Corte Costituzionale sentenza n. 291 SENTENZA 04 – 08 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 41 del 13-10-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 58-quater,
comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), promosso dal Tribunale di
sorveglianza di Genova con ordinanza del 25 novembre 2009, iscritta
al numero 128 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del 25
novembre 2009, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione – questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 58-quater, comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), nella parte in cui esclude
che la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale possa
essere disposta per piu’ di una volta in favore del condannato nei
cui confronti sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99,
quarto comma, del codice penale.
1.1. – Il giudice a quo e’ chiamato a valutare la posizione di
persona detenuta in espiazione della pena di un anno e otto mesi di
reclusione, inflittagli per un delitto di tentato furto commesso il 7
aprile 2009, cioe’ nello stesso giorno di decorrenza della pena in
corso di esecuzione. In precedenza, ed in particolare nel periodo
compreso tra il 2000 ed il 2006, l’interessato aveva gia’ subito
condanne per i delitti di furto, di violazione delle norme
concernenti le misure di prevenzione, di ricettazione e di evasione.
Nel 2006 era stata applicata in suo favore, con esito positivo, la
misura dell’affidamento in prova al servizio sociale. Si precisa dal
rimettente, con riferimento alla pena attualmente eseguita, che «in
sentenza e’ stata applicata la recidiva reiterata ex art. 99, quarto
comma, cod. pen.».
Secondo il Tribunale sussisterebbero le condizioni per una nuova
misura di affidamento in prova, anche in considerazione delle
caratteristiche personali del reo, segnato da deficit intellettivo e
deprivato culturalmente, per tali ragioni male inserito nell’ambiente
carcerario, ed invece ben contenuto, di norma, nell’ambiente
familiare e sociale della piccola comunita’ di provenienza.
Tuttavia – prosegue il rimettente – nessuna delle misure
alternative alla carcerazione e’ applicabile nel caso concreto. Un
nuovo affidamento in prova al servizio sociale e’ precluso dalla
norma oggetto di censura. L’intervenuta applicazione della
circostanza concernente la recidiva reiterata comporta anche – in
base al testo novellato dell’art. 47-ter, comma 1-bis, della legge n.
354 del 1975 – che non possa essere disposta in favore del condannato
la misura della detenzione domiciliare. Sempre in ragione della
recidiva, infine, mancano le condizioni per l’accesso alla
semiliberta’, posto che il nuovo art. 50-bis dell’ordinamento
penitenziario esige, nei casi in questione, la preventiva espiazione
della pena nella misura di due terzi. Il Tribunale osserva d’altra
parte, a tale ultimo proposito, che le esigenze rieducative poste dal
caso di specie sarebbero meglio assicurate tramite una misura fondata
sulla sorveglianza, piuttosto che su prestazioni a carattere
socio-assistenziale.
1.2. – Il rimettente evoca anzitutto, a sostegno della questione
sollevata, la giurisprudenza costituzionale secondo la quale, nella
disciplina della pena, l’attuazione della finalita’ rieducativa puo’
concorrere con esigenze diverse, a cominciare dalla difesa sociale, a
condizione che tali ultime esigenze siano assicurate con il minimo
possibile sacrificio dell’opera di rieducazione, e che nessuna tra le
funzioni in concorso resti di fatto obliterata (e’ citata la sentenza
n. 78 del 2007).
L’accesso alle misure alternative, nel concorso delle condizioni
per ciascuna previste, costituisce secondo il Tribunale una modalita’
essenziale di attuazione del finalismo rieducativo della pena.
Tuttavia, per i recidivi reiterati, sarebbe stato introdotto uno
sbarramento quasi impenetrabile, non essendo ammissibile la
detenzione domiciliare, ne’ «comune» (art. 47-ter, comma 1-bis, ord.
pen.) ne’ «speciale» per gli ultrasettantenni (art. 47-ter, comma 01,
ord. pen.), ed essendo necessaria l’espiazione d’una rilevante
porzione della pena a fini di conseguimento della semiliberta’ (art.
50-bis ord. pen.).
Proprio per l’affidamento in prova, cioe’ per la misura piu’
favorevole al detenuto, il legislatore della riforma non ha
introdotto una preclusione diretta. Di questa scelta la Corte
costituzionale avrebbe individuato la ratio con la sentenza n. 38
(recte: n. 338) del 2008: l’applicazione della misura consegue ad un
giudizio di piena affidabilita’ dell’interessato, e non avrebbe
quindi senso una preclusione fondata sulla recidiva, che invece
sarebbe ragionevole riguardo a misure per l’accesso alle quali e’
richiesto un sindacato meno significativo. La stessa logica del resto
– prosegue il rimettente – aveva parzialmente escluso l’affidamento
in prova dalla precedente riforma di segno restrittivo, fondata sul
titolo del reato commesso dal condannato, ove la detenzione
domiciliare era stata preclusa con riguardo ai delitti indicati
all’art. 4-bis ord. pen. (comma 1-bis dell’art. 47-ter ord. pen.), e
forti limiti erano stati introdotti per la semiliberta’ (art. 50,
comma 2, ord. pen.); nel caso dell’affidamento in prova, invece, la
preclusione aveva riguardato i soli delitti «di prima fascia»
dell’art. 4-bis, con l’ulteriore esclusione dei soggetti
collaboratori di giustizia o condannati in situazione di obiettiva
inesigibilita’ della collaborazione.
1.3. – Una siffatta logica del sistema sarebbe contraddetta,
secondo il rimettente, dalla norma censurata, che introduce una
preclusione assoluta, e dunque determina, a suo avviso, una
violazione del principio di ragionevolezza e del principio
costituzionale di necessaria finalizzazione rieducativa della pena.
Sarebbe irragionevole, in particolare, il valore preclusivo
assegnato ad una condizione, quella di recidivo, che non e’
necessariamente sintomatica sul piano della pericolosita’ attuale. Il
fenomeno sarebbe evidente nel caso di condanne sopravvenute, per
fatti antecedenti, ad una prima positiva sperimentazione
dell’affidamento in prova: durante la relativa esecuzione,
l’interessato non potrebbe giovarsi nuovamente della misura, pur
essendo il fatto antecedente ad una sua accertata risocializzazione
(unica eccezione, fondata per altro su sequenze del tutto casuali,
sarebbe data dall’innesto della nuova esecuzione nell’attualita’
della prima misura di affidamento, la quale potrebbe essere estesa al
nuovo titolo). Inoltre – prosegue il Tribunale – anche nel caso di
reati commessi dopo una prima sperimentazione della misura
alternativa potrebbe mancare, nella fattispecie concreta, una
pericolosita’ sociale tale da giustificare il divieto di nuova
concessione del beneficio.
Proprio la preclusione in ordine a qualsiasi valutazione concreta
della pericolosita’ sociale del condannato e della possibilita’ di un
suo proficuo reinserimento nel tessuto sociale, secondo il
rimettente, pone la norma censurata in diretto contrasto con il terzo
comma dell’art. 27 Cost., privando l’esecuzione di strumenti
imprescindibili in una prospettiva di rieducazione del reo.
Il vulnus denunciato non potrebbe essere escluso attraverso la
sperimentazione di soluzioni interpretative «adeguatrici», essendo
chiaro ed evidente, in base alla lettera della legge, il regime di
preclusione generalizzata introdotto sul solo presupposto della
condizione di recidivo reiterato in capo al condannato.
1.4. – La questione, oltre che non manifestamente infondata,
sarebbe rilevante: secondo il Tribunale, infatti, nel caso di specie
sussisterebbero sia le condizioni di fatto per l’affidamento in prova
dell’interessato, sia gli ulteriori presupposti per l’adozione della
misura, la quale dunque risulterebbe preclusa solo in ragione della
norma censurata.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto nel
giudizio mediante atto depositato in data 1° giugno 2010, chiedendo
che sia dichiarata la «manifesta inammissibilita’ e infondatezza»
della questione sollevata.
La denunciata inammissibilita’ deriverebbe dalla carente
descrizione della fattispecie concreta, avuto riguardo a circostanze
che potrebbero rendere inapplicabile, nel caso di specie, la
disposizione censurata.
L’Avvocatura generale richiama, a tale proposito, la
giurisprudenza secondo cui la recidiva potrebbe considerarsi
«applicata» nel giudizio di cognizione, con l’effetto di inibire
l’accesso all’affidamento in prova, solo quando abbia prodotto un
concreto effetto nella determinazione della pena, di talche’ la
preclusione non varrebbe nei casi di dichiarata prevalenza, in sede
di bilanciamento, delle circostanze di segno opposto (sono citate le
sentenze della Corte di cassazione n. 33634 e n. 33923 del 2006). Il
difetto di indicazioni sul punto, da parte del rimettente, sarebbe
d’ostacolo al sindacato preliminare della Corte circa la rilevanza
della questione sollevata.
Sul piano della non manifesta infondatezza, si osserva in primo
luogo che la rieducazione del condannato non e’ l’unica finalita’
della pena, la quale deve pure assicurare la prevenzione speciale e
generale e la difesa sociale (sono citate le sentenze della Corte
costituzionale n. 107 del 1980 e n. 264 del 1974). Spetta alla
discrezionalita’ legislativa la determinazione del punto di
equilibrio tra le varie esigenze assicurate mediante il trattamento
sanzionatorio, purche’ nessuna di tali esigenze resti del tutto
obliterata (sono citate le ulteriori sentenze n. 78 del 2007, n. 257
del 2006 e n. 306 del 1993).
La norma censurata – secondo la difesa dello Stato – sarebbe
pienamente compatibile con il principio indicato, affiancando
l’esigenza della difesa sociale, particolarmente significativa nel
caso di delinquenti recidivi, a quella della rieducazione del
condannato. In effetti, la sola condizione di recidiva non e’ mai
sufficiente a precludere l’affidamento in prova, neppure nei casi
piu’ gravi di recidiva reiterata. L’effetto preclusivo si connette
unicamente, e per il solo recidivo reiterato, ad una pregressa
concessione del medesimo beneficio. In questi casi, ragionevolmente,
sarebbe fatta applicazione di un criterio di «prognosi postuma»,
escludendo che il condannato possa utilmente prestarsi a tentativi
ulteriori di risocializzazione. Andrebbe considerato, d’altra parte,
come la Corte costituzionale abbia sempre misurato la finalizzazione
rieducativa della pena in base al trattamento penitenziario che ne
concreta l’esecuzione, e che varia da caso a caso, con efficacia che
«sfugge, comunque, al sindacato di legittimita’ della Corte» medesima
(sono citate le sentenze n. 1023 del 1988, n. 237 del 1984 e n. 137
del 1983).
Il valore sintomatico della recidiva varrebbe anche, secondo
l’Avvocatura generale, ad escludere la denunciata violazione del
principio di ragionevolezza. Dopo un richiamo alla giurisprudenza
costituzionale che riserva alla discrezionalita’ legislativa, con il
solo limite della palese irrazionalita’, le scelte in merito al
trattamento sanzionatorio, si afferma che proprio il fallimento
sperimentato di precedenti esperienze rieducative consentirebbe di
istituire un trattamento diversificato per i recidivi reiterati,
specie nei casi in cui il reato e’ commesso dopo l’esaurimento della
prima misura di affidamento in prova (situazione che, probabilmente,
ricorre anche nella fattispecie concreta).

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del 25
novembre 2009, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione – questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 58-quater, comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), nella parte in cui esclude
che la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale possa
essere disposta per piu’ di una volta in favore del condannato nei
cui confronti sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99,
quarto comma, del codice penale.
La disposizione censurata e’ stata introdotta, nel corpo
dell’art. 58-quater dell’ordinamento penitenziario, dall’art. 7,
comma 7, della legge 7 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione).
2. – Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di
inammissibilita’, proposta dall’Avvocatura dello Stato, per asserita
carente descrizione della fattispecie, che non consentirebbe il
controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio principale.
Sostiene la difesa dello Stato che la recidiva potrebbe
considerarsi «applicata» nel giudizio di cognizione – con la
conseguenza di inibire l’accesso all’affidamento in prova – solo
quando abbia prodotto un concreto effetto sulla quantificazione della
pena. La preclusione non varrebbe quindi nei casi di dichiarata
prevalenza, in sede di bilanciamento, delle circostanze attenuanti in
eventuale concorso con la recidiva, ed in tal senso viene citato un
conforme orientamento della giurisprudenza di legittimita’. Il
difetto di indicazioni sul punto, da parte del rimettente, sarebbe
pertanto di ostacolo al sindacato preliminare di questa Corte sulla
rilevanza della questione.
Occorre precisare che la giurisprudenza evocata dall’Avvocatura
dello Stato risale in prevalenza ai primi mesi di applicazione della
legge n. 251 del 2005, quando erano poste in esecuzione sentenze
deliberate prima dell’entrata in vigore del quarto comma del
novellato art. 69 cod. pen., che inibisce la dichiarazione di
subvalenza della recidiva rispetto alle circostanze attenuanti.
Richiedere al rimettente una esplicita esclusione di tale
eventualita’, con riguardo ad una sentenza pronunciata nel 2009,
significherebbe sollecitarlo a specificare se il giudice della
cognizione non abbia per caso violato la legge, in assenza di
elementi che possano far sorgere un simile dubbio.
Non era necessario neppure che il giudice a quo chiarisse se, nel
caso di specie, vi fosse stato un effettivo aumento della pena,
giacche’ l’aggravante deve ritenersi applicata anche quando sia stata
considerata equivalente rispetto alle attenuanti. Il giudizio di
equivalenza implica infatti che un’aggravante spieghi pur sempre un
effetto concreto, che e’ quello di paralizzare un’attenuante,
impedendo che quest’ultima determini una diminuzione della pena
(Cassazione, Sez. Un., sentenza 18 giugno 1991, n. 17).
Sulla base delle precedenti considerazioni, si deve concludere
che l’affermazione del rimettente, secondo cui «e’ stata applicata la
recidiva reiterata ex art. 99, comma 4, c.p.», e’ sufficiente a far
ritenere plausibile la prospettata rilevanza della questione nel
giudizio principale.
3. – Le questioni sono tuttavia inammissibili per altri motivi.
3.1. – Il giudice a quo non ha approfondito, nella misura
necessaria, la possibilita’ che della disposizione censurata venga
data una interpretazione conforme ai precetti costituzionali.
E’ necessario innanzitutto rilevare che non esiste, nella
fattispecie, un orientamento giurisprudenziale consolidato, in senso
«adeguatore», cosi’ come nella questione risolta con la sentenza di
questa Corte n. 189 del 2010, concernente la disciplina dell’accesso
ai benefici penitenziari da parte di coloro che siano stati
condannati per evasione. Cio’ non esime questa Corte dal dovere di
verificare se esista una possibilita’ di dare della disposizione
censurata una lettura tale da escludere i vizi di legittimita’
denunciati.
3.2. – Anche nel presente giudizio si deve partire dal costante
orientamento di questa Corte, che esclude, nella materia dei benefici
penitenziari, rigidi automatismi e richiede invece che vi sia sempre
una valutazione individualizzata, cosi’ da collegare la concessione o
non del beneficio ad una prognosi ragionevole sulla sua utilita’ a
far procedere il condannato sulla via dell’emenda e del reinserimento
sociale (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2010, n. 255 del 2006, n.
436 del 1999).
Occorre inoltre ricordare la giurisprudenza secondo cui «[…] le
presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale
della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono
arbitrarie e irrazionali, cioe’ se non rispondono a dati di
esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod
plerumque accidit» (sentenza n. 265 del 2010). Piu’ specificamente,
«l’irragionevolezza della presunzione assoluta si puo’ cogliere tutte
le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(sentenza n. 139 del 2010, in conformita’ alla sentenza n. 41 del
1999). Proprio con riferimento alla presunzione di pericolosita’,
questa Corte ha avuto modo di affermare che la stessa non deve essere
totalmente esclusa dall’ordinamento, ma e’ costituzionalmente
incompatibile se «non abbia fondamento nell’id quod plerumque
accidit» (sentenza n. 139 del 1982).
4. – Muovendo da tali premesse generali, questa Corte osserva che
il giudice rimettente non ha preso in considerazione la possibilita’
di dare alla disposizione censurata un’interpretazione restrittiva,
nel senso che l’esclusione dal beneficio operi in modo assoluto solo
quando il reato espressivo della recidiva reiterata sia stato
commesso dopo la sperimentazione della misura alternativa, avvenuta
in sede di esecuzione di una pena, a sua volta irrogata con
applicazione della medesima aggravante. Una conforme indicazione
ermeneutica, per quanto in particolare concerne la pertinenza del
divieto ad una seconda sperimentazione del beneficio nella specifica
condizione di recidivo reiterato, proviene dai lavori parlamentari
propedeutici all’approvazione della legge di riforma.
L’interpretazione prospettata farebbe venir meno il rischio di
una irragionevole preclusione in danno del soggetto che, pur essendo
stato condannato con applicazione della predetta aggravante, si trovi
nelle condizioni di poter essere valutato dal giudice come meritevole
della sperimentazione di un percorso rieducativo, che non puo’
ritenersi escluso a priori, per effetto di una astratta previsione
normativa.
Diversa e’ peraltro l’ipotesi in cui lo stesso condannato, dopo
aver fruito di un primo affidamento in prova, concesso quando gia’
era stato dichiarato recidivo reiterato, commetta un nuovo delitto
(almeno il quarto), per il quale il giudice della cognizione, nel
caso piu’ ricorrente della recidiva cosiddetta facoltativa, ritenga i
precedenti del reo concretamente significativi in punto di gravita’
del reato. In casi del genere non e’ agevole prevedere che un nuovo
beneficio dello stesso tipo possa sortire effetti diversi da quello
precedente, mentre e’ agevole prefigurare il contrario, con la
conseguenza che la scelta del legislatore di esigere l’espiazione
della pena, senza possibilita’ di accesso alle misure specificamente
escluse dalla norma censurata, non puo’ essere ritenuta
manifestamente irragionevole o arbitraria.
Le funzioni di tutela della sicurezza pubblica e di prevenzione
dei reati, proprie della pena unitamente alla finalita’ rieducativa,
sarebbero fortemente compromesse se si continuasse a far leva
esclusivamente su una misura alternativa alla detenzione in carcere,
che, nel concreto, ha dimostrato la sua inefficacia rispetto al fine
di impedire la commissione di nuovi delitti non colposi. Peraltro, il
vigente ordinamento penitenziario prevede altri strumenti, diversi
dall’affidamento in prova, che possono essere utilmente sperimentati
per un percorso rieducativo di emenda, sia intra che extra moenia.
5. – In definitiva, e secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte (ex multis, e da ultimo, ordinanza n. 5 del 2010),
l’omessa ricerca di una interpretazione adeguatrice da parte del
rimettente e’ causa di inammissibilita’ della questione sollevata.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’inammissibilita’ delle questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 58-quater, comma 7-bis, della legge 26
luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’),
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Genova, con
l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Silvestri

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria l’8 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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