Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-10-2011, n. 21636

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del ricorso.
Svolgimento del processo

Il Rag. G.L. propone ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Milano ha dichiarato inammissibile la ricusazione da lui stesso proposta, in relazione ad affermazioni effettuate in udienza dal giudice nell’ambito di un procedimento intrapreso dal fallimento della Brianza Montaggi S.r.l., allo scopo di ottenere la restituzione di quanto attribuito al predetto G. all’esito di un procedimento esecutivo dallo stesso azionato nei confronti della curatela.

In tale ordinanza si afferma che, ancorchè i fatti, consistenti in apprezzamenti effettuati dal giudice, che avrebbe manifestato stupore in relazione al provvedimento di assegnazione delle somme emesso dal giudice dell’esecuzione), risultino provati, non ricorre alcune delle ipotesi tassative previste dall’art. 52 cod. proc. civ..

Il ricorrente, premesso di ritenere che avverso il provvedimento in esame possa proporsi ricorso straordinario per cassazione, e sollevando, in subordine, questione di legittimità costituzionale, con unico motivo denuncia violazione degli artt. 51 e 52 c.p.c., sostenendo che anche in relazione a ragioni che incidono sull’imparzialità del giudice dovrebbe essere prevista, nell’ambito di una lettura costituzionale della norma, l’astensione obbligatoria, con conseguente estensione a tale ipotesi della ricusabilità del giudice stesso.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

In primo luogo, va richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’ordinanza resa sull’istanza di ricusazione, a norma dell’art. 53 c.p.c., non è impugnabile neppure con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poichè è un provvedimento per sua natura privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo, che non incide sull’organo-giudice o sui suoi criteri di costituzione, essendo diretto esclusivamente, in via ordinatoria e strumentale, e in esito a un procedimento di tipo sostanzialmente amministrativo, ad assicurare il soddisfacimento di interessi di ordine generale e il corretto esercizio dell’attività giudiziaria da parte del giudice-persona. Poichè tale provvedimento confluisce nella sentenza che definisce il giudizio in cui è stato emesso, l’eventuale vizio causato dalla non riconosciuta incompatibilità del giudice ricusato si converte in motivo di nullità della sentenza stessa, ragion per cui la tutela in sede giurisdizionale è garantita dal gravame contro quest’ultima (Cass., 4 settembre 2009, n. 19209; Cass. 12 luglio 2006, n. 15780; Cass., S.U., 20 novembre 2003, n. 17636; Cass. 28 giugno 2002, n. 9503;

Cass. 28 marzo 2002, n. 4486; Cass. 10 gennaio 2000, n. 155).

Considerata l’organica diversità della disciplina dell’istituto in esame nel procedimento civile e in quello penale, vale bene richiamare, quanto alla proposta questione di legittimità costituzionale, il giudizio di manifesta infondatezza già espresso da questa Corte in relazione alla possibilità di far comunque valere il vizio in esame, mediante l’indicata conversione in motivo di nullità, attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione (Cfr. Cass., 22 febbraio 1993, n. 2176).

Del resto, detta questione appare anche priva di rilevanza nel presente giudizio, dal momento che l’unico motivo formulato nei confronti del provvedimento impugnato, con il quale viene dedotta, come già indicato, violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 cod. proc. civ., appare all’evidenza inammissibile. Infatti, riguardando un provvedimento emesso nell’aprile del 2006, il ricorso non rispetta le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

La declaratoria di inammissibilità non comporta alcune statuizione in relazione al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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