Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-06-2011, n. 3645 misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato il 16 novembre 2009, l’Impresa C. G. Costruzioni s.a.s. impugnava presso il Tribunale amministrativo regionale della Campania l’interdittiva antimafia del Prefetto di Napoli del 19 settembre 2009, nonché la comunicazione del Comune di Castellammare relativa alla revoca del contratto stipulato con essa impresa in data 30 aprile 2008 ai fini della realizzazione di interventi nel campo dell’edilizia sovvenzionata.

L’interdittiva era basata sulla rilevazione che il direttore tecnico e socio accomandatario della ricorrente – C. G. – risultava gravato da procedimento penale 37035/03 dal quale emergevano "indizi di permeabilità" alla criminalità organizzata (come da ordinanza del giudice per le indagini preliminari dell’8 giugno 2006). Si riteneva quindi che questi fosse in condizioni di soggezione e condizionamento da parte di gruppi camorristici operanti in zona e potesse rendere la propria impresa condizionabile da tali gruppi.

Il ricorrente eccepiva: 1) difetto di istruttoria, in quanto la società non era mai stata sottoposta ad indagine investigativa antimafia ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252; 2) contraddittorietà dell’operato del Comune che, in presenza dell’interdittiva, avrebbe dovuto risolvere il contratto senza comunicare l’avvio del procedimento e senza applicazione del protocollo di legalità; 3) vizio del procedimento concernente il prospettato recesso, per il negato accesso alla informativa prefettizia e, quindi, per impossibilità di contraddire; 4) l’esponente della società ricorrente, all’epoca direttore tecnico di altra società, risultava parte lesa in un procedimento penale a carico di presunti camorristi per vicende estorsive; 5) difetto di motivazione dell’informativa prefettizia assunta sulla base di atti presupposti non completi.

1.1 Il Tribunale amministrativo della Campania accoglieva il ricorso.

Ricordava il giudice come la Corte costituzionale avesse in più occasioni riconosciuta la costituzionalità di strumenti anche eccezionali di reazione, in difesa degli interessi dell’intera collettività nazionale, in quanto commisurati alla gravità del pericolo, al rango dei valori tutelati, alle necessità da fronteggiare (es. Corte cost, 11 febbraio 2002, n. 25). L’inibitoria antimafia, per la giurisprudenza costituzionale, costituisce una misura di tutela preventiva contro le ingerenze del crimine organizzato nelle attività economiche e nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

Ricordava ancora il Tribunale amministrativo come in questo campo fosse attribuito all’attività prefettizia un ampio e insindacabile margine di accertamento e di apprezzamento circa gli elementi da cui desumere connivenze o collegamenti di tipo mafioso.

Come in campi vicini (scioglimento dei consigli comunali o provinciali, o decadenza da cariche elettive amministrative), l’adozione di una interdizione antimafia non richiede lo stesso grado di certezza di una decisione penale, essendo sufficiente il semplice pericolo di pregiudizio, per la presenza di fatti tali da rendere plausibile un collegamento e un condizionamento da parte della criminalità organizzata. La straordinaria misura prefettizia può essere motivata con il semplice riferimento alla sussistenza di fatti idonei a dimostrare, anche se in via indiziaria e sintomatica, una siffatta pericolosità.

Proseguiva ancora il Tribunale amministrativo ricordando che "tali apprezzamenti, spettanti alla competente autorità amministrativa, sono soggetti al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, nei limiti ovviamente ammessi dalla cognizione sui vizi di legittimità degli atti amministrativi limitatamente ai casi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti".

1.2 Sviluppata tale premessa, il giudice rilevava però che la misura interdittiva adottata si fondava unicamente sulle risultanze di un’ordinanza di custodia cautelare del 2006 – non riguardante peraltro in modo diretto il C. – per fatti risalenti al 20032004, nella quale si faceva riferimento alla posizione dell’esponente della società ricorrente. Dagli atti stessi emergeva come costui non risultasse gravato da un procedimento penale, essendo piuttosto offeso dal reato.

E’ pur vero, riteneva il giudice, che, in base all’art. 2 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) gli imprenditori vittime di estorsioni da parte di gruppi malavitosi possono, a determinate condizioni, essere esclusi dalle gare per l’affidamento di appalti pubblici ove omettano di denunciare gli estorsori. Ma tale ipotesi non implica la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa. Né giustifica, in mancanza di ulteriori e concludenti indizi, l’automatica applicazione della misura interdittiva.

Conclusivamente, il giudice riteneva il provvedimento prefettizio viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, decretandone la conseguente illegittimità.

Non veniva invece accolta la richiesta risarcitoria, non rinvenendosi un elemento di colpevolezza nel comportamento dell’autorità prefettizia, mentre per quanto riguarda l’amministrazione comunale questa era vincolata in presenza di una informativa antimafia ostativa.

2. Contro detta sentenza ricorreva in appello il Comune di Castellammare di Stabia, con ricorso notificato in data 23 marzo 2010.

Veniva altresì proposto, in data 12 aprile 2010, un appello incidentale da parte del Ministero dell’interno.

Nei due ricorsi presentati veniva altresì richiesta la sospensione della sentenza di accoglimento pronunciata dal giudice di primo grado.

Tale domanda veniva respinta da questa Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 2202 del 19 maggio 2010. Ivi si rilevava che la richiesta cautelare non appariva sorretta, sia nelle prospettazioni dell’appello principale che in quello incidentale, dal requisito del fumus bonis iuris. Ciò con riguardo, in primo luogo, alla circostanza che l’appellata non risultava aver rivestito la qualità di indagato nell’ambito del procedimento penale nel quale venne emessa l’ordinanza restrittiva – non riguardante il C. – contenente le espressioni alla base del provvedimento interdittivo prefettizio annullato dal primo giudice ("incarnava il prototipo dell’imprenditore subordinato, che subiva l’intimidazione camorristica e cambiava, conseguentemente, atteggiamento ottemperando alle prestazioni richieste…").

Ancora, l’ordinanza ricordava, come risultava in primo grado, che l’imprenditore era stato offeso – e non imputato – dal delitto di estorsione aggravata.

Non risultava altresì, dagli atti, che il C. fosse mai stato sottoposto ad indagine per favoreggiamento (378 Cod. pen.). L’unico elemento risultava di aver subito pressioni dalla criminalità organizzata e da esserne rimasto intimorito.

In base a tali considerazioni, il Collegio respingeva l’istanza cautelare.

2.1 Nei due ricorsi, in particolare in quello incidentale proposto dal Ministero dell’interno, viene oggi ricordato che il provvedimento interdittivo era stato adottato in quanto era emerso che il C. risultava gravato da un procedimento penale, n. 37035/03 del RGGP, dal quale emergevano indizi di permeabilità dell’azione imprenditoriale alla criminalità organizzata.

In quel procedimento penale, il cui esito finale è risultato favorevole al C., il giudice, riferendosi allo stesso, affermava, come sopra ricordato, che "il medesimo incarna il prototipo dell’imprenditore c.d. subordinato, che subisce l’intimidazione camorristica e cambia, conseguentemente, atteggiamento ottemperando alle prestazioni richieste".

Nel ricorso si ricorda altresì che, da accertamenti attivati dalla Direzione investigativa antimafia di Napoli a carico della società Concrete s.r.l., emergeva che il C., unitamente a D. P. R., figurava citato nella c.d. "operazione Normandia", dove risultava che esponenti del "clan dei casalesi", in concorso morale e materiale tra loro e C. I., avevano costretto i suddetti ad affidare alla società E. P., amministrata dalla C., numerose commesse.

Tali risultanze venivano esaminate dal Gruppo ispettivo antimafia (GIA) il 22 settembre 2009, e ivi si riteneva di evidenziare che poteva essere adottato un provvedimento ostativo antimafia nei confronti dell’impresa C. G. Costruzioni.

Le conclusioni del GIA confluivano poi nel provvedimento prefettizio interdittivo del 14 ottobre 2009.

Il C., pur non gravato da un procedimento penale, come ricorda il Tribunale amministrativo, risultava tuttavia, ad avviso dell’Amministrazione, "destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e, quindi, coinvolto nel procedimento penale". Inoltre, sebbene l’organo giudicante riconoscesse aver egli assunto "piuttosto, la qualità di parte offesa", non di meno a giudizio del giudice penale incarnava quel "prototipo dell’imprenditore c.d. subordinato" al quale si è precedentemente fatto riferimento.

Tutti questi elementi completavano, ad avviso dell’Amministrazione ricorrente, il quadro indiziario ai fini della sussistenza di un possibile condizionamento dell’impresa ben al di là della mera sussistenza di un’ordinanza cautelare in data 2006, menzionata dal Tribunale amministrativo. Per tali ragioni era sufficientemente dimostrata la sussistenza di elementi sul tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa, posti a fondamento del provvedimento prefettizio.

3. La causa veniva portata in decisione nella pubblica udienza del 6 maggio 2011

E’ opportuno in premessa ricordare le motivate considerazioni della VI Sezione del Consiglio di Stato contenute nelle sentenze nn. 2223 e 2224 del 21 aprile 2010. In tale occasione (v. in particolare la sentenza n. 2224), fu richiamato in via preliminare l’indirizzo della giurisprudenza in tema di informative prefettizie, di cui agli articoli 4 del d.lgs.8 agosto 1994, n. 490 e 10, comma 7, del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, circa l’equilibrio tra l’osservanza dei principi costituzionali della presunzione di innocenza e della libertà di iniziativa economica privata, da un lato, e la conduzione della più efficace azione di contrasto della criminalità organizzata, dall’altro.

Secondo tali indirizzi:

le informative si debbono fondare su elementi di fatto che, in quanto a carattere sintomatico ed indiziante, denotino oggettivamente il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, da valutarsi sulla base di un esame complessivo degli elementi raccolti (non essendo sufficiente la verifica di uno solo di essi) (Cons. Stato, IV, 15 novembre 2004, n. 7362; V, 27 maggio 2008, n. 2512);

è necessario un attendibile giudizio di possibilità secondo la nozione di pericolo (Cons. Stato, VI, 25 dicembre 2008, n. 5780; 11 settembre 2001, n. 4724), e non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato (Cons. Stato, V, 23 giugno 2008, n. 3090; VI, 12 novembre 2008, n. 5665; 17 marzo 2010, n.1559), con un accertamento, perciò, di grado inferiore e diverso da quello richiesto per I’individuazione di responsabilità penali (Cons. Stato, VI, l febbraio 2007, n. 413; IV, n. 7362 del 2004, cit.);

da ciò i limiti del sindacato giurisdizionale, esercitabile solo per manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel cui ambito è da riscontrare se la valutazione del prefetto sia sorretta da uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell”imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali(Cons. Stato, IV, 29 luglio 2008, n. 3273; VI, n. 1559 del 2010, cit.).

Ricorda poi la citata sentenza che, in base a diversi precedenti (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2008, n. 3155/08 e 11 settembre 2001, n. 4724) è sufficiente la motivazione per relationem.

Analoghe considerazioni si rinvengono nella sentenza n. 2223/2010.

E’ quindi necessario che venga valutata con attenzione la congruità degli elementi a sostegno dell’informativa prefettizia.

Ora, il provvedimento interdittivo risulta adottato "tenuto conto che dall’istruttoria di rito è emerso che C. G.(…) è stato gravato dal procedimento penale n. 37035/03 RGGP dal quale sono emersi indizi di permeabilità dell’azione imprenditoriale del C. ai voleri della criminalità organizzata".

Viene quindi riportata la frase, più volte ricordata, relativa alla qualificazione del C. come espressione "dell’imprenditore c.d. subordinato, che subisce l’intimidazione camorristica".

Anche il verbale del GIA del 22 settembre 2009 fa riferimento a quel procedimento penale. Così come ad esso si riferiva la precedente relazione della Direzione investigativa antimafia di Napoli, in data 4 agosto 2008.

Dalla ordinanza di custodia cautelare n.. 37219/R/02 R.G., non risulta che il C. fosse fra i destinatari dell’ordinanza stessa, come invece riportato a pag. 16 della memoria dell’Amministrazione. Egli pare risultare invece, come ricordato dal Tribunale amministrativo e da questa Sezione in sede cautelare, "parte lesa" di tentativi di intimidazione avvenuti nel 2002, in relazione ai quali fu sentito come persona informata dei fatti e quindi ritenuto parte lesa. La stessa Prefettura riconosce (v. pag. 4 della relazione in data 24 novembre 2009), che "l’esito del procedimento penale è poi risultato favorevole al C., in quanto riconosciuto parte lesa". Quest’ultimo dato emerge dalla richiesta di rinvio a giudizio, a conclusione dell’indagine penale, avanzata dalla Procura della Repubblica di Napoli nel febbraio 2007.

La nota interdittiva risulta quindi adottata in misura dominante sulla base del procedimento penale richiamato, dove il C. non risulta aver rivestito la qualità di indagato e nel corso del quale è emersa l’espressione "imprenditore subordinato" richiamata.

Il C. stesso risulta altresì, in base al provvedimento di rinvio a giudizio del febbraio 2007, parte offesa di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152. Egli non risulta mai sottoposto a indagine per il delitto di favoreggiamento di cui all’art. 378 Cod. pen..

3.1 Quanto ricordato non consente di ritenere presenti e sufficientemente motivati nel caso in esame (come insegnano le sentenze di questa Sezione nn. 2223 e 2224 del 2010) più elementi convergenti, idonei a fondare il giudizio di possibilità, ovvero di pericolo, dell’infiltrazione, necessario presupposto dell’interdittiva prefettizia.

D’altro canto, come ricordato dal Tribunale amministrativo e prospettato nella ricordata ordinanza di questa Sezione in data 19 maggio 2010, l’omessa denuncia dei propri estorsori da parte di un imprenditore (che può costituire ragione di esclusione dalle gare pubbliche) non implica di per sé, in mancanza di ulteriori e concludenti indizi, l’automatica applicazione delle misure interdittive.

Che il C. fosse stato ritenuto dal giudice penale parte lesa di una intimidazione nel 2002 risultava certamente alla Prefettura, che non ha tuttavia ritenuto utile menzionare nella propria interdittiva la non osservanza dell’eventuale obbligo di denuncia.

Per le ragioni sopra esposte, i ricorsi avanzati non possono pertanto trovare accoglimento.

3.2 Per quanto riguarda la richiesta risarcitoria, non si ritiene essa possa essere positivamente accolta in quanto appare carente – come ricordato dal giudice di primo grado – l’elemento di colpevolezza nel comportamento dell’autorità prefettizia; mentre l’attività dell’Amministrazione comunale risulta essere stata sostanzialmente vincolata in presenza di una informativa antimafia negativa.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione VI, respinge l’appello in epigrafe.

Compensa fra le parti le spese di giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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