Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 13-06-2011, n. 23684

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 25.2.2010, depositata il 21.5.2010, la Corte di cassazione, sez. quinta, rigettava il ricorso che aveva presentato la difesa di C.A.M., avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce, che aveva confermato la di lei condanna per il reato di cui all’art. 591 c.p., pronunciata dal Tribunale di Taranto.

In sostanza la corte di legittimità aveva ritenuto corretta la riportabilità della condotta tenuta dalla C. – quale ausiliaria presso un centro di riabilitazione di Laterza, in cui erano ricoverati soggetti portatori di handicap, ai quali nella notte del 1.5.1996, erano state asportate le unghie di mani e di piedi – in termini di abbandono doloso di persone incapaci. Veniva sottolineato che le vittime furono aggredite perchè lasciate prive della doverosa vigilanza, vigilanza che si imponeva perchè episodi di analoga gravità si erano verificati in precedenza. Inoltre veniva sottolineato che la cruenta operazione, che era stata attuata a danno di persone indifese, aveva richiesto tempo ed aveva sicuramente provocato reazioni nelle povere vittime, non insensibili al dolore, reazioni che non vennero minimamente colte da chi era preposto al controllo, il che segnava i tratti del più eclatante abbandono.

Quanto all’elemento psicologico, la corte riteneva che dal compendio motivazionale emergeva corretta l’imputazione a titolo di dolo e non di colpa, stante la compiuta consapevolezza del lasciare in stato di pericolo gli sfortunati che già in precedenza erano stati esposti al rischio per la loro incolumità. 2. In data 27.12.2010 è stato depositato ricorso straordinario per Cassazione dalla difesa di C.A.M., che si duole che la corte sia incorsa in un errore di fatto, laddove sostenne che gli addetti alla vigilanza avrebbero dovuto avvertire gemiti, spasmi, sussulti da parte delle persone indifese, trascurando che dalla vasta indagine condotta era emerso che le tre vittime dell’inqualificabile condotta, erano portatori di handicap talmente gravi da non aver facoltà nè di muoversi, nè di emettere suoni. Ciò detto, secondo la difesa, si apprezzerebbe un errore di fatto in cui incorse la Cassazione, rilevabile ictu oculi, su un aspetto che non costituì punto controverso della res iudicanda, atteso che la ricostruzione delle condizioni fisiche delle vittime, non fu oggetto di impugnazione.

Viene poi sottolineato che l’errore ha avuto una sua ricaduta nello sviluppo della motivazione, poichè dal fatto che le vittime avrebbero potuto reagire con gemiti, spasmi e sussulti, è stato inferito che il personale ausiliario non versò in semplice disattenzione e negligenza nell’organizzazione del turno notturno, ma si rese responsabile di una deliberata violazione di doveri di custodia nei confronti dei degenti, con la vera e propria derelizione di questi ultimi.

La correzione dell’errato presupposto di fatto del ragionamento è destinato, ad opinione della difesa, a travolgere le conclusioni a cui è addivenuta la corte.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

Il dedotto errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di legittimità non trova alcun ancoraggio nelle risultanze processuali:

è bene ricordare che il dato che le povere vittime erano soggetti portatori di gravi handicap, incapaci di muoversi e di emettere qualsiasi suono non venne affatto trascurato, ma poichè era altrettanto certo che costoro non erano affatto insensibili al dolore, la atroce operazione di asportazione delle unghie di mani e di piedi, che coinvolgeva i centri nervosi di maggiore sensibilità, venne del tutto plausibilmente ritenuta non effettuabile nel più assordante silenzio, dovendo per forza di cose ritenersi eseguita in presenza di forme reattive indicate come "sussulti, gemiti o spasmi", inevitabilmente stimolati da una pratica impositiva di tanta sofferenza. Sussulti, gemiti e spasmi sono fenomeni diversi dal suono, la cui emissione era pacificamente inibita alle vittime. Da tale constatazione in assoluta aderenza ai dati di fatto, non è consentito cogliere alcun errore di percezione delle risultanze processuali, non essendo mai stato messo in discussione lo stato di privazione della voce delle vittime, indicate come "persone indifese, incapaci a reagire e persino di invocare aiuto, ma non per questo insensibili alla sofferenza fisica". Il non poter parlare non equivale a non potere rispondere al dolore, nelle forme più diverse, che silenziose non vennero ritenute, a cagione della carica di dolore inflitta.

Detto ciò va subito aggiunto che il riferimento ai "gemiti, sussulti o spasmi" è stato argomento puramente rafforzativo del pensiero della Corte, atteso che i giudici di legittimità misero in preliminare evidenza come fu la eclatante gravità di un fatto analogo in precedenza accaduto ad imporre il massimo di vigilanza, rendendo prevedibile quanto poi verificatosi, cosicchè lo stato di derelizione in cui le vittime furono lasciate "radicava negli imputati la consapevolezza che la violazione dei doveri di vigilanza e di custodia avrebbe certamente esposto gli assistiti al rischio per la loro incolumità".

L’argomento rafforzativo usato dalla corte di cassazione, oltre a non poggiare su dati di fatto errati, non riveste nell’economia della motivazione la portata decisiva che la difesa ha inteso attribuirgli, non avendo avuto alcuna influenza nel percorso motivazionale.

Non ricorrono i presupposti per l’ammissione del ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen.. Alla declaratoria di inammissibilità, riconducibile a colpa della ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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