Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 21597

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Svolgimento del processo

Con provvedimento in data 15 luglio 2005, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani conferiva a G.G. e C.G.M. l’incarico di espletare, nell’ambito del procedimento penale n. 3636 del 2004, una consulenza tecnica.

Con istanza datata 15 maggio 2006, dieci mesi dopo il conferimento dell’incarico, i suddetti professionisti chiedevano in loro favore la liquidazione della somma complessiva di Euro 120.294,40.

Con provvedimento del 29 dicembre 2006 la Procura della Repubblica liquidava in favore del dott. G.G. e del prof. C.G.M., Euro 12.426,40, a titolo di onorari spettanti per l’attività professionale dai medesimi svolta.

Avverso tale provvedimento i sig.ri G. e C. proponevano opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170.

Con provvedimento del 2 luglio 2007 il Presidente del Tribunale di Trapani, rigettando l’opposizione, annullava il decreto di liquidazione opposto ritenendo gli odierni ricorrenti decaduti dal diritto di chiedere la liquidazione del loro compenso, essendo intercorso tra la data di conferimento dell’incarico (15 luglio 2005) e la data di richiesta di liquidazione (15 maggio 2006) un tempo di gran lunga superiore a quello (cento giorni) prescritto a pena di decadenza dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71, per la presentazione, da parte degli ausiliari del magistrato, della domanda di liquidazione delle proprie spettanze.

Avverso questa decisione i sig.ri G. e C. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi; non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli Intimati Ca.

A., Ga.Al. e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani.
Motivi della decisione

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 71 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che il dies a quo per il computo del termine di decadenza prescritto dalla suddetta norma dovrebbe essere individuato non già nell’indeterminato momento di "compimento delle operazioni", ma con riferimento alla chiusura del procedimento penale nell’ambito del quale l’incarico è conferito.

Con il secondo motivo, i ricorrenti sollevano dubbio di legittimità costituzionale del citato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 71, per contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 36 Cost., ritenendo che il prescritto termine di decadenza determinerebbe la drastica perdita del diritto alla retribuzione garantito dall’art. 36 della Carta Fondamentale nonchè dai più generali principi che sanciscono il diritto al lavoro ( artt. 4 e 35 Cost.) e di eguaglianza ( art. 3 Cost.).

Il ricorso è inammissibile.

Invero, posto che il provvedimento impugnato è stato depositato il 5 luglio 2007, trova piena applicazione il disposto di cui all’art. 366- bis cod. proc. civ. – recante una specifica disciplina circa la formulazione dei motivi di ricorso per cassazione – ancorchè successivamente abrogato ad opera della L. n. 69 del 2009, applicabile però ai giudizi proposti avverso decisioni pubblicate a far data dal 4 luglio 2009.

Nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass., n. 11535 del 2008).

In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769 del 2008) e non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

Con specifico riferimento al secondo motivo, deve poi rilevarsi che in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, la prospettazione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando – non diversamente da quanto avveniva prima della riforma – la prospettazione di un motivo che giustificherebbe la cassazione della sentenza una volta accolta la questione di costituzionalità, suppone ora necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto (Cass., S.U., 28050 del 2008; Cass. n. 4072 del 2007).

Nella specie, i ricorrente denunciano con entrambi i motivi prima indicati violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (pur se tale disposizione non è esplicitamente menzionata).

Ne consegue che entrambi i motivi, secondo la prescrizione del citato art. 366-bis, applicabile ratione temporis, avrebbero dovuto essere corredati dalla formulazione di uno specifico quesito di diritto, nella specie del tutto mancante.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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