’
di transigere le controversie pendenti al riguardo (circolare n. 9/E
del 14 febbraio 2007) e che perfino l’Avvocatura generale presso la
medesima Corte di giustizia aveva concluso per l’illegittimita’
dell’imposta; e) sempre per l’appellante, inoltre, il giudice di
primo grado non aveva analiticamente distinto i singoli importi in
relazione alle diverse voci tariffarie, come sarebbe stato invece
necessario, tenuto conto del mancato deposito, da parte
dell’amministrazione resistente, di una dettagliata nota-spese, ed
aveva comunque liquidato in misura eccessiva le spese di lite; e)
l’amministrazione appellata aveva replicato osservando che la
nota-spese era stata a suo tempo regolarmente presentata e che la
sentenza impugnata era motivata non con la compatibilita’ dell’IRAP
rispetto all’ordinamento comunitario, ma con la preliminare
considerazione della ritenuta inadeguatezza delle modalita’ della
richiesta di rimborso dell’imposta;
che, poste tali premesse, il giudice a quo afferma che la
disposizione denunciata, disciplinando il caso in cui
l’amministrazione finanziaria vittoriosa in giudizio sia stata
assistita da un proprio funzionario non iscritto nell’albo degli
avvocati, viola: a) l’art. 3 Cost., sotto tre profili: a.1) in primo
luogo, perche’, imponendo per la liquidazione delle spese di lite
l’applicazione «diretta» delle tariffe forensi, ingiustificatamente
assimila situazioni obiettivamente disomogenee (cioe’ l’esercizio
della professione di avvocato, da un lato, e l’attivita’ defensionale
svolta da un funzionario di una pubblica amministrazione, per il
quale non e’ richiesto neppure uno specifico titolo di studio o
abilitativo all’esercizio di una professione, dall’altro); a.2) in
secondo luogo, perche’, richiamando solo le tariffe forensi e non
anche altre tariffe professionali o tariffe espressamente
determinate, irragionevolmente impedisce al giudice di liquidare le
spese di lite in base al contenuto della controversia ed alla
tipologia della difesa tecnica prescelta dalla parte privata e
comunque di fare applicazione analogica di altre tariffe
professionali, con la conseguenza di derogare ingiustificatamente
anche al principio fissato dal comma 2, primo periodo, dello stesso
art. 15, per il quale «I compensi agli incaricati dell’assistenza
tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe
professionali»; a.3) in terzo luogo, perche’, nel prevedere per la
liquidazione degli onorari relativi alla difesa giudiziale svolta dai
funzionari dell’amministrazione finanziaria la riduzione forfetaria e
«aprioristica» del 20 per cento, rispetto agli onorari forensi,
irragionevolmente impedisce al giudice di liquidare, «sulla base di
una autonoma specifica valutazione di tutti gli elementi
disponibili», spese di lite eventualmente non minori di quelle
derivanti dall’utilizzazione delle prestazioni professionali di un
avvocato; b) gli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., perche’,
imponendo – in forza dell’applicazione delle tariffe forensi – di
liquidare un rimborso forfetario delle "spese generali", pari al 12,5
per cento degli onorari di avvocato, crea una irragionevole
disparita’ di trattamento giudiziario tra la parte privata, per la
quale il rimborso delle spese riguarda «sempre […], almeno in
parte», spese effettivamente sostenute, e l’amministrazione
finanziaria, per la quale, invece, tale rimborso «comporta o puo’
comportare, un suo arricchimento, essendo commisurata non gia’ a
costi vivi sostenuti […] ma a percentuale sugli onorari liquidati,
prescindendo del tutto da tali costi»; c) l’art. 24 Cost., perche’,
la condanna alle spese in favore della parte pubblica, commisurando
la liquidazione di tali spese alla tariffa forense senza un puntuale
rapporto con costi effettivi sostenuti nel singolo processo, «finisce
per rappresentare o un contributo parafiscale al funzionamento
dell’Amministrazione a favore della quale sia disposta o un
ingiustificato prelievo sanzionatorio a carico del soccombente o,
comunque, una condanna patrimoniale ad effetto dissuasivo dal
ricorrere al Giudice», con l’effetto di costituire un «fattore di
remora, per la parte privata», e, pertanto, una limitazione del suo
diritto di difesa, non giustificato da alcun preminente interesse
pubblico;
che, quanto alla affermata rilevanza di tutte le sollevate
questioni di legittimita’ costituzionale, il rimettente – richiamando
a paragone il processo di opposizione alle sanzioni amministrative,
previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n.
689 (Modifiche al sistema penale) – osserva preliminarmente che, in
mancanza della denunciata disposizione, il giudice di primo grado
avrebbe dovuto liquidare, in favore dell’amministrazione finanziaria,
difesasi in giudizio per il tramite di propri funzionari non iscritti
all’albo degli avvocati, solo le spese vive da questa effettivamente
sostenute e non anche i diritti, gli onorari e le spese generali
risultanti dall’applicazione delle tariffe forensi;
che per il rimettente, pertanto, tutte le questioni sono
rilevanti, perche’ egli, quale giudice di secondo grado, deve fare
applicazione della disposizione denunciata, essendo stata dedotta in
ciascun appello, quale specifico motivo d’impugnazione, la non
congruita’ della liquidazione delle spese di lite effettuata dal
giudice di primo grado;
che e’ intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni prospettate siano
dichiarate inammissibili o, in subordine, manifestamente infondate;
che in particolare, secondo la difesa dello Stato, le
questioni sono inammissibili, perche’ il rimettente: a) omettendo di
motivare circa l’insussistenza dei giusti motivi invocati dagli
appellanti per ottenere – in riforma delle sentenze di primo grado –
una pronuncia di integrale compensazione tra le parti delle spese di
lite, ha, con cio’, omesso di motivare sulla rilevanza delle
questioni medesime; b) lamentando la mancanza di una disciplina
legislativa calibrata sulla prestazioni defensionali dei dipendenti
dell’amministrazione finanziaria, richiede l’introduzione di una
normativa che non potrebbe mai conseguire alla invocata pronuncia di
illegittimita’ costituzionale, ma solo alla scelta discrezionale del
legislatore; c) nel denunciare l’irragionevolezza della deroga, nel
caso di difesa tramite funzionari dell’amministrazione, al principio
di cui al comma 2 del censurato art. 15 – secondo il quale i compensi
agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base
delle rispettive tariffe professionali – ha omesso di indicare i
«necessari elementi a giustificazione di un eventuale differente
trattamento sotto tale profilo» e, quindi, ha omesso di motivare
sulla rilevanza; d) dopo aver lamentato l’equiparazione
dell’attivita’ defensionale dei funzionari dell’amministrazione con
l’attivita’ professionale forense, contraddittoriamente si duole del
fatto che tale equiparazione non sia del tutto perfetta; e) ha
denunciato solo in via ipotetica la norma sulla liquidazione
forfetizzata delle spese generali, affermando che tale previsione
«comporta o puo’ comportare» un ingiustificato arricchimento
dell’amministrazione finanziaria;
che, quanto alla manifesta infondatezza delle questioni,
l’Avvocatura generale dello Stato deduce che la disposizione
denunciata non si pone in contrasto con alcuno dei parametri
costituzionali evocati dal rimettente: a) non con l’art. 3 Cost.,
perche’: a.1.) l’equiparazione tra l’attivita’ difensiva dei
funzionari dell’amministrazione e quella forense non e’ totale
(essendo prevista una decurtazione del 20 per cento degli onorari) e,
comunque, e’ giustificata dal fatto che l’attivita’ svolta dai
funzionari «non si differenzia, nella sostanza, da quella svolta dal
difensore»; a.2.) il processo di opposizione alle sanzioni
amministrative, previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge n. 689
del 1981, e’ relativamente semplice, tanto che e’ consentito ad
entrambe le parti di stare in giudizio personalmente, e, pertanto,
non puo’ essere posto a raffronto con il piu’ complesso processo
tributario, il quale e’ articolato su due gradi di merito, con
l’obbligo per la parte privata di munirsi di difesa tecnica (salvo
per le cause di valore minimo), ed e’ analogo al processo civile;
a.3.) la scelta del legislatore di riconoscere in favore
dell’amministrazione finanziaria l’80 per cento degli onorari
stabiliti dalla tariffa forense e’ razionale e non arbitraria, tenuto
conto sia della sostanziale identita’ dell’attivita’ difensiva svolta
dai funzionari rispetto a quella svolta dai legali sia del fatto che
detti funzionari non hanno necessariamente la qualifica di avvocato;
b) non con gli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., perche’ la
previsione normativa della liquidazione forfetizzata (in misura pari
al 12,5 per cento dell’importo degli onorari) delle spese generali
sostenute dall’amministrazione finanziaria che si sia difesa con
propri funzionari e’ ragionevole, in quanto si riferisce a costi
effettivi (carta, toner, uso delle macchine informatiche, oneri del
personale addetto al contenzioso, etc.), anche se non analiticamente
quantificati, ed in quanto il giudice ha comunque il potere di
escludere la ripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue,
ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ.; c) non con l’art. 24 Cost.,
perche’, alla luce del principio di responsabilita’ per le spese del
giudizio (ritenuto applicabile anche al processo tributario dalla
sentenza n. 274 del 2005 della Corte costituzionale), non esiste il
diritto di instaurare un giudizio senza il rischio della condanna
alle spese ed e’, percio’, «illogico» ravvisare nella liquidazione
delle spese processuali in favore dell’amministrazione finanziaria un
illegittimo effetto dissuasivo a difendersi in giudizio;
che nel giudizio registrato al n. 296 del 2009 si e’
costituita la contribuente, s.p.a. Crivellari & Zebini, dichiarando –
all’esito di una dettagliata disamina storica e sistematica
dell’intera disciplina delle spese di lite nel processo tributario −
di aderire all’ordinanza di rimessione;
che detta societa’ afferma, in particolare, che la
disposizione denunciata, diversamente dalle norme che disciplinano
tutte le altre fattispecie di partecipazione personale della pubblica
amministrazione ad un giudizio (art. 3 del regio decreto 30 ottobre
1933, n. 1611, recante «Approvazione del testo unico delle leggi e
delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio
dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato»; art. 23,
quarto comma, del d.P.R. n. 689 del 1981; art. 417-bis cod. proc.
civ.), prevede, in caso di vittoria di tale amministrazione, non il
mero ristoro delle spese vive sostenute, con vaglio di congruita’
della nota-spese da parte del giudice, ma irragionevolmente impone,
per il rimborso delle spese generali, il «riconoscimento automatico
di una somma percentuale» degli onorari (pari al 12,5 per cento) –
parametrata, pertanto, al valore della causa −, senza consentire al
giudice la verifica dei costi effettivamente sostenuti
dall’amministrazione finanziaria;
che inoltre, sempre ad avviso della stessa parte privata, la
disposizione censurata distingue irragionevolmente tra le prestazioni
processuali degli iscritti negli elenchi di cui all’art. 12, comma 2,
del d.lgs. n. 546 del 1992, per le quali si applica la tariffa
vigente per i ragionieri, e quelle, del tutto similari, dei
funzionari dell’amministrazione finanziaria, per le quali si applica,
invece, la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, sia pure
con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato;
che infine, secondo la suddetta societa’, la disposizione
denunciata e’ irragionevole anche perche’ introduce nel processo
tributario una ingiustificata diversita’ di trattamento tra chi si
difende personalmente, al quale non spetta alcun rimborso (nemmeno
delle spese vive, in base alla sentenza della Corte di cassazione n.
12680 del 2004, richiamata dalla contribuente), e la pubblica
amministrazione, la quale, quando si difende mediante propri
funzionari – e, quindi, mediante difesa non tecnica -, ha diritto,
invece, al rimborso delle spese liquidate in base alle tariffe
forensi.
Considerato che, con tre ordinanze depositate, rispettivamente,
il 7 maggio 2009, il 7 maggio 2009 ed il 22 maggio 2009, la
Commissione tributaria regionale del Veneto dubita, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, della
legittimita’ dell’art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della
legge 30 dicembre1991, n. 413);
che detto comma – introdotto dall’art. 12 del decreto-legge 8
agosto 1996, n. 437 (Disposizioni urgenti in materia di imposizione
diretta ed indiretta, di funzionalita’ dell’Amministrazione
finanziaria, di gestioni fuori bilancio, di fondi previdenziali e di
contenzioso tributario), quale convertito dalla legge 24 ottobre
1996, n. 556 – stabilisce, a proposito delle spese del giudizio
tributario, che: «Nella liquidazione delle spese a favore
dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari
dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da
propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e
procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di
avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a
ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della
sentenza»;
che, ad avviso del giudice a quo, tale disposizione viola,
innanzitutto, l’art. 3 Cost. sotto tre profili: sotto un primo
profilo, perche’ – imponendo per la liquidazione delle spese di lite
l’applicazione «diretta» delle tariffe forensi – ingiustificatamente
assimila situazioni obiettivamente disomogenee (cioe’ l’esercizio
della professione di avvocato, da un lato, e l’attivita’ defensionale
svolta da un funzionario di una pubblica amministrazione, per il
quale non e’ richiesto neppure uno specifico titolo di studio o
abilitativo all’esercizio di una professione, dall’altro); sotto un
secondo profilo, perche’ – stabilendo l’applicabilita’ solo delle
tariffe forensi e non anche di altre tariffe professionali o di
tariffe espressamente determinate – irragionevolmente impedisce al
giudice di liquidare le spese di lite in base al contenuto della
controversia ed alla tipologia della difesa tecnica prescelta dalla
parte privata e comunque di fare applicazione analogica di altre
tariffe professionali, con la conseguenza di derogare
ingiustificatamente anche al principio fissato dal comma 2, primo
periodo, dello stesso art. 15, per il quale «I compensi agli
incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle
rispettive tariffe professionali»; sotto un terzo profilo, perche’ –
nel prevedere per la liquidazione degli onorari relativi alla difesa
giudiziale svolta dai funzionari dell’amministrazione finanziaria la
riduzione forfetaria e «aprioristica» del 20 per cento, rispetto agli
onorari forensi – irragionevolmente impedisce al giudice di
liquidare, «sulla base di una autonoma specifica valutazione di tutti
gli elementi disponibili», spese di lite eventualmente non minori di
quelle derivanti dall’utilizzazione delle prestazioni professionali
di un avvocato;
che, sempre per il medesimo rimettente, la disposizione
censurata viola anche gli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.,
perche’ – imponendo, in forza dell’applicazione delle tariffe
forensi, di liquidare un rimborso forfetario delle «spese generali»,
pari al 12,5 per cento degli onorari di avvocato – crea una
irragionevole disparita’ di trattamento giudiziario tra la parte
privata, per la quale il rimborso delle spese riguarda «sempre […],
almeno in parte», spese effettivamente sostenute, e l’amministrazione
finanziaria, per la quale, invece, tale rimborso «comporta o puo’
comportare, un suo arricchimento, essendo commisurata non gia’ a
costi vivi sostenuti […] ma a percentuale sugli onorari liquidati,
prescindendo del tutto da tali costi»;
che il rimettente denuncia, infine, la violazione dell’art.
24 Cost., perche’, la disposizione censurata – prevedendo la
liquidazione delle spese di lite in favore della parte pubblica in
base alla tariffa forense e senza un puntuale rapporto con costi
effettivi sostenuti nel singolo processo – «finisce per rappresentare
o un contributo parafiscale al funzionamento dell’Amministrazione a
favore della quale sia disposta o un ingiustificato prelievo
sanzionatorio a carico del soccombente o, comunque, una condanna
patrimoniale ad effetto dissuasivo dal ricorrere al Giudice», con
l’effetto di costituire un «fattore di remora, per la parte privata»,
e, pertanto, una limitazione del suo diritto di difesa, non
giustificato da alcun preminente interesse pubblico;
che i giudizi di cui alle predette ordinanze di rimessione,
in quanto hanno ad oggetto la medesima disposizione e riguardano
identiche questioni, debbono essere riuniti, per poter essere
congiuntamente esaminati e decisi, a nulla rilevando, in contrario,
che la loro trattazione sia avvenuta in parte mediante discussione in
pubblica udienza e in parte in camera di consiglio (ex plurimis,
sentenza n. 227 del 2010);
che l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilita’
delle questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza;
che l’eccezione e’ fondata;
che il rimettente premette che egli, quale giudice di
appello, deve giudicare su due motivi di impugnazione: il primo,
proposto in via principale, relativo alla mancata considerazione, da
parte del primo giudice, della sussistenza di giusti motivi per
compensare integralmente tra le parti le spese del primo grado di
giudizio; il secondo, proposto in via logicamente subordinata,
relativo alla eccessivita’ e non congruita’ delle medesime spese di
lite, come liquidate con la sentenza appellata;
che, tuttavia, il giudice a quo, dopo aver posto tale
premessa, si limita ad affermare di dover fare applicazione della
denunciata disposizione con riferimento al secondo motivo di appello,
senza mai prendere in considerazione il primo – e logicamente
preliminare – motivo di impugnazione, il cui accoglimento
escluderebbe, invece, l’applicazione della disposizione censurata;
che tale lacuna motivazionale si risolve nell’omessa
motivazione sulla rilevanza, con conseguente manifesta
inammissibilita’ delle sollevate questioni;
che, oltre a cio’, il rimettente mostra una radicale
incertezza in ordine al petitum rivolto a questa Corte,
contraddittoriamente richiedendo – nell’ipotesi in cui l’Agenzia
delle entrate sia risultata vittoriosa in giudizio e si sia difesa
tramite propri funzionari non iscritti nell’albo degli avvocati – la
declaratoria di illegittimita’ costituzionale della denunciata
disposizione ora nella sua totalita’ (sul presupposto interpretativo
che, in tal caso, le altre norme vigenti gli imporrebbero di disporre
il rimborso delle sole spese vive effettivamente sostenute), ora
nella sola parte in cui esclude (nella stessa ipotesi)
l’applicabilita’ di tariffe professionali diverse da quelle forensi o
di specifiche tariffe (espressamente determinate dal legislatore),
ora – infine – nella parte in cui non consente al giudice di
determinare il rimborso nella misura ritenuta piu’ adeguata;
che, a parte l’ovvia considerazione che – come osservato
dall’Avvocatura dello Stato – una pronuncia della Corte non potrebbe
mai avere l’effetto di introdurre una specifica tariffa dei compensi
per l’attivita’ difensiva svolta in giudizio dai funzionari
dell’amministrazione finanziaria, tale indeterminatezza del petitum
comporta, anche sotto tale profilo, la manifesta inammissibilita’
delle questioni (ex plurimis, sentenze n. 190 del 2010 e n. 247 del
2009; ordinanze n. 91 del 2010 e n. 286 del 2009).
Visto l’art. 15, comma 2, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
Dichiara la manifesta inammissibilita’ delle questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 15, comma 2-bis, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate −
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della
Costituzione − dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con
le ordinanze di cui in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Gallo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria l’8 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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