Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-06-2011, n. 3625

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti sono tutti dipendenti del Ministero per i beni e le attività culturali (già Ministero per i beni culturali ed ambientali) e sono stati assunti in applicazione della legge 1° giugno 1977, n. 285, a seguito di superamento degli esami di idoneità di cui alla legge 29 febbraio 1980, n. 33 nell’anno 1980 ed immissione in ruolo con decorrenza dal 1985.

Essi hanno chiesto l’applicazione nei loro confronti della retribuzione individuale di anzianità di cui all’art. 9 del d.P.R. 9 gennaio 1990, n. 44, maturata al 1993, sostenendo che sarebbe alla specie applicabile la proroga dell’accordo di comparto ivi recepito prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438 e, per quelli cui è stata corrisposta, l’accertamento e la dichiarazione del diritto al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria fino al soddisfo.

Il giudice adito ha rigettato il ricorso sulla base dell’art. 51, comma 3, l. 23 dicembre 2000, n. 388, il quale ha disposto che la previsione di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 12 settembre 1992, n. 384, convertito dalla l. 14 novembre 1992, n. 438, va intesa nel senso che la proroga di cui trattasi "non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità", salvi gli effetti dei giudicati intervenuti alla data della sua entrata in vigore.

Alla norma è stata attribuita natura di interpretazione autentica ed in quanto tale avente effetti retroattivi (Cons. Stato, VI, 4 aprile 2003, n. 1758; 26 luglio 2001, n. 4120).

La Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalità della norma, la ha dichiarata manifestamente infondata sotto tutti i profili denunciati.

Gli appellanti hanno dedotto che la sentenza, pur corretta nei suoi principi di diritto, non ha correttamente considerato ed esaminato la loro domanda, che concerneva la mancata attribuzione della maggiorazione individuale di anzianità (m.a.r.i.a.) maturata nell’anno 1993, nonché interessi e rivalutazione.

Con memoria deposita in data 29 gennaio 2011 gli appellanti hanno evidenziato che ai ricorrenti che avevano dieci ani anzianità, al dicembre 1990 (…), la maggiorazione individuale di anzianità è stata commisurata a cinque anni; ad altri appellanti la maggiorazione è stata effettivamente commisurata all’anzianità posseduta, di 10 anni, ma è stata corrisposta in ritardo nell’anno 1995.

Pertanto al primo gruppo di ricorrenti spetta la differenza di m.a.r.i.a, con l’aggiunta della svalutazione monetaria e degli interessi legali.

Al secondo gruppo spettano, invece, soltanto la svalutazione monetaria e gli interessi legali maturati.

L’amministrazione resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso con memoria depositata il 27 gennaio 2011.

All’udienza dell’1 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che, in caso di ricorso cumulativo col quale pubblici dipendenti chiedono la condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme dovute in ragione di un diverso trattamento economico, l’indicazione per ciascun ricorrente della relativa posizione di status (attuale posizione di servizio ed eventualmente posizioni pregresse, anzianità di servizio, ecc.) e, ancor meglio, delle spettanze rivendicate rispetto a tale posizione, costituisce il necessario presupposto per l’ammissibilità della loro azione diretta alla condanna della pubblica amministrazione, in quanto, stante l’unicità del giudizio amministrativo, il giudice non può limitarsi a pronunciare soltanto la condanna al pagamento delle somme dovute in via generica, rimettendo ad altro giudizio la quantificazione del dovuto, ma è tenuto a condannare la pubblica amministrazione al pagamento del quantum spettante a ciascun interessato che abbia proposto ricorso (Cons. Stato, V, 17 maggio 2005, n. 2447).

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso collettivo, che deroga al principio secondo il quale ogni domanda proposta al giudice amministrativo deve essere fatta valere dal singolo titolare della situazione giuridica soggettiva con separate azioni, occorre che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali e cioè che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto (Cons. Stato, V, 24 agosto 2010, n. 5928).

Nel caso in esame, così come si evince dalla memoria conclusionale, i ricorrenti hanno individuato due distinti gruppi di dipendenti nei confronti dei quali il giudice adito dovrebbe pronunciare due diverse condanne. Ma essi non forniscono alcuna indicazione sulla composizione di questi due distinti gruppi, demandando al giudice l’accertamento dell’appartenenza di ciascun ricorrente ad un gruppo piuttosto che ad un altro.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna ciascun ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione resistente, della somma complessiva di Euro 500,00 (euro cinquecento/00) per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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