Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 13-06-2011, n. 23687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza 21.9.2010 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo disposto a carico di C.G., su beni immobili.

Nell’ambito di una vasta indagine sul clan camorristico dei casalesi ed i suoi rapporti con l’amministrazione pubblica, gli investigatori avevano focalizzato la società Ecocampania srl, riconducibile ai fratelli L. e F.N., che aveva assunto un ruolo primario nell’aggiudicazione degli appalti per i servizi connessi allo smaltimento dei rifiuti nella provincia casertana e che si era accertato aver posto in atto una fittizia intestazione delle quote della società medesima, onde eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale e di sequestro preventivo. In particolare, erano state intercettate conversazioni tra F. N. e C.G. che confermavano il ruolo della C. nella attività diretta alla dissimulazione dell’assetto proprietario ed alla schermatura del nome del F. nelle varie compagini societarie a lui riconducibili. Venivano poi sottolineate la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito della stessa, nonchè la mancata giustificazione della provenienza lecita dei beni immobili oggetto del sequestro: in particolare quanto all’immobile acquistato nel 1999, non veniva ritenuta probante la scrittura privata prodotta, priva di data certa, attestante la provenienza del denaro usato per l’acquisto; quanto alle acquisizioni del 2005 e 2006, i mutui risultavano contratti un anno prima della stipula dei contratti traslativi e non furono erogati con la causale dell’acquisto immobiliare, che avrebbe garantito il concedente con la iscrizione di ipoteca immobiliare. Quanto all’acquisto del 2006, il finanziamento risultava erogato a distanza di due mesi rispetto alla stipula del contratto di vendita in cui le parti dichiaravano che il prezzo era stato interamente versato. Veniva quindi ritenuto legittimo il vincolo imposto, finalizzato alla confisca obbligatoria, sul presupposto che detti beni, intestati a C., fossero di fatto da ricondurre a F.N..

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa della C., per dedurre violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 321 cod. proc. pen. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies. Viene rilevato che sarebbe stato sottovalutato che la ricorrente ha sempre avuto un’alta redditività, che sarebbe stato svalutato ingiustificatamente il valore dei mutui per gli acquisti del 2005 e del 2006, nonchè la scrittura da cui risultava la provvista per l’acquisto operato nel 1999. Viene rilevato che deve esistere un collegamento pertinenziale tra il reato ed i beni, di cui il tribunale avrebbe dovuto dare contezza. L’anteriorità dei due mutui rispetto all’acquisto dimostra in modo inconfutabile che la provvista per l’acquisto era sussistente ed era compatibile con le disponibilità economiche della ricorrente ; il tribunale non avrebbe fatto altro che recepire un sospetto acriticamente. Inoltre, poichè la C. non fu mai intestataria di quote della Ecocampania srl., il tribunale avrebbe dovuto spiegare quale fosse il collegamento tra l’operazione in contestazione ed i beni alla stessa sequestrati, laddove si rendeva necessario individuare una concreta relazione. La gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’art. 12 quinquies sarebbe stata ancorata solo alle conversazioni intercettate, che peraltro evidenzierebbero una generica partecipazione ad attività di cessione di quote a terzi, non necessariamente con finalità elusive.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. Il motivo sviluppato è sostanzialmente generico, in quanto ripete deduzioni già svolte, senza considerare le risposte che a queste deduzioni sono state offerte con l’ordinanza impugnata.

Il Tribunale ha infatti fornito ampia motivazione, trascrivendo passaggi di conversazioni telefoniche intercorse tra la C. e F.N., chiaramente indicativi della attività diretta ad operare l’intestazione fittizia delle quote di Ecocampania srl, al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale e di sequestro preventivo posta in essere, operazione voluta dal F., ma alla cui realizzazione la C. offrì un rilevante contributo causale, come dimostrato dal contenuto inequivoco dei colloqui captati a distanza. Il tribunale ha anche indicato le ragioni per le quali non potevano essere accettate le spiegazioni alternative offerte dalla ricorrente a giustificazione della provenienza dei beni immobili di cui risultava intestataria, sulla base di valutazioni assolutamente pertinenti, corrette e dotate di ragionevolezza, nonchè aderenti ai dati oggettivi raccolti nelle schede patrimoniali dell’indagata. In particolare è stato ritenuto che non fossero puntuali le spiegazioni offerte dalla ricorrente sulla disponibilità di possidenze personali per l’acquisto degli immobili cui si ha riguardo, in quanto la scrittura privata prodotta non aveva data certa ed in quanto i contratti di mutuo indicati quali strumenti di finanziamento per l’acquisto degli immobili furono stipulati o un anno prima dei contratti traslativi, senza che risultassero erogati con la speciale causale dell’acquisto immobiliare, ovvero furono stipulati dopo l’atto di acquisto, ancorchè nell’atto risultasse interamente pagato il prezzo di acquisto. Incongruenze queste che non potevano essere trascurate. E’ stato correttamente ritenuto che il dato raccolto in sede di ascolto a distanza si legava perfettamente con il dato obiettivo risultante dai pubblici registri immobiliari, dato incompatibile con la redditività della C., che è stato ritenuto – senza alcuna forzatura – solida base inferenziale per ipotizzare l’interposizione.

Nessuna violazione del dato normativo è quindi apprezzabile nell’ordinanza impugnata, che non sconta neppure alcun deficit sotto il profilo dell’obbligo motivazionale.

Si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa della ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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