Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 13-06-2011, n. 23667 Violazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

indagati avv. RICCI LUCA, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’ordinanza impugnata ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso, in data 9.5.09, dal G.i.p. – in vista di una confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. – con riferimento alla somma di 132.573.776,47 Euro nell’ambito di un procedimento nel quale è stata ipotizzata la violazione, concorrente, dei delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato e dei reati fiscali di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 ed 8.

Avverso tale decisione, gli indagati hanno proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge penale e processuale (art. 606 c.p.p., lett. b), in rel. Agli artt. 15, 322 ter e 640 c.p., art. 125 c.p.p.). Si fa, infatti, notare che l’ordinanza del G.i.p. è fondata esclusivamente sulle contestazioni di truffa aggravata ai danni dello Stato ma che non è affatto pacifico il concorso tra tale figura criminosa ed i reati fiscali contestati che, invece, costituiscono fattispecie speciale e, come tale, assorbente.

In particolare, si fa notare che la possibilità di configurare una ipotesi di truffa accanto a fattispecie tributarie di rilievo penale può essere ammessa unicamente là dove la materialità della condotta tipica del reato fiscale vada ad inserirsi in una cornice più ampia, quale strumento per realizzare un obiettivo truffaldino esterno ed ulteriore rispetto all’illecito tributario, il quale ultimo costituisce, in tal modo, solo un ulteriore anello della truffa.

2) vizio di motivazione dal momento che, sebbene nell’istanza di riesame, fosse stata censurata l’assenza di riferimenti individualizzanti delle condotte ipotizzate e verso gli odierni ricorrenti, non si rinviene alcuna risposta nel provvedimento impugnato.

D’altro canto, proprio questa "impersonalità" induce a dubitare della stessa legittimità costituzionale della misura prevista dall’art. 322 ter c.p., posto che, per interpretazione della stessa Consulta (n. 97/09), la confisca per equivalente è caratterizzata dalla assenza di pericolosità dei beni che ne sono oggetto nonchè dall’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato ed i beni con il risultato che la misura in esame ha una natura eminentemente sanzionatoria.

In altri termini, la confisca per equivalente costituisce una vera e propria sanzione penale.

A tale stregua essa dovrebbe coordinarsi con i principi costituzionali: 1) della personalità della responsabilità penale (visto che va a colpire in via anticipata i beni di soggetti indagati in maniera del tutto svincolata dall’accertamento del grado di effettiva responsabilità); 2) del diritto di difesa (art. 24, comma 2) perchè la persona che patisce un sequestro per equivalente non può contestare nel merito la fondatezza del provvedimento; del principio di uguaglianza perchè, a differenza di altre misure cautelari, l’applicazione del sequestro per equivalente non deve essere basata su gravi indizi di colpevolezza e può anzi andare a colpire anche uno solo degli indagati a prescindere dal ruolo svolto nell’attività criminosa ipotizzata.

I ricorrenti concludono per l’annullamento dell’ordinanza impugnata o, in subordine, per una messa in discussione della legittimità costituzionale dell’art. 322 ter c.p..

Con memoria ex art. 127 c.p.p., depositata in data 5.5.11. la difesa degli indagati rammenta, in primo luogo, il contenuto della decisione di queste SS.UU. depositata il 19.1.11 con cui si è stabilita l’esistenza di un rapporto di specialità tra la fattispecie di cui all’art. 640 cpv. c.p., n. 1, e quelle tributarie (D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 ed 8) e si evidenzia il passaggio di questa sentenza nella quale si ammette il concorso tra i due delitti nella misura in cui sia riscontrabile un "ulteriore vantaggio o danno extratributario".

Un secondo passaggio della memoria richiama i punti 2 e 4 delle "osservazioni al p.v. di constatazione" redatte su avallo del P.M. da parte del custode delle società che fanno capo agli odierni ricorrenti e che amministra una parte dei beni sottoposti a custodia con i provvedimenti dei quali si discute. In tali punti, infatti, viene esclusa l’esistenza della c.d. "frode carosello" ipotizzata dai P.M. in quanto, al contrario le vendite ai clienti finali delle merci transitate per società commerciali estere sono "oggettive, vere ed effettivamente avvenute" sì che eventuali irregolarità delle società britanniche ovvero delle c.d. cartiere non hanno alcuna connessione con la posizione fiscale delle società verificate facenti capo ai ricorrenti.

Si ribadiscono, infine, le considerazioni già sviluppate nel ricorso a proposito della natura di misura cautelare anticipatoria degli effetti della sanzione penale del sequestro per equivalente e della conseguente necessità che essa sia compatibile con i principi di non colpevolezza previsti dalla Costituzione e della presunzione di innocenza di cui alla CEDU. 2. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato.

2.1. Il provvedimento del Tribunale – emesso prima della sentenza delle Sezioni unite (28.10.10, Giordano, Rv. 248865) si limita a dare atto della esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema del possibile concorso tra le ipotesi criminose formulate ma sottolinea che la stessa decisione apparentemente contraria al concorso – citata dalla difesa degli impugnati – non preclude in modo assoluto la possibilità che i due reati coesistano sottolineando, però, la necessità che, a tal fine, siano riscontrabili nella fattispecie elementi sintomatici di un obiettivo truffaldino esterno ed ulteriore rispetto all’illecito tributario.

Il tema, ovviamente, è stato approfondito e puntualizzato dalla importante decisione di questa Corte a S.U. ove, però, è stato anche enunciato con chiarezza il principio di diritto secondo cui 7 reati in materia fiscale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 8, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 1".

L’affermazione sopraggiunge all’esito di un’articolata riflessione sulle caratteristiche delle due fattispecie e si conclude con il rilievo che "il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali".

Effettivamente, come accennato anche nella ordinanza impugnata, la predetta sentenza non chiude tutti gli spazi alla eventualità di un concorso tra i delitto di truffa ed il reato fiscale ma ciò solo con riferimento alle "ipotesi in cui dalla condotta di frode fiscale derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale", quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

Il principio, enunciato già anche in altre precedenti decisioni di questa S.C. (su. n. 27 del 2000, Sez. 2^, 23.11.06, Bellavita, Rv.

235593; Sez. 3^, 17.3.10, Lovison, Rv. 246968) non Sembra, però, avere trovato adeguata applicazione nel provvedimento impugnato.

Secondo il Tribunale per il Riesame, indici del fatto che le condotte poste in essere fossero destinate, non solo, alla commissione di reati tributari, ma anche, a quella di truffe aggravate, sarebbero presenti ed individuabili:

1) nella costituzione di numerose società nel Regno Unito, in Svizzera e nelle Isole Vergini Britanniche;

2) nella richiesta e nel conseguimento, da parte di talune di tali società, di una partita Iva in Italia (secondo la procedura di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 17 e 35 ter);

3) nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di altre società estere che hanno effettuato operazioni imponibili Iva utilizzando partite Iva intestate a soggetti terzi inconsapevoli;

4) nell’interposizione delle citate società estere nel carosello fraudolento di "cartiere" e società "filtro", in quella di altre società e nell’intestazione delle quote di controllo delle S.p.a. italiane "destinatane finali" a società fiduciarie per conto di società di diritto inglese destinate ad occultare i reali titolari delle medesime;

5) nell’affidamento della rappresentanza legale di talune S.p.a. italiane "destinatane finali" a soggetti prestanome.

In realtà – come giustamente censura il ricorso in esame – la predetta elencazione non appare nè esaurientemente approfondita nè univocamente sintomatica per i fini anticipati.

Ed infatti, è corretta l’obiezione difensiva secondo cui i pretesi elementi costitutivi della truffa (indicati, prima, dal Gip. e, poi, dal Tribunale) sono esattamente quelli che portano alla integrazione delle fattispecie penal-tributarie contestate.

A ben vedere, la costituzione di diverse società in Paesi esteri, l’attribuzione a queste ultime di partita IVA, l’interposizione di tali società, quali cartiere, nello schema di "carosello" ipotizzato dalla Procura, altro non sono che gli stessi passaggi che consentono, da un lato, di considerare le fatture contestate come soggettivamente inesistenti e, dall’altro, di considerare evasa l’IVA da parte delle società destinatane finali della merce oggetto del giro di fatture contestato. Nè, di certo, è corretto considerare come atto di disposizione patrimoniale, qualificante la truffa, l’attribuzione della partita IVA alle società coinvolte nella pretesa truffa posto che si tratta di condotta che difficilmente può incidere sul patrimonio dell’Erario.

In realtà, deve essere chiaro che l’ulteriore evento di danno che il soggetto agente si rappresenta attraverso le condotte poste in essere non deve inerire esclusivamente al rapporto fiscale e, sul punto, è abbastanza evidente che l’approccio dei giudici di merito non è stato dei più specifici ed approfonditi avallando, in tal modo, le critiche mosse dal ricorrente nel primo motivo.

E’ intuibile che, come rilevato anche dalle S.U. nella sentenza "Giordano" prima citata, la decisione impugnata abbia risentito in qualche modo della percezione della "inadeguatezza" della disciplina del D.Lgs. n. 74 del 2000, soprattutto, in considerazione della impossibilità di applicare la confisca per equivalente, prevista, invece, in relazione al reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 quater c.p.). Di certo, però, il lodevole intento di assicurare un efficace contrasto alle frodi fiscali non può mai giustificare l’adozione di una misura al di fuori dei casi consentiti e, come noto, solo con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (Legge Finanziaria 2008), è stata prevista la possibilità di applicare l’art. 322 ter c.p. anche alle ipotesi di frode fiscale penalmente rilevanti come quelle qui ipotizzate.

Peraltro, la decisione qui impugnata, risulta praticamente priva di motivazione in relazione alla valutazione della aggravante dell’associazione transnazionale ipotesi che viene solo sfiorata in motivazione e che, invece, se opportunamente approfondita, potrebbe costituire valida giustificazione per tenere conto anche dei reati fiscali antecedenti il 2008. 2.2. Le conclusioni che precedono sono tanto più valide valutando le censure difensive di cui al secondo motivo.

Procedendo per gradi, deve, innanzitutto, dirsi che non sussiste nella specie alcuna violazione dei dettami costituzionali.

Innanzitutto, perchè, la questione per come è stata prospettata, finirebbe per riguardare più in generale l’intero regime dei presupposti applicativi delle misure cautelari reali, secondariamente, perchè la proiezione di pericolosità che caratterizza nello specifico la misura del sequestro per equivalente deriva dal fatto che ciò che viene appreso è, per l’appunto, l’equivalente del profitto lucrato dal delitto; è dunque tale equivalenza che proietta sul bene la sua pericolosità sì che non è ravvisabile neppure alcuna lesione al diritto di difesa perchè la persona nei cui confronti si procede dovrà e, potrà, rispondere proprio sul collegamento tra il bene ed il profitto.

Nè valgono i dubbi avanzati con riferimento alla mancata "individualizzazione" della misura perchè è stato già ribadito anche dalla Consulta (C. Cost. sent. n. 48/94) che il sistema delle misure cautelari reali prescinde da qualsiasi profilo di colpevolezza in quanto, in questi casi, la funzione cautelare non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso.

Analogamente infondata è la questione posta con riferimento alla possibilità che la misura cautelare in esame possa attingere ciascun concorrente per l’intero importo. Si tratta, infatti, di aspetto già valutato ed autorevolmente avallato da questa S.C. (su. 27.3.08, Fisia Italimpianti, Rv. 239926).

Nessun dubbio, invece, della necessità di applicare la misura a condotte poste in essere successivamente alla legge che consente il sequestro per equivalente. Ma è, per l’appunto, anche a tal fine che vi è ragione di annullamento dell’ordinanza impugnata stante la necessità di verificare funditus la sussistenza, a monte, di condotte criminose legittimanti e, nel caso (ovviamente), valutarne l’epoca di verificazione.

A tal fine, è anche opportuno sottolineare che, se è vero che, ai fini dell’applicazione del sequestro per equivalente, non occorrono gravi indizi di reità non può neppure ritenersi sufficiente la mera attribuzione ipotetica di un reato a taluno.

Pur non dovendosi estendere all’accertamento del merito dell’azione penale, la verifica sui presupposti per le misure cautelari reali non deve neanche risolversi in un mero controllo formale e cartolare ma, al contrario, deve essere "concreto" e condotto "secondo il parametro del "fumus" del reato ipotizzato" (sez. 1^, 11.5.07, Citarella, rv.

236474; su., 23.2.00, Mariano, Rv. 215840) tanto è vero che – si soggiunge – il controllo può avvenire con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, "purchè di immediato rilievo" (v. anche Corte cosi, ord. n. 153 del 2007).

Tutto ciò si ritiene doveroso sottolineare considerato che, al contrario, anche con riferimento a questo aspetto, il provvedimento risulta alquanto evasivo limitandosi a richiamare il provvedimento del G.i.p. che, a propria volta, richiama l’informativa di P.G. e relativi allegati e, quindi, risulta senza maggiori specificazioni per raccordare le emergenze investigative alle ipotesi criminose formulate nel concreto.

Si impone, pertanto, un annualmente dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame alla luce dei rilievi fin qui formulati.
P.Q.M.

Visto l’art. 615 c.p.p. e ss., annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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