Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 21600

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che con sentenza in data 28 agosto 2002, il Tribunale di Fermo respinse la domanda con la quale i fratelli R., F., P. e R.M.G. avevano chiesto la dichiarazione di parziale inefficacia, nei loro confronti, della donazione effettuata dai coniugi R.G. e V. S. in favore della loro figlia R.D., avente ad oggetto la quota di comproprietà, pari a 2/21, della casa con annesso orto sita in (OMISSIS);

che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 27 dicembre 2008, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di R., P. e M. R.G., ravvisando nella sua formulazione la proposizione di una domanda nuova, preclusa ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ.;

che la sentenza di secondo grado è cosi motivata: Nella fattispecie concreta, la circostanza che gli attori abbiano agito, in primo grado, per riduzione di una donazione, in ipotesi lesiva della quota di legittima, invocando l’istituto della rappresentazione ai sensi dell’art. 467 cod. civ., che presuppone l’esistenza di un erede che non può o non vuole accettare l’eredità a lui devoluta, è cosa diversa – e ad avviso di questa Corte integra una differente causa petendi – rispetto ad una domanda che, in appello, si fonda sulla norma di cui all’art. 557 cod. civ.;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello i R. hanno proposto ricorso, con atto notificato l’11 febbraio 2010, sulla base di due motivi;

che gli intimati hanno resistito con controricorso;

che in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello ( art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 342 cod. proc. civ.);

che il secondo mezzo è rubricato "violazione e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3";

che entrambi i motivi, i quali prospettano violazione o falsa applicazione di norme di legge, sono privi del quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che il quesito di diritto non, può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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