Corte Costituzionale sentenza n. 302 SENTENZA 18 – 22 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 43 del 27-10-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 251,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007), promosso dal Tribunale di Sanremo, con ordinanza del 5 gennaio
2009, iscritta al numero 229 del registro ordinanze 2009 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª serie speciale,
dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della Living Garden s.r.l. nonche’
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il giudice
relatore Gaetano Silvestri;
Uditi gli avvocati Lorenzo Acquarone e Giovanni Acquarone per la
Living Garden s.r.l. e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha
sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma
251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 53 e 97 della
Costituzione.
1.1. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce di essere
investito di un ricorso, proposto dalla Living Garden s.r.l. ai sensi
dell’art. 700 del codice di procedura civile, per ottenere una misura
cautelare utile ad evitare il pagamento della somma richiesta da
Comune di Sanremo, con atto del 10 ottobre 2007, n. 53894, a seguito
del nuovo computo del canone demaniale marittimo dovuto dalla stessa
Living Garden per l’anno 2007.
La societa’ ricorrente e’ titolare di una concessione demaniale
marittima per l’occupazione e la conduzione di un bar gelateria su
un’area di complessivi mq. 922 (comprendenti un’area scoperta di mq.
259, un’area coperta con opere di facile rimozione di mq. 46, un’area
coperta con impianti di difficile rimozione di mq. 142 ed una
pertinenza demaniale di circa mq. 475, costituita da un fabbricato
incamerato). Per l’intero compendio immobiliare la predetta societa’
ha pagato, fino al 2007, un canone annuo di importo poco superiore a
2.500 euro, periodicamente aggiornato. Per l’anno 2007, il Comune di
Sanremo ha richiesto un canone di 2.663,09 euro, oltre
all’addizionale regionale del 10% (per un totale di 2.929,40 euro).
Nel giudizio a quo, la societa’ ricorrente ha evidenziato come la
norma censurata abbia introdotto nuovi criteri di calcolo dei canoni
demaniali (quanto meno per le cosidette pertinenze demaniali),
determinando spropositati aumenti degli stessi, addirittura superiori
alla misura del 300%, gia’ prevista dal decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326.
In particolare, il censurato art. 1, comma 251, della legge n.
296 del 2006 – che ha sostituito il comma 1 dell’art. 03 del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la
determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali
marittime), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 4 dicembre 1993, n. 494 – ha, tra l’altro,
stabilito che «per le concessioni comprensive di pertinenze demaniali
marittime si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2007, i seguenti
criteri: 2.1) per le pertinenze destinate ad attivita’ commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone e’
determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per
la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati
dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento.
L’importo ottenuto e’ moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5. Il
canone annuo cosi’ determinato e’ ulteriormente ridotto delle
seguenti percentuali, da applicare per scaglioni progressivi di
superficie del manufatto: fino a 200 metri quadrati, 0 per cento;
oltre 200 metri quadrati e fino a 500 metri quadrati, 20 per cento;
oltre 500 metri quadrati e fino a 1.000 metri quadrati, 40 per cento;
oltre 1.000 metri quadrati, 60 per cento. Qualora i valori
dell’Osservatorio del mercato immobiliare non siano disponibili, si
fa riferimento a quelli del piu’ vicino comune costiero rispetto al
manufatto nell’ambito territoriale della medesima regione».
Ai sensi dell’art. 29 del codice della navigazione, sono
considerate pertinenze del demanio marittimo «le costruzioni e le
altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del
demanio marittimo e del mare territoriale».
Con il provvedimento impugnato nel giudizio principale il Comune
di Sanremo, in applicazione del citato comma 251 dell’art. 1, ha
ricalcolato il canone per l’anno 2007 nella misura di 41.878,92 euro
ed ha invitato la societa’ ricorrente a provvedere al pagamento delle
somme non corrisposte.
A fronte della nuova quantificazione del canone annuo, la Living
Garden s.r.l. ha adito il Tribunale di Sanremo chiedendo l’adozione
di una misura cautelare idonea, come accennato, a ricondurre il
canone demaniale al precedente importo o comunque ad un livello
ragionevole, «tale da consentire la prosecuzione dell’attivita’».
Nel giudizio a quo, la societa’ ricorrente ha dedotto, in primo
luogo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 251,
della legge n. 296 del 2006, in quanto la pertinenza demaniale in
concessione alla Living Garden s.r.l. non rientrerebbe nelle
categorie di destinazione soggette al disposto aumento, trattandosi
di un fabbricato destinato ad attivita’ di bar gelateria. In
subordine, e’ stata dedotta l’illegittimita’ costituzionale del
richiamato comma 251, in quanto il nuovo criterio di quantificazione
del canone demaniale marittimo violerebbe gli artt. 3, 41 e 97 Cost.
1.2. – Il giudice rimettente ha escluso il fondamento della
proposta distinzione tra gli esercizi di ristorazione e di
somministrazione di alimenti e bevande e le altre attivita’
commerciali, ed ha invece ritenuto non manifestamente infondata,
oltre che rilevante, la prospettata questione di legittimita’
costituzionale.
Per quanto riguarda la rilevanza, il Tribunale assume che la
stessa sarebbe in re ipsa, in quanto il provvedimento impugnato
costituirebbe «pedissequa applicazione delle nuove norme che regolano
i contestati canoni demaniali».
In merito alla non manifesta infondatezza, il rimettente
sottolinea come l’«ampia discrezionalita’», di cui gode il
legislatore nell’adottare norme modificatrici dei rapporti giuridici
di durata, sia censurabile ogni qual volta «emergano profili di
manifesta irragionevolezza tali da ledere il buon andamento della
pubblica amministrazione o da determinare situazioni di
disuguaglianza».
Nel caso di specie, la lesione del principio di ragionevolezza e
di uguaglianza sarebbe ravvisabile nel fatto che le nuove norme
«determinano immotivate discriminazioni all’interno della medesima
categoria delle pertinenze demaniali», assoggettando al nuovo
criterio di calcolo dei canoni le sole pertinenze adibite a
specifiche destinazioni («attivita’ commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi») e non anche
le altre.
Ad avviso del giudice a quo, il nuovo criterio di calcolo, oltre
che discriminatorio, risulterebbe «in netta contraddizione» con i
provvedimenti legislativi che, al fine di ricondurre il canone ad una
misura equa e ragionevole, avevano dapprima rinviato l’entrata in
vigore dell’incremento del canone del 300%, previsto dal d.l. n. 269
del 2003 per le concessioni turistico-balneari, e quindi
successivamente abrogato le norme che lo avevano istituito.
Il Tribunale di Sanremo richiama, a sostegno delle proprie
argomentazioni, la sentenza della Corte costituzionale n. 264 del
2005, secondo cui «nel nostro sistema costituzionale non e’ affatto
interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a
modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei
rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da
diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme
retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25,
secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale e’
che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto».
Secondo il rimettente, i dubbi non manifestamente infondati circa
la compatibilita’ della disciplina censurata con il principio di
ragionevolezza si risolverebbero, per se stessi, anche in dubbi
riguardo alla piena osservanza del canone di buon andamento della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
Ancora, le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art.
53 Cost., in quanto il canone demaniale non sarebbe predeterminato
con atto legislativo ma rimesso alle valutazioni dell’Osservatorio
del mercato immobiliare (OMI), cosi’ violando il principio
costituzionale di capacita’ contributiva.
Il Tribunale di Sanremo, inoltre, facendo proprie le censure
prospettate dalla societa’ ricorrente nel giudizio principale,
sottolinea come l’importo del canone delle pertinenze sia di fatto
equiparato al valore di mercato del canone di locazione di un
corrispondente immobile di proprieta’ privata. Cio’ risulterebbe
irragionevole e non conforme ai principi dell’art. 3 Cost., visto che
sussisterebbero «plurimi motivi» per escludere siffatta
equiparazione. In particolare, il concessionario demaniale, oltre a
non poter disporre dell’immobile «per natura incommerciabile e dunque
fuori mercato», sarebbe svantaggiato rispetto al conduttore di
immobili privati in quanto: e’ soggetto al pagamento integrale
dell’ICI; non ha garanzie di durata del rapporto, che e’ soggetto a
risoluzione in qualsiasi momento, senza necessita’ di giusta causa ma
«per ragioni di interesse pubblico difficilmente sindacabili» (ex
art. 42 cod. nav.); e’ soggetto all’obbligo della manutenzione anche
straordinaria dell’immobile demaniale e, secondo le norme censurate,
le spese e gli investimenti sostenuti non possono essere computati al
fine della determinazione del canone; e’ soggetto all’assicurazione
obbligatoria dell’immobile per il valore commerciale ed al versamento
di una cauzione maggiore di quella richiesta al conduttore di un
immobile privato (tre mensilita’ invece di due).
Il giudice a quo aggiunge che, proprio in considerazione di tali
elementi, i canoni demaniali sono sempre risultati inferiori rispetto
ai canoni di locazione degli immobili di proprieta’ privata.
Un ulteriore motivo di illegittimita’ della norma impugnata e’
individuato nel fatto che quest’ultima assoggetterebbe «del tutto
illogicamente» a diverso canone demaniale pertinenze di identico
valore, come ad esempio immobili su aree confinanti di uno stesso
lungomare ricadenti pero’ nel territorio di Comuni diversi e quindi
aventi diverso valore immobiliare medio.
Per le anzidette ragioni il Tribunale di Sanremo ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 251,
della legge n. 296 del 2006, «nella parte in cui prevede un
immotivato incremento (di oltre il 300%) del canone demaniale delle
pertinenze demaniali».
2. – Nel giudizio si e’ costituita la Living Garden s.r.l.
chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimita’
costituzionale.
In particolare la societa’ interveniente, dopo aver riassunto il
quadro normativo in materia, svolge le medesime argomentazioni gia’
sviluppate dal giudice a quo nell’ordinanza di rimessione,
sottolineando l’irragionevolezza della norma censurata che, nelle
intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto perseguire gli obiettivi
di equita’ e di razionalita’ nella determinazione dei canoni delle
pertinenze demaniali marittime.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 97 Cost., la Living
Garden s.r.l., oltre a riprendere il contenuto dell’atto introduttivo
del presente giudizio, richiama le sentenze n. 393 del 2000 e n. 264
del 2005 della Corte costituzionale e la sentenza della Corte di
Giustizia delle Comunita’ europee del 29 aprile 2004, in cause
C-487/01 e C-7/02.
In merito alla censura prospettata in relazione all’art. 53
Cost., la societa’ interveniente osserva che la determinazione dei
canoni sulla base delle valutazioni di mercato affidate all’OMI,
«anziche’ su criteri fissati normativamente», darebbe luogo
all’«assegnazione di un canone astratto e virtuale, destinato a
discostarsi, ed anche in larga misura come nel caso di specie, dalle
possibilita’ reddituali del concessionario».
3. – Nel giudizio e’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
infondata.
3.1. – La difesa statale sottolinea come la norma denunciata si
inserisca in «un complesso percorso legislativo finalizzato alla
tutela e alla valorizzazione di tutti i beni di proprieta’ statale».
Questo percorso e’ iniziato con la legge 3 aprile 1997, n. 94
(Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive
modificazioni e integrazioni, recante norme di contabilita’ generale
dello Stato in materia di bilancio. Delega al Governo per
l’individuazione delle unita’ previsionali di base del bilancio dello
Stato) ed e’ proseguito con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n.
279 (Individuazione delle unita’ previsionali di base del bilancio
dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e
ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato). Entrambi i
citati provvedimenti, nell’ambito della revisione generale del
sistema di bilancio e del rendiconto generale, hanno previsto nel
conto la rappresentazione del patrimonio pubblico, con una sua
valutazione di mercato comprensiva del demanio, in precedenza
escluso.
Siffatta evoluzione legislativa avrebbe interessato, tra l’altro,
il demanio marittimo, ormai considerato come uno strumento da
valorizzare e da preservare, non solo dal punto di vista ambientale e
paesaggistico, ma anche da quello relativo alla sua idoneita’ a
produrre reddito. La ratio della norma censurata sarebbe proprio
quella di consentire il superamento del precedente regime tabellare
di quantificazione del canone, prima considerato quale corrispettivo
riferito al mero utilizzo del bene, senza alcun legame con la
tipologia di attivita’ effettivamente svolta dal concessionario e con
la redditivita’ economica della stessa.
Pertanto, il peculiare trattamento riservato alle concessioni
comprensive di pertinenze demaniali marittime (cioe’ di opere
inamovibili divenute di proprieta’ dello Stato alla scadenza naturale
della concessione), destinate ad attivita’ commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, troverebbe
fondamento nella loro capacita’ di produrre reddito.
D’altra parte, l’introduzione di nuovi criteri di determinazione
del canone con riguardo alle sole pertinenze demaniali marittime
aventi la specifica destinazione sopra descritta sarebbe
giustificabile in ragione della loro maggiore idoneita’, rispetto ad
altri beni di proprieta’ statale, a produrre un reddito. In merito,
l’Avvocatura generale evidenzia come esclusivamente nei casi in
questione (trattandosi di opere non amovibili) lo Stato possa
legittimamente pretendere un canone relativo anche al manufatto e non
soltanto al suolo. Al contrario, ove le opere insistenti sul suolo
risultino suscettibili di rimozione al termine della stagione
balneare e quindi non di proprieta’ dello Stato, il canone viene
applicato secondo parametri tabellari diversi, che prendono in
considerazione esclusivamente il suolo e non gia’ i manufatti
(rimossi).
Le suesposte considerazioni inducono la difesa statale a ritenere
la norma censurata del tutto ragionevole, in quanto finalizzata alla
valorizzazione di un bene pubblico produttivo di entrate per
l’erario, e priva dei denunciati profili discriminatori rispetto alle
altre concessioni demaniali, che hanno una differente potenzialita’
economica e caratteristiche diverse.
3.2. – L’Avvocatura generale ritiene, poi, destituite di
fondamento le censure relative all’eccessiva onerosita’ dei canoni e
alla loro riconducibilita’ ai corrispettivi praticati in regime di
libero mercato.
Secondo la difesa statale, la norma denunciata, ancorando il
canone alla redditivita’ economica del bene oggetto di concessione,
«non poteva non avere l’effetto di un aumento (anche considerevole, a
fronte degli importi irrisori precedenti) del canone da
corrispondere».
Peraltro, osserva l’Avvocatura, i nuovi canoni sono comunque ben
lontani dai corrispettivi praticati nel libero mercato. Infatti,
l’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006 prevede, per un
verso, che si tenga conto nel calcolo della «media dei valori mensili
unitari minimi e massimi indicati dall’osservatorio del mercato
immobiliare per la zona di riferimento»; per altro verso, l’importo
cosi’ ottenuto e’ «oggetto di una serie di temperamenti e
abbattimenti» riferiti, da un lato, alla superficie del manufatto,
dall’altro, al carattere stagionale (e non continuativo)
dell’attivita’ ed ai lavori di manutenzione straordinaria a carico
del concessionario. Di conseguenza, l’importo del canone non potrebbe
ritenersi equiparato al valore di mercato della locazione di un
corrispondente immobile di proprieta’ privata.
Sul punto, la difesa statale precisa che l’utilizzazione di
parametri tecnico-estimativi elaborati dall’osservatorio del mercato
immobiliare, cioe’ da un «organismo super partes gestito dall’Agenzia
del Territorio, avente specifica competenza nel campo dei processi
estimali riferiti al mercato immobiliare», garantisce «la sostanziale
equita’ dei criteri di determinazione dei canoni in questione ed una
definizione sufficientemente equilibrata della redditivita’ del bene
pubblico».
3.3. – In definitiva, la norma censurata risulterebbe
ragionevole, rispettosa dei principi costituzionali evocati dal
giudice a quo e «correttamente attuativa del principio di buona
amministrazione di cui all’art. 97 Cost.», in quanto valorizzerebbe
la redditivita’ di beni demaniali dai quali il concessionario trae un
profitto commerciale.
L’entita’ del canone sarebbe, poi, determinata con una «procedura
trasparente ed oggettiva, ancorata ai valori di mercato», e potrebbe
essere «inglobata nel prezzo del servizio fornito all’utenza»,
sicche’ non sarebbero violati gli artt. 3 e 53 Cost.
4. – In prossimita’ dell’udienza il Presidente del Consiglio dei
ministri ha depositato una memoria con la quale ribadisce le
argomentazioni gia’ sviluppate nell’atto di intervento, soffermandosi
ampiamente sulla sentenza n. 264 del 2005 della Corte costituzionale.
4.1. – La difesa statale precisa inoltre come la norma censurata
sia rispettosa anche del principio comunitario della concorrenza,
inteso nella sua accezione dinamica; in particolare, l’adeguamento
dei canoni di concessione dei beni demaniali in questione
realizzerebbe quell’intervento dinamico nel mercato imposto dai
precetti comunitari. Al contrario, il pagamento di canoni di
concessione (relativamente a pertinenze demaniali marittime)
notevolmente inferiori a quelli correnti nel mercato delle locazioni
private potrebbe essere censurato dalla Commissione europea come
misura di effetto equivalente ad un aiuto di Stato.
4.2. – Quanto all’art. 53 Cost., che il rimettente ha compreso
tra le norme costituzionali violate dalla disciplina in esame, la
difesa statale ritiene che esso sia stato «malamente» evocato, in
quanto, nel caso di specie, non si tratta di imposte o di tasse ma di
meri corrispettivi dell’uso di un bene. Peraltro, aggiunge
l’Avvocatura generale, la norma censurata stabilisce compiutamente i
criteri da seguire per l’aggiornamento dei canoni ed individua
nell’osservatorio del mercato immobiliare l’organismo pubblico cui e’
demandato l’accertamento di fatto.
In proposito, l’interveniente evidenzia come l’osservatorio del
mercato immobiliare, istituito presso l’Agenzia del territorio, abbia
il duplice obiettivo di concorrere alla trasparenza del mercato
immobiliare e di fornire elementi informativi per le attivita’ della
stessa Agenzia nel campo dei processi estimali, mediante la gestione
di una banca dati delle quotazioni immobiliari e la realizzazione di
analisi e di studi di settore. Questa attivita’ di rilevazione e di
elaborazione di informazioni relative ai valori immobiliari e’,
inoltre, pubblicata con cadenza semestrale.
La difesa statale ritiene, pertanto, assolutamente condivisibile
la scelta del legislatore di affidare ad un siffatto organismo
pubblico la rilevazione dei valori immobiliari medi cui parametrare i
nuovi canoni di concessione demaniale.
4.3. – L’Avvocatura generale contesta, ancora, le affermazioni
contenute nell’ordinanza di rimessione secondo cui i concessionari
pubblici sarebbero gravati di maggiori oneri economici rispetto ai
locatari di immobili privati, ed il loro rapporto non godrebbe di
adeguate garanzie di durata.
Quanto al primo aspetto, si osserva come la norma censurata
preveda una serie di meccanismi riduttivi dei valori rilevati
dall’Osservatorio del mercato immobiliare, tali da compensare i
maggiori oneri. Quanto al secondo aspetto, la difesa statale precisa
che la durata delle concessioni demaniali non e’ affatto minore di
quella delle locazioni private ed e’ anzi sorretta da maggiori
garanzie di rinnovo.
4.4. – Infine, in merito alla denunciata violazione del principio
dell’affidamento in conseguenza della modifica delle condizioni
economiche del rapporto concessorio, l’interveniente osserva che, in
generale, l’adeguamento dei relativi canoni ai valori di mercato e’
in corso da circa venti anni e che, comunque, un aumento dei canoni
in parola era stato gia’ disposto dal d.l. n. 269 del 2003. Inoltre,
stante la decorrenza dell’aumento del canone di concessione dal 1°
gennaio 2007, i concessionari avrebbero ben potuto adeguare i prezzi
delle attivita’ da offrire al pubblico al sopravvenuto incremento del
canone medesimo.
L’Avvocatura generale conclude richiamando la giurisprudenza
della Corte di Giustizia delle Comunita’ europee sul principio
dell’affidamento e sottolineando come siffatto principio non possa
certo giustificare la permanenza di una situazione illegittima, sia
sotto il profilo del sinallagma contrattuale con la pubblica
amministrazione sia sotto quello del rispetto del principio di libera
concorrenza con gli altri operatori commerciali del settore.

Considerato in diritto

1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha
sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma
251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 53 e 97 della
Costituzione.
2. – Preliminarmente si deve precisare che il giudice rimettente
ha motivato in modo non implausibile la rilevanza della questione nel
processo principale. Difatti il Tribunale ha ritenuto che la
disposizione censurata si applichi anche agli esercizi di
ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande, da
considerarsi compresi nelle attivita’ commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, cui la
stessa disposizione esplicitamente si riferisce. In coerenza con tale
interpretazione, il giudice a quo ha operato una «previa declaratoria
di infondatezza del vizio dedotto con il primo motivo del ricorso»,
basato appunto sulla asserita non applicabilita’ della norma di cui
sopra alla fattispecie oggetto del suo esame.
3. – La questione non e’ fondata.
3.1. – Innanzitutto si deve prendere in esame la censura basata
sulla presunta lesione dell’affidamento dei cittadini nella sicurezza
dei rapporti giuridici, che deriverebbe dall’incidenza sui rapporti
in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori. A
tal proposito, giova ricordare come questa Corte abbia chiarito che
«nel nostro sistema costituzionale non e’ affatto interdetto al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in
senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di
durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti
soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive,
il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma,
della Costituzione). Unica condizione essenziale e’ che tali
disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto»
(sentenza n. 264 del 2005; in senso conforme, ex plurimis, sentenze
n. 236 e n. 206 del 2009).
Nel caso oggetto del presente giudizio, la variazione dei criteri
di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, in
particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non e’ frutto
di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si
inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina
dell’utilizzazione dei beni demaniali. Alla vecchia concezione,
statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore
del bene, si e’ progressivamente sostituita un’altra, tendente ad
avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base
cioe’ delle potenzialita’ degli stessi di produrre reddito in un
contesto specifico.
Tale processo evolutivo e’ in corso da diversi decenni ed ha
indotto questa Corte ad osservare che gli interventi legislativi,
volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, hanno lo
scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una
maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni piu’ equilibrati
rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati (sentenza n.
88 del 1997).
Del resto, un consistente aumento dei canoni in questione era
gia’ stato disposto dall’art. 32, commi 21, 22 e 23, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per
favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti
pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della
legge 24 novembre 2003, n. 326. La concreta applicazione degli
aumenti disposti dalle norme citate e’ stata successivamente rinviata
sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 256) ha
disposto la loro abrogazione, mentre contestualmente introduceva i
nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli aumenti
generalizzati dei canoni annui per concessioni demaniali marittime,
disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003, con un nuovo meccanismo,
che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito,
cioe’ quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attivita’
commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi.
Non si puo’ dire pertanto che l’aumento dei canoni, disposto
dalla previsione legislativa censurata, sia giunto inaspettato,
giacche’ esso si e’ sostituito ad un precedente aumento, di notevole
entita’, non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto
tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello
vigente, dalla norma oggetto di censura. Ne’ l’incremento puo’ essere
considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da
indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo
politico-economico, che sfugge, in via generale, ad una valutazione
di legittimita’ costituzionale. Si tratta infatti di una linea di
valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore
redditivita’ per lo Stato, vale a dire per la generalita’ dei
cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti
particolari che assumono la veste di concessionari.
Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea, laddove sottolinea che una mutazione
dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli
stessi «in modo improvviso e imprevedibile», senza che lo scopo
perseguito dal legislatore ne imponesse l’intervento (sentenza 29
aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02). Per i motivi illustrati
sopra, l’intervento del legislatore non e’ stato ne’ improvviso e
imprevedibile, ne’ ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di
assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni
dei soggetti che svolgono attivita’ commerciali, avvalendosi di beni
pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche
attivita’, ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi
all’utilizzazione di beni di proprieta’ privata.
3.2. – Quanto detto al paragrafo precedente porta alla logica
conseguenza che non si puo’ accogliere la censura basata su una
presunta discriminazione tra utilizzatori di pertinenze demaniali
marittime e soggetti locatari di aree di proprieta’ privata. Non solo
non vi e’ discriminazione nel tendenziale avvicinamento delle due
situazioni, dal punto di vista del costo dell’utilizzazione, ma si
deve riconoscere che l’intervenuto aumento dei canoni riduce
l’ingiustificata posizione di vantaggio di chi possa, nel medesimo
contesto territoriale, usufruire di concessioni demaniali rispetto a
chi, invece, sia costretto a rivolgersi al mercato immobiliare.
Ne’ vale mettere in rilievo – come fanno il rimettente e la parte
privata interveniente – che sul concessionario pesano alcuni oneri
che non gravano sui locatari privati, giacche’ la norma censurata
prevede un metodo di calcolo dei canoni che non fa coincidere,
puramente e semplicemente, i canoni stessi ed i prezzi praticati nel
mercato. Infatti «il canone e’ determinato moltiplicando la
superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili
unitari minimi e massimi indicati dall’Osservatorio del mercato
immobiliare per la zona di riferimento. L’importo ottenuto e’
moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5». Il canone annuo cosi’
ottenuto e’ ulteriormente ridotto in misura inversamente
proporzionale alla superficie del manufatto. Le due situazioni sono
da ritenersi pertanto equilibrate; anzi, puo’ dirsi che viene posto
rimedio ad un precedente squilibrio, senza tuttavia arrivare ad una
completa parificazione.
3.3. – Non e’ condivisibile neppure l’osservazione, formulata dal
rimettente e dalla parte privata, che vi sarebbe una discriminazione
tra concessionari di pertinenze demaniali marittime destinate ad
attivita’ commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni
e servizi e concessionari di beni pubblici dello stesso tipo
destinati ad altre utilizzazioni, ad esempio abitative.
La differenza di trattamento trova giustificazione nella diversa
attitudine dei beni pubblici a produrre reddito per i concessionari,
che certamente e’ maggiore se gli stessi vengono destinati alle
attivita’ considerate dalla norma censurata, piuttosto che a
destinazioni diverse, che ne implicano il mero godimento, senza un
attivo sfruttamento economico.
3.4. – Occorre infine rimarcare che la determinazione del canone
per le pertinenze demaniali marittime e’ affidata alle stime
dell’Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito
dall’Agenzia del territorio, ai sensi dell’art. 64, comma 3, del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma
dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11 della legge 15
marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettivita’.
4. – La censura riferita all’art. 53 Cost., contenuta sia
nell’atto introduttivo del giudizio, sia nella memoria della parte
privata interveniente, e’ del tutto infondata, giacche’ i canoni
demaniali marittimi non hanno natura tributaria, ma sono
corrispettivi dell’uso di un bene di proprieta’ dello Stato e
costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base a criteri
stabiliti dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 174 del 1998 e n. 311
del 1995).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Sanremo con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Silvestri

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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