Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 13-06-2011, n. 23668 Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

gli indagai, avv. Ricci Luca, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’ordinanza oggetto di gravame ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso, in data 26.5.09. dal G.i.p. – in vista di una confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. – con riferimento alla somma di Euro 148.570.850,66 nell’ambito di un procedimento nel quale è stata ipotizzata la violazione concorrente dei delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato e dei reati fiscali di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 ed 8.

Avverso tale decisione, gli indagati hanno proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge penale e processuale ( art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. agli artt. 3, 24 e 27 Cost., artt. 322 ter e 125 c.p.p.).

Si fa, infatti, notare che, se è vero che, di norma, per l’emissione di misure cautelari reali non sono richiesti indizi di colpevolezza individualizzanti, è anche vero che, di norma, le altre misure cautelari vanno a colpire beni che in sè recano le stimmate della pericolosità perchè si tratta del corpo di reato ovvero di cose pertinenti al reato mentre, nel caso di sequestro per equivalente tale vincolo di pertinenzialità può essere anche del tutto assente.

Il che fa dubitare della legittimità costituzionale di una misura che va a colpire in via anticipata i beni di soggetti indagati in maniera del tutto svincolata dall’accertamento e del grado della loro effettiva responsabilità con conseguenze sul piano delle possibilità di difesa.

2) violazione di legge penale e processuale ( art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. agli artt. 15, 322 ter e 640 c.p. e art. 125 c.p.p.).

Quanto alla posizione di G. si contesta che la misura in discussione sia stata applicata con riferimento al capo 169 concernente una ipotesi di truffa aggravata pretermettendo tutto il dibattito in tema di possibilità di concorso di tale reato con le violazioni fiscali che, invece, si dovrebbe concludere in base al principio di specialità;

3) violazione di legge penale e processuale ( art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. all’art. 322 ter c.p. e art. 640 c.p. e art. 125 c.p.p.).

Si fa notare che a P. e Pe. è stata applicata la misura in discussione sulla base di due ipotesi criminose di cui ai capi 154 e 169 sono state che non li vede coinvolti direttamente.

Con memoria ex art. 127 c.p.p. depositata in data 5.5.11, la difesa degli indagati rammenta, in primo luogo, il contenuto della decisione di queste SS.UU. depositata il 19.1.11 con cui si è stabilita l’esistenza di un rapporto di specialità tra la fattispecie di cui all’art. 640 cpv c.p., n. 1 e quelle tributarie ( D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 ed 8) e si evidenzia il passaggio di questa sentenza nella quale si ammette il concorso tra i due delitti nella misura in cui sia riscontrabile un "ulteriore vantaggio o danno extratributario".

Un secondo passaggio della memoria richiama i punti 2 e 4 delle "osservazioni al p.v. di constatazione" redatte su avallo del P.M. da parte del custode delle società che fanno capo agli odierni ricorrenti e che amministra una parte dei beni sottoposti a custodia con i provvedimenti dei quali si discute. In tali punti, infatti, viene esclusa l’esistenza della c.d. "frode carosello" ipotizzata dai P.M. in quanto, al contrario, le vendite ai clienti finali delle merci transitate per società commerciali estere sono "oggettive, vere ed effettivamente avvenute" sì che eventuali irregolarità delle società britanniche ovvero delle c.d. cartiere non hanno alcuna connessione con la posizione fiscale delle società verificate facenti capo ai ricorrenti.

In ogni caso, quanto alla posizione del ricorrente P., si fa notare che il secondo provvedimento di sequestro del 26.5.09 – oggetto del presente ricorso – risulta ancorato ad ipotesi delittuose successive al 1.1.08 che non sono state contestate al P. e neppure a Pe.. In particolare, si sottolinea che lo stesso Tribunale per il Riesame, pronunciandosi su ricorso del P.M. in tema di misura cautelare personale, ha escluso che, nei confronti di P., fossero emersi elementi univoci circa la sua conoscenza delle operazioni illecite ipotizzate e, siccome tale pronunzia non è stata impugnata dal P.M., essa ha assunto il valore di giudicato cautelare.

Si ribadiscono, infine, le considerazioni già sviluppate nel ricorso a proposito della natura di misura cautelare anticipatoria degli effetti della sanzione penale del sequestro per equivalente e della conseguente necessità che essa sia compatibile con i principi di non colpevolezza previsti dalla Costituzione e della presunzione di innocenza di cui alla CEDU. I ricorrenti concludono per l’annullamento dell’ordinanza impugnata o, in subordine, in una messa in discussione della legittimità costituzionale dell’art. 322 ter c.p..

MOTIVI DELLA DECISIONE 2. – Il ricorso è fondato nei termini che vengono qui di seguito precisati.

2.1. Va, innanzitutto, precisato che la misura qui impugnata è sopraggiunta ad altra analoga emessa in data 9.5.09, nei confronti dei medesimi indagati per un importo altrettanto significativo e per ipotesi criminose dello stesso genere avverso la quale è stato proposto altro ricorso deciso da questa stessa sezione in data odierna nell’ambito del proc. 28576/09.

Dal momento che, sostanzialmente, le ragioni di doglianza sviluppate dai ricorrenti sono le medesime, questo collegio non può che ribadire quanto già affermato nella sentenza emessa nell’altro procedimento.

In particolare, si deve rammentare che il provvedimento del Tribunale è stato emesso prima della sentenza di queste Sezioni unite (28.10.10, Giordano, Rv. 248865). Esso, pertanto, si limita a dare atto della esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema del possibile concorso tra le ipotesi criminose formulate ma sottolinea che la stessa decisione apparentemente contraria al concorso – citata dalla difesa degli impugnati – non preclude in modo assoluto la possibilità che i due reati coesistano sottolineando, però, la necessità che, a tal fine, siano riscontrabili nella fattispecie elementi sintomatici di un obiettivo truffaldino esterno ed ulteriore rispetto all’illecito tributario che il Tribunale per il Riesame, nella specie ritiene di rinvenire (v. ff. 13 ord.) nelle peculiari modalità esecutive dei fatti in esame rappresentate, cioè;

1) nella costituzione di numerose società nel Regno Unito, in Svizzera e nelle Isole Vergini Britanniche;

2) nella richiesta e nel conseguimento, da parte di talune di tali società, di una partita Iva in Italia (secondo la procedura di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 17 e 35 ter);

3) nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di altre società estere che hanno effettuato operazioni imponibili Iva utilizzando partite Iva intestate a soggetti terzi inconsapevoli;

4) nell’interposizione delle citate società estere nel carosello fraudolento di "cartiere" e società "filtro", in quella di altre società e nell’intestazione delle quote di controllo delle S.p.a. italiane "destinatane finali" a società fiduciarie per conto di società di diritto inglese destinate ad occultare i reali titolari delle medesime;

5) nell’affidamento della rappresentanza legale di talune S.p.a. italiane "destinatane finali" a soggetti prestanome.

Il tema, ovviamente, è stato approfondito e puntualizzato dalla importante decisione di questa Corte a S.U. ove, però, e stato anche enunciato con chiarezza il principio di diritto secondo cui "i reati in materia fiscale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 8, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 1".

L’affermazione sopraggiunge all’esito di un’articolata riflessione sulle caratteristiche delle due fattispecie e si conclude con il rilievo che "ilo sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali".

Effettivamente, come accennato anche nella ordinanza impugnata, la predetta sentenza non chiude tutti gli spazi alla eventualità di un concorso tra i delitto di truffa ed il reato fiscale ma ciò solo con riferimento alle "ipotesi in cui dalla condotta di frode fiscale derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale", quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

Il principio, enunciato già anche in altre precedenti decisioni di questa S.C. (s.u. n. 27 del 2000, Sez. 2, 23.11.06, Bellavita, Rv.

235593; Sez. 3, 17.3.10, Lovison, Rv. 246968) non Sembra, però, avere trovato adeguata applicazione nel provvedimento impugnato visto che la predetta elencazione non appare nè esaurientemente approfondita nè univocamente sintomatica per i fini anticipati.

Ed infatti i pretesi elementi costitutivi della truffa (indicati, prima, dal Gip e, poi, dal Tribunale) sono esattamente quelli che portano alla integrazione delle fattispecie penal-tributarie contestate visto che, a ben vedere, la costituzione di diverse società in Paesi esteri, l’attribuzione a queste ultime di partita IVA, l’interposizione di tali società, quali cartiere, nello schema di "carosello" ipotizzato dalla Procura, altro non sono che gli stessi passaggi che consentono, da un lato, di considerare le fatture contestate come soggettivamente inesistenti e, dall’altro, di considerare evasa l’IVA da parte delle società destinatane finali della merce oggetto del giro di fatture contestato. Nè, di certo, è corretto considerare come atto di disposizione patrimoniale, qualificante la truffa, l’attribuzione della partita IVA alle società coinvolte nella pretesa truffa posto che si tratta di condotta che difficilmente può incidere sul patrimonio dell’Erario.

In realtà, deve essere chiaro che l’ulteriore evento di danno che il soggetto agente si rappresenta attraverso le condotte poste in essere non deve inerire esclusivamente al rapporto fiscale e, sul punto, è abbastanza evidente che l’approccio dei giudici di merito non è stato dei più specifici ed approfonditi avallando, in tal modo, le critiche mosse dal ricorrente nel secondo motivo e nella memoria.

E’ intuibile che, come rilevato anche dalle S.U. nella sentenza "Giordano" prima citata, la decisione impugnata abbia risentito in qualche modo della percezione della "inadeguatezza" della disciplina del D.Lgs. n. 74 del 2000, soprattutto, in considerazione della impossibilità di applicare la confisca per equivalente, prevista, invece, in relazione al reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 quater c.p.). Di certo, però, il lodevole intento di assicurare un efficace contrasto alle frodi fiscali non può mai giustificare l’adozione di una misura al di fuori dei casi consentiti e, come noto, solo con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (Legge Finanziaria 2008), è stata prevista la possibilità di applicare l’art. 322 ter c.p. anche alle ipotesi di frode fiscale penalmente rilevanti come quelle qui ipotizzate.

Peraltro, la decisione qui impugnata, risulta praticamente priva di motivazione in relazione alla valutazione della aggravante dell’associazione transnazionale ipotesi che viene solo sfiorata in motivazione e che, invece, se opportunamente approfondita, potrebbe costituire valida giustificazione per tenere conto anche dei reati fiscali antecedenti il 2008. 2.2. Puntualizzato tale aspetto, da ritenersi fondamentale ed assorbente (sì da avere invertito l’ordine di trattazione dei motivi), per quel che attiene alle restanti censure che il ricorrente muove con il ricorso in esame, con riferimento al primo ed al terzo motivo va ribadito – come fatto nell’ordinanza emessa nell’ambito dell’altro procedimento – che non sussiste nella specie alcuna violazione dei dettami costituzionali. Innanzitutto, perchè, la questione per come è stata prospettata, finirebbe per riguardare più in generale l’intero regime dei presupposti applicativi delle misure cautelari reali, secondariamente, perchè la proiezione di pericolosita che caratterizza nello specifico la misura del sequestro per equivalente deriva dal fatto che ciò che viene appreso è, per l’appunto, l’equivalente del profitto lucrato dal delitto; è dunque tale equivalenza che proietta sul bene la sua pericolosità sì che non è ravvisarle neppure alcuna lesione al diritto di difesa perchè la persona nei cui confronti si procede dovrà e, potrà, rispondere proprio sul collegamento tra il bene ed il profitto.

Nè valgono i dubbi avanzati con riferimento alla mancata "individualizzazione" della misura perchè è stato già ribadito anche dalla Consulta (C. cost. sent. n. 48/94) che il sistema delle misure cautelari reali prescinde da qualsiasi profilo di colpevolezza in quanto, in questi casi, la funzione cautelare non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso.

Analogamente infondata è la questione posta con riferimento alla possibilità che la misura cautelare in esame possa attingere ciascun concorrente per l’intero importo. Si tratta, infatti, di aspetto già valutato ed autorevolmente avallato da questa S.C. (su. 27.3.08, Fisia Italimpianti, Rv. 239926).

Nessun dubbio, invece, della necessità di applicare la misura a condotte poste in essere successivamente alla legge che consente il sequestro per equivalente. Ma è, per l’appunto, anche a tal fine che vi è ragione di annullamento dell’ordinanza impugnata stante la necessità di verificare funditus la sussistenza, a monte, di condotte criminose legittimanti e, nel caso (ovviamente), valutarne l’epoca di verificazione.

A tal fine, è anche opportuno sottolineare che, se è vero che, ai fini dell’applicazione del sequestro per equivalente, non occorrono gravi indizi di reità non può neppure ritenersi sufficiente la mera attribuzione ipotetica di un reato a taluno.

Pur non dovendosi estendere all’accertamento del merito dell’azione penale, la verifica sui presupposti per le misure cautelari reali non deve neanche risolversi in un mero controllo formale e cartolare ma, al contrario, deve essere "concreto" e condotto "secondo il parametro del "fumus" del reato ipotizzato" (sez. 1, 11.5.07, citarella, Rv.

236474; su., 23.2.00, Mariano, Rv. 215840) tanto è vero che – si soggiunge – il controllo può avvenire con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, "purchè di immediato rilievo" (v. anche Corte cost., ord. n. 153 del 2007).

Nello specifico, tra l’altro, non si rinviene adeguata replica alle concrete obiezioni del ricorrente che evidenzia – specie nella memoria (come sopra riassunto) – le peculiarità delle posizioni degli imputati Pe. e P..

Si impone, pertanto, un annualmente dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame alla luce dei rilievi fin qui formulati.
P.Q.M.

Visti l’art. 615 c.p.p., e ss.;

annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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