Corte Costituzionale sentenza n. 287 SENTENZA 04 – 08 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 41 del 13-10-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 5, comma 2,
lettera d), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da
reato e dei relativi carichi pendenti), promosso dal Tribunale di
Gela con ordinanza dell’11 dicembre 2009, iscritta al n. 108 del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza dell’11 dicembre 2009, il Tribunale di Gela,
in composizione monocratica ed in funzione di giudice
dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 5,
comma 2, lettera d), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte in
cui non consente di eliminare dal casellario giudiziale – «in ogni
caso e, comunque, nei confronti di coloro i quali abbiano ottenuto la
riabilitazione» − le iscrizioni che si riferiscono ai provvedimenti
giudiziari di condanna per contravvenzioni per le quali sia stata
inflitta la pena dell’ammenda, trascorsi dieci anni dal giorno in cui
la pena e’ stata eseguita ovvero si e’ in altro modo estinta, qualora
con detti provvedimenti sia stato concesso alcuno dei benefici
previsti dagli artt. 163 e 175 del codice penale.
La medesima norma e’ inoltre oggetto di censura, relativamente
alla sua applicazione nei confronti dei soggetti riabilitati, per
l’asserito contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost.
1.1. – Il rimettente e’ chiamato a decidere sulla domanda di
eliminazione dal casellario giudiziale dell’iscrizione concernente la
sentenza definitiva, pronunciata dal Pretore di Gela il 20 maggio
1981, con la quale l’istante era stato riconosciuto colpevole della
contravvenzione prevista dall’art. 651 cod. pen. e condannato alla
pena di lire 6.000 di ammenda (corrispondenti a euro 3,10), con la
concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione. Lo stesso rimettente precisa altresi’ che in
riferimento a tale condanna – oggetto dell’unica annotazione apposta
nel certificato del casellario giudiziale – l’istante ha ottenuto la
riabilitazione con provvedimento emesso il 2 maggio 2008 dal
Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta.
1.2. – Tanto premesso in fatto, il giudice a quo richiama la
previsione contenuta nell’art. 40 del d.P.R. n. 313 del 2002, in tema
di competenza, la quale devolve le questioni concernenti le
iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale al tribunale del
luogo dove ha sede l’ufficio locale nel cui ambito territoriale e’
nata la persona cui e’ riferita l’iscrizione o il certificato, che
decide in composizione monocratica e nelle forme previste dall’art.
666 del codice di procedura penale.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il
rimettente osserva come la permanenza delle iscrizioni concernenti i
provvedimenti di condanna per contravvenzioni per le quali sia stata
inflitta la pena dell’ammenda, nei casi di concessione di alcuno dei
benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen., determini un
trattamento irragionevolmente deteriore dei soggetti ritenuti
meritevoli dei predetti benefici, rispetto a coloro i quali non
abbiano potuto «inizialmente» giovarsi degli stessi, in ragione della
ritenuta maggiore capacita’ a delinquere ovvero di altri elementi
considerati dall’autorita’ giurisdizionale procedente. Costoro
infatti, dopo aver ottenuto la cancellazione dei relativi
provvedimenti di condanna una volta decorso il termine decennale
previsto dalla norma censurata, possono ancora usufruire dei benefici
indicati in riferimento ad una eventuale, successiva condanna.
Ulteriore profilo di irragionevolezza del divieto di eliminazione
delle indicate iscrizioni si profilerebbe nei casi, come l’odierno,
in cui sia intervenuta la riabilitazione del condannato, con
conseguente estinzione di ogni effetto penale della condanna. In tali
situazioni, secondo il giudice a quo, «non e’ possibile tenere conto
ai fini della cancellazione dell’iscrizione dal casellario giudiziale
della sospensione condizionale dell’esecuzione e della non menzione
della condanna allora riconosciute, non essendo ravvisabili per le
contravvenzioni le deroghe alla piena esplicazione dei benefici
indicati dall’art. 178 cod. pen. previste per i delitti».
Il Tribunale prospetta infine, in relazione all’applicazione
della norma ai soggetti riabilitati, la violazione del principio
della necessaria finalita’ rieducativa della pena, per l’effetto
pregiudizievole che discende dalla permanenza dell’iscrizione delle
condanne, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimita’,
l’intervenuta riabilitazione non preclude la valutazione dei
«precedenti penali e giudiziali del riabilitato e, in genere, della
condotta di vita antecedente al reato, ai fini dell’accertamento
della capacita’ a delinquere» (e’ richiamata la sentenza n. 9116 del
1998 della Corte di cassazione).
2. – Con atto depositato l’11 maggio 2010, e’ intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
2.1. – In via preliminare, l’Avvocatura generale prospetta un
vizio di genericita’ della motivazione, sia con riguardo alla non
manifesta infondatezza della questione, sul rilievo che il rimettente
avrebbe omesso l’esame del quadro normativo al cui interno si colloca
la norma censurata, sia con riferimento alla rilevanza della
questione medesima, posto che lo stesso rimettente non avrebbe
chiarito se la predetta norma costituisca l’unico ostacolo
all’accoglimento dell’istanza di cancellazione.
In particolare, secondo la difesa dello Stato, il rimettente non
avrebbe approfondito il tema dei rapporti tra l’istituto della
riabilitazione ed i benefici previsti dagli artt. 163 e 175 cod.
pen., ne’ quello della natura della non menzione della condanna nel
casellario giudiziale, entrambi significativi ai fini del giudizio di
rilevanza dell’odierna questione. Se infatti, prosegue l’Avvocatura
generale, si accede all’opinione dottrinale secondo cui l’iscrizione
della condanna nel casellario giudiziale ha natura di pregiudizio in
senso lato – e non anche di effetto penale della condanna – la
riabilitazione non potrebbe esplicare alcuna influenza in proposito e
la questione odierna sarebbe priva di rilevanza. Ritenendo invece che
i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. abbiano natura di
effetti penali della condanna, come affermato di recente dalla
giurisprudenza di legittimita’ (e’ richiamata la sentenza n. 12451
del 2009 della Corte di cassazione), la questione risulterebbe
ugualmente priva di rilevanza, posto che nella specie non e’ ancora
decorso il termine di sette anni dalla intervenuta riabilitazione,
entro il quale, ai sensi dell’art. 180 cod. pen., questa e’ revocata
di diritto se l’interessato commette un delitto non colposo per il
quale sia irrogata la pena della reclusione non inferiore a due anni.
2.2. – Nel merito l’Avvocatura generale osserva come la norma
censurata, esaminata all’interno del quadro normativo di riferimento,
appaia tutt’altro che irragionevole.
L’art. 164 cod. pen. prevede infatti che il giudice possa
disporre la sospensione condizionale della pena non piu’ di una volta
(o due quando il cumulo delle condanne non superi i limiti di cui
all’art. 163 cod. pen.), la’ dove l’unico strumento dal quale il
giudice puo’ attingere informazioni in ordine alle precedenti
concessioni del beneficio e’ costituito dal certificato del
casellario giudiziale.
Se, dunque, si potesse procedere alla cancellazione delle
iscrizioni in via indiscriminata, un soggetto condannato piu’ volte
potrebbe ottenere un numero di sospensioni condizionali della pena
superiore a quello consentito dalla legge.
In questo senso sarebbe orientata la prevalente giurisprudenza di
legittimita’, che ha evidenziato come la concessione dei benefici di
cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. sia di ostacolo all’eliminazione
della iscrizione della condanna dal casellario giudiziale, sul
rilievo che tale iscrizione non abbia natura di effetto penale della
condanna, bensi’ di atto che assolve a finalita’ meramente
informative, con conseguente ininfluenza delle vicende estintive del
reato e degli effetti penali della condanna.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Gela, in composizione monocratica ed in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera d), del d.P.R. 14
novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi
pendenti), nella parte in cui non consente di eliminare dal
casellario giudiziale – «in ogni caso e, comunque, nei confronti di
coloro i quali abbiano ottenuto la riabilitazione» − le iscrizioni
che si riferiscono ai provvedimenti giudiziari di condanna per
contravvenzioni per le quali sia stata inflitta la pena dell’ammenda,
trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena e’ stata eseguita
ovvero si e’ in altro modo estinta, qualora con detti provvedimenti
sia stato concesso alcuno dei benefici previsti dagli artt. 163 e 175
del codice penale.
La medesima norma e’ inoltre oggetto di censura, relativamente
alla sua applicazione nei confronti dei soggetti riabilitati, per
l’asserito contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost.
2. – La questione e’ fondata.
2.1. – La norma censurata si pone come eccezione al trattamento
riservato dalla legge – in tema di permanenza delle iscrizioni nel
casellario giudiziale – ai provvedimenti di condanna alla pena
dell’ammenda per reati contravvenzionali, per i quali e’ possibile
l’eliminazione, «trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena e’
stata eseguita ovvero si e’ in altro modo estinta» (art. 5, comma 2,
lettera d) del d.P.R. n. 313 del 2002). La possibilita’ della
cancellazione e’ stata esclusa, sin dal codice di rito penale del
1930, per i provvedimenti con cui siano stati concessi i benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale.
La finalita’ della sottrazione delle due ipotesi di cui sopra
alla disciplina riguardante le condanne alla sola pena dell’ammenda
si deduce, per quanto riguarda la sospensione condizionale, dalla
regola, contenuta nel quarto comma dell’art. 164 cod. pen., che
escludeva, nella sua originaria formulazione, la concedibilita’ del
beneficio per piu’ di una volta. Per cio’ che concerne la non
menzione nel certificato del casellario giudiziale, spedito a
richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale (art.
175, primo comma, cod. pen.), la ratio dell’esclusione si rinviene
nel terzo comma del citato art. 175 cod. pen., che prevede la revoca
dell’ordine di non menzione, qualora il condannato commetta
successivamente un delitto.
Il legislatore ha ritenuto che fosse necessario mantenere sine
die l’iscrizione della condanna, allo scopo di evitare che il
beneficio della sospensione condizionale sia concesso per un numero
di volte eccedente i limiti posti dalla legge e per rendere
concretamente praticabile la revoca del beneficio della non menzione,
nell’ipotesi di successiva commissione di un delitto da parte del
condannato. E’ stata cosi’ stabilita una sorta di simmetria fra il
trattamento piu’ favorevole deciso dal giudice nei confronti di un
condannato, derivante dalla concessione dei benefici di cui sopra, e
la conseguenza piu’ sfavorevole, scaturente dal carattere perenne
della iscrizione, volto ad evitare che il beneficiario possa ottenere
ulteriori vantaggi dalla minore severita’ della condanna subita,
nell’ipotesi di successive condanne penali.
2.2. – Occorre tuttavia rimarcare che il rigore del divieto di
concessione per piu’ di una volta del beneficio della sospensione
condizionale della pena si e’, nel corso del tempo, attenuato per
effetto di interventi di questa Corte e del legislatore.
In particolare, con la sentenza n. 73 del 1971, e’ stata
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 164, quarto
comma, cod. pen., nella parte in cui escludeva che potesse concedersi
una seconda sospensione condizionale, nel caso di nuova condanna per
delitto anteriormente commesso, ad una pena che, cumulata con quella
gia’ sospesa, non superasse i limiti per l’applicabilita’ del
beneficio. In conformita’ a tale orientamento, e’ intervenuto il
legislatore, che, con decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99
(Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito dalla
legge 7 giugno 1974, n. 220, ha sostituito il testo dell’art. 164
cod. pen., introducendo la regola contenuta nella suddetta sentenza.
La reiterabilita’ della sospensione condizionale della pena
consegue anche dalla disciplina del codice di procedura penale
riguardante alcuni riti alternativi. L’art. 460, comma 5, cod. proc.
pen., in materia di decreto penale di condanna, stabilisce che «il
reato e’ estinto, se nel termine di cinque anni, quando il decreto
concerne un delitto, o di due anni quando il decreto concerne una
contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una
contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni
effetto penale e la condanna non e’ comunque di ostacolo alla
concessione di una successiva sospensione condizionale della pena».
Con riferimento al tema delle iscrizioni nel casellario
giudiziale, si deve notare che l’art. 460, comma 2, cod. proc. pen.
e’ stato modificato dall’art. 2-decies del decreto-legge 7 aprile
2000, n. 82 (Modificazioni della disciplina dei termini di custodia
cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito dalla legge
5 giugno 2000, n. 144. A seguito della novella il giudice, nel
provvedere alla condanna per decreto, non puo’ disporne la non
menzione nel certificato penale spedito a richiesta dei privati (un
generalizzato divieto di menzione del decreto penale e’ stato poi
introdotto mediante il d.P.R. n. 313 del 2002, con evidenti fini di
ulteriore incentivazione all’acquiescenza per il destinatario). In
conseguenza dell’innovazione, le iscrizioni concernenti le condanne
irrogate per decreto sono ormai suscettibili di eliminazione, decorsi
dieci anni dalla esecuzione o dalla estinzione della pena. Che tale
nuova situazione dei condannati per decreto sia piu’ favorevole della
precedente, poiche’ appunto consente la cancellazione dell’iscrizione
della condanna dal casellario giudiziale, e’ confermato dalla
giurisprudenza di legittimita’, la quale, richiamando l’art. 2,
quarto comma, cod. pen., ha ritenuto che la cancellazione dal
casellario giudiziale, connessa all’intervenuto divieto della non
menzione, sia consentita anche riguardo alle condanne per decreto
anteriori alla novella dell’art. 460 cod. proc. pen. (Corte di
cassazione, sentenza n. 12451 del 2009).
Nella stessa direzione si muove l’art. 445, comma 2, cod. proc.
pen., in materia di patteggiamento, che dispone l’estinzione del
reato «ove sia stata irrogata una pena detentiva a due anni soli o
congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la
sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza
concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto
ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si
estingue ogni effetto penale, e se e’ stata applicata una pena
pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non e’ comunque
di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione
condizionale della pena».
2.3. – Le disposizioni sopra richiamate inducono alla conclusione
che l’ordinamento si orienta a togliere valore preclusivo assoluto
alla regola della non concedibilita’ della sospensione condizionale
della pena per piu’ di una volta, specie allo scopo di eliminare gli
effetti irragionevoli che si possono produrre quando la prima
concessione riguardi reati puniti con una pena pecuniaria. La
tendenza emergente e’ quella di evitare che una pregressa condanna
per un reato di non grave entita’ si proietti senza limiti sul
futuro, con conseguenze che potrebbero essere paradossali,
nell’ipotesi di una contravvenzione punita con una pena molto lieve,
che diventa preclusiva di una specifica valutazione del giudice in
relazione ad un reato commesso anche dopo molti anni, quando la prima
condanna, con tutti i suoi effetti, si e’ gia’ estinta per il decorso
di un determinato lasso di tempo, senza che il condannato abbia
commesso reati della stessa indole. Il legislatore ha ritenuto, nelle
fattispecie sopra ricordate, che, estintosi il primo reato di modesta
entita’, il condannato possa aspirare ad essere nuovamente messo alla
prova, se il giudice «avuto riguardo alle circostanze indicate
nell’art. 133, […] presume che il colpevole si asterra’ dal
commettere ulteriori reati» (art. 164, primo comma, cod. pen.).
A quanto detto si deve aggiungere che lo stesso art. 5 del d.P.R.
n. 313 del 2002, alla lettera g) del comma 2, prevede che possano
essere cancellate le iscrizioni relative «ai provvedimenti giudiziari
di condanna emessi dal giudice di pace, trascorsi cinque anni dal
giorno in cui la sanzione e’ stata eseguita se e’ stata inflitta la
pena pecuniaria, o dieci anni se e’ stata inflitta una pena diversa,
se nei periodi indicati non e’ stato commesso un ulteriore reato».
Non compaiono, nella disposizione sopra riportata, le eccezioni
previste dalla norma censurata nel presente giudizio. Peraltro, la
sospensione condizionale della pena e’ stata completamente eliminata,
per i reati di competenza del giudice di pace, dall’art. 60 del
decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della
legge 24 novembre 1999 n. 468).
3. – Alla luce delle indicate linee evolutive dell’ordinamento,
si impone una riconsiderazione della preclusione drastica derivante
dalla norma censurata, che vieta, sempre e comunque, la cancellazione
dal casellario giudiziale della condanna all’ammenda, decorsi dieci
anni dall’esecuzione o dall’estinzione della pena, quando sia
concesso alcuno dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen.
Tale limitazione persegue lo scopo di salvaguardare il divieto,
in origine assoluto, di concedere la sospensione condizionale per
piu’ di una volta. Tuttavia – come e’ stato evidenziato nel paragrafo
precedente – tale divieto ha subito significative attenuazioni, tutte
volte a salvaguardare altre finalita’ meritevoli di tutela, che
sarebbero state compromesse dall’indiscriminata operativita’ del
divieto stesso. Le nuove discipline riguardanti le pene irrogate con
decreto penale o in seguito a patteggiamento, o ancora dal giudice di
pace, dimostrano che le condanne a pene di lieve entita’, relative a
reati di modesta rilevanza, sono considerate dal legislatore in una
luce diversa rispetto al passato, con il progressivo abbattimento
delle barriere rigide costruite dalla legge in seguito ad una prima
infrazione di una norma penale. Viene in primo piano la valutazione
sulla specificita’ dei casi concreti, sulla gravita’ delle
trasgressioni e sull’esigenza di non aggravare, con la perpetuita’
delle preclusioni, gli effetti di comportamenti antigiuridici non
gravi e lontani nel tempo.
Questa tendenza della giurisprudenza costituzionale e della piu’
recente legislazione e’ contraddetta dalla norma censurata, che
capovolge irragionevolmente i trattamenti rispettivamente riservati
al condannato cui non sono stati concessi i benefici di cui agli
artt. 163 e 175 cod. pen. e a quello cui invece tali benefici sono
stati accordati.
Occorre ricordare ancora una volta che l’art. 164, primo comma,
cod. pen. subordina la concessione della sospensione condizionale
della pena alla prognosi – conseguente alla valutazione degli
elementi da cui desumere la gravita’ del reato, indicati nell’art.
133 cod. pen. – che il colpevole si asterra’ in futuro dal commettere
ulteriori reati. Avuto riguardo alle stesse circostanze, il giudice
puo’ ordinare che non sia fatta menzione della condanna nel
certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
In entrambe le ipotesi, la valutazione del giudice e’ meno severa di
quella formulata a carico dei condannati che, in seguito alla
considerazione delle suddette circostanze, appaiono non meritare la
concessione dei benefici di cui sopra. Si puo’ addirittura verificare
il paradosso di un soggetto che subisca una nuova condanna alla pena
dell’ammenda e possa, per tale secondo provvedimento, chiedere ed
ottenere, trascorsi dieci anni dalla esecuzione o estinzione della
pena, la cancellazione della relativa iscrizione dal casellario
giudiziale, anche se il secondo reato sia stato sanzionato piu’
gravemente del primo. La conseguenza sarebbe che di un reato piu’
grave si perde memoria, mentre rimane sempre iscritta la condanna per
il reato piu’ lieve.
4. – Il tendenziale attenuarsi del rigore delle preclusioni e la
progressiva scomparsa del riferimento ai benefici nelle disposizioni
riguardanti le condanne per reati di minore gravita’, mettono in
risalto un evidente squilibrio tra il bene protetto dalla norma sulla
cancellazione delle iscrizioni per le condanne alla sola pena
dell’ammenda e la cautela adottata dal legislatore, a partire dal
1930, volta ad impedire che i beneficiari dei provvedimenti di cui
agli artt. 163 e 175 cod. pen. possano nuovamente fruirne nel caso di
successive violazioni della legge penale.
Innanzitutto, c’e’ da rilevare il lungo lasso di tempo che deve
intercorrere tra la condanna e la possibilita’ di chiedere la
cancellazione (dieci anni dall’estinzione della pena), che gia’
supera del doppio quello previsto per tutte le condanne a pene
pecuniarie irrogate dal giudice di pace.
In secondo luogo, diventa stridente la diversita’ di trattamento
fra condannati alla pena dell’ammenda per i medesimi reati. Mentre
originariamente la cautela contro possibili trasgressioni successive,
che rendeva retroattivamente immeritevoli dei benefici coloro che ne
avessero goduto, veniva ritenuta prevalente sul diritto, riconosciuto
in generale dall’ordinamento, a pretendere che non sia conservata
memoria di infrazioni «bagatellari», oggi si deve ritenere che il
bilanciamento fra le due opposte tutele – quella del «diritto
all’oblio» di chi si sia reso responsabile in tempi passati di
modeste infrazioni alla legge penale e per un periodo congruo non
abbia commesso altri reati, e quella contrapposta di precludere
un’indebita reiterazione dei benefici – porti alla prevalenza della
prima. Difatti tale reiterazione e’ ammessa in un numero crescente di
casi e per altro verso si tende, per le pene piu’ lievi, ad eliminare
la possibilita’ stessa di concedere tali benefici, che finiscono,
nella pratica, per produrre piu’ danni che vantaggi ai destinatari.
Tanto questo e’ vero che la giurisprudenza di legittimita’ ha
riconosciuto l’interesse ad impugnare i provvedimenti di condanna
alla pena dell’ammenda, nella parte in cui concedono, sebbene non
richiesti, i benefici ostativi alla cancellazione dell’iscrizione nel
casellario giudiziale (ex plurimis, Corte di cassazione, sentenza n.
13000 del 2009).
In definitiva, l’esclusione di coloro che abbiano fruito dei
benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. dalla possibilita’ di
ottenere la cancellazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni
relative a condanne alla pena dell’ammenda, decorsi dieci anni
dall’estinzione della pena medesima, nel corso dei quali il
condannato non abbia compiuto altri reati, deve ritenersi
costituzionalmente illegittima. Tale preclusione produce un
trattamento irragionevolmente differenziato fra condannati per i
medesimi reati, sulla base di una cautela che, alla luce
dell’evoluzione legislativa, e’ divenuta eccessiva e sproporzionata,
non tale quindi da bilanciare lo svantaggio della perennita’
dell’iscrizione, non prevista invece per condannati in ipotesi
giudicati in modo piu’ severo dal giudice.
5. – Sono assorbite le altre censure di illegittimita’
costituzionale prospettate nell’atto introduttivo del giudizio.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 5, comma 2,
lettera d), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da
reato e dei relativi carichi pendenti), limitatamente all’inciso
«salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli
articoli 163 e 175 del codice penale».
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Silvestri

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria l’8 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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