Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 13-06-2011, n. 23689

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 28.10.2010 il Tribunale di Milano in veste di giudice del riesame, rigettava il ricorso di P.D., destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere, per il reato di cui all’art. 575 c.p., commesso il 6.6.2010, ai danni di B.R., colpita con un ferro da stiro e con un coltello, all’interno della sua abitazione. Secondo il Tribunale, il quadro indiziario era connotato da gravità, in quanto muoveva dal dato della sicura presenza dell’imputato sul luogo del delitto (in ragione della rilevazione di impronta papillare dell’imputato sul lato interno della porta d’ingresso dell’appartamento della vittima), presenza ammessa dallo stesso interessato, ancorchè alternativamente spiegata. L’imputato era amico del figlio adottivo della vittima A.A. ed era suo fornitore di sostanza stupefacente.

Lo stesso P. aveva ammesso che la B. aveva minacciato di denunciarlo, con il che assumeva di essersi recato dalla donna per comunicarle che non avrebbe più venduto hashish al figlio e di averla trovata in una pozza di sangue. Gli investigatori accertavano che l’unico cassetto che era stato aperto dall’omicida era quello in cui il giovane A. era solito deporre lo stupefacente e che era noto come luogo di custodia della sostanza, anche al P..

Veniva ritenuta non plausibile la versione dell’imputato, poichè non si spiegava ragionevolmente perchè mai avesse dovuto andare a confermare alla vittima la sua volontà di desistere dal rifornire di stupefacente l’ A., tra l’altro forzando la serratura per entrare, visto che a suo dire non gli venne aperto; veniva poi ritenuta non accettabile la tesi che egli si sarebbe trovato sul luogo del delitto ad omicidio concluso, mentre veniva ritenuto di peso il movente che avrebbe spinto l’imputato ad uccidere. In conclusione, il tribunale riteneva che il quadro indiziario, seppure ancora incompleto, andava ritenuto dotato di più che qualificata probabilità di colpevolezza.

Per quanto riguarda il profilo cautelare, il tribunale assumeva che le modalità del fatto particolarmente allarmanti, la circostanza che l’imputato operasse nel mondo del commercio dello stupefacente, la sua indole proclive alla violenza e incapace all’autocontrollo, confermavano la sussistenza di esigenze di prevenzione sociale, poichè proprio l’assenza di capacità a contenersi portava ad escludere l’adeguatezza di altre misure di minore rigore.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa per dedurre:

2.1. carenza ed illogicità della motivazione, in relazione al periculum cautelare di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c): il tribunale avrebbe ravvisato il profilo cautelare, legando la sussistenza di un pericolo di reiterazione ad una suggestiva ricostruzione dell’episodio, più che ad una fredda e distaccata analisi degli elementi di indagine, sia positivi che negativi. La ricostruzione sarebbe carente perchè trascura di affrontare il problema dell’assenza di impronte, non solo sull’arma del delitto, ma anche sui mobili e sul cassetto della scrivania. Lacuna questa che inficerebbe l’impianto logico motivazionale.

2.2 illegittimità della presunzione di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione all’art. 575 cod. pen.: viene contestato il contenuto dell’art. 275 c.p.p., comma 3 nella parte in cui introduce una presunzione di pericolosità sociale in relazione al titolo di reato, fronteggiabile solo con il carcere, senza fare salva l’ipotesi che possano essere acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, da cui risulti che le esigenze possono essere soddisfatte con altre misure. Sul punto viene quindi chiesto che si sollevi la questione di legittimità costituzionale della norma.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

Lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi degli elementi indiziari e sulla loro coordinazione (impronta papillare sulla porta interna dell’appartamento locus commissi delicti, rapporti tra il P. e il figlio della vittima, volontà manifestata dalla vittima di denunciare il P. come spacciatore di droga), in un quadro interpretativo alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che detti elementi sono stati ritenuti conducenti con elevato grado di probabilità alla persona del P., quale autore dell’omicidio in danno di B.R..

La doglianza sull’intervenuto provvedimento di fermo – in assenza di pericolo di fuga -, seguito alla caducazione di una prima misura cautelare non è avanzabile, in quanto come ha già osservato il tribunale, il fermo è atto che ha una sua autonomia rispetto all’ordinanza custodiale.

Quanto al quadro cautelare che ha giustificato la misura privativa della libertà personale, va detto che il tribunale ha messo in evidenza la gravità del reato, denotante la furia selvaggia con cui la donna fu aggredita: è stato sottolineato che la stessa fu colpita con due coltellate alla gola ed otto ferite alla testa, che le vennero inferte escoriazioni in varie parti del corpo, che le fu fratturato l’indice della mano destra e le vennero staccate una falange del dito medio e la parte superiore dell’orecchio destro. I segni obiettivi lasciati sul suo corpo portavano a connotare l’autore dell’aggressione come un soggetto violento, privo di autocontrollo.

Il tutto aggravato dal fatto che lo stesso operava nell’illecito commercio dello stupefacente ed in ipotesi d’accusa si sarebbe determinato a massacrare la madre del suo cliente, pur di evitare di essere denunciato per traffico di stupefacente. Il quadro veniva ritenuto assolutamente deponente per la sussistenza di gravissime esigenze social preventive che a prescindere dai limiti imposti dall’art. 273 c.p.p., comma 3 (medio tempore dichiarati non conformi ai precetti costituzionali), portava a ritenere come unica misura adeguata quella più rigorosa, attesa la probabilità di reiterazione di condotte delittuose, anche in ragione della mancanza di autocontrollo manifestata, correlata al consumo di cocaina. La valutazione operata si profila assolutamente rigorosa, aderente ai dati di fatto e rispettosa del dato normativo.

Si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

La cancelleria dovrà trasmettere copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000, 00 alla cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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