Corte Costituzionale sentenza n. 299 SENTENZA 18 – 22 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 43 del 27-10-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, commi
1, 2, lettera h), e 3; 2; 3; 4, comma 4; 5, comma 1, lettere a) e b);
6, comma 1, lettere b) e c), 10, commi 5 e 6; 13; 14 e 15, comma 3,
della legge Regione Puglia 4 dicembre 2009, n. 32 (Norme per
l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati
in Puglia), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 5/11 febbraio 2010, depositato in cancelleria
l’11 febbraio 2010 ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
Udito nell’udienza pubblica del 21 settembre 2010 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
Uditi l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Tucci e Nicola
Colaianni per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 5/11 febbraio 2010, depositato
l’11 febbraio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere a),
b), h) ed l), della Costituzione, ed in relazione agli articoli 4, 5,
10, 10-bis, 11, 13, 14, 19 e 35 del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), questioni di legittimita’ costituzionale degli articoli
1, commi 1, 2, lettera h), e 3; 2; 3; 4, comma 4; 5, comma 1, lettere
a) e b); 6, comma 1, lettere b) e c); 10, commi 5 e 6; 13; 14 e 15,
comma 3, della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2009, n. 32
(Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli
immigrati in Puglia), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della
Regione Puglia del 7 dicembre 2009, n. 196.
2. – Il ricorrente premette che la legge della Regione Puglia n.
32 del 2009 reca norme per l’accoglienza, la convivenza civile e
l’integrazione degli immigrati e, all’art. 1, dispone che la Regione:
«concorre alla tutela dei diritti dei cittadini immigrati presenti
sul territorio regionale, attivandosi per l’effettiva realizzazione
dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutte le persone» (comma
1); realizza politiche regionali finalizzate a garantire i diritti
inviolabili degli stranieri presenti a qualunque titolo sul
territorio regionale e, tra l’altro, a «a) garantire i diritti umani
inviolabili degli stranieri presenti a qualunque titolo sul
territorio regionale», «c) garantire l’accoglienza e l’effettiva
inclusione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri
immigrati nel territorio regionale», «d) garantire pari opportunita’
di accesso e fruibilita’ dei servizi socio-assistenziali,
socio-sanitari, di conciliazione e dell’istruzione, per la qualita’
della vita», «e) promuovere la partecipazione alla vita pubblica
locale», «h) garantire la tutela legale, in particolare
l’effettivita’ del diritto di difesa, agli immigrati presenti a
qualunque titolo sul territorio della Regione» (comma 3).
Il successivo art. 2 prevede, genericamente, gli «immigrati»
quali destinatari degli interventi previsti dalla legge regionale;
l’art. 3 stabilisce che, allo scopo di perseguire le finalita’ di cui
all’art. 1, comma 3, la Regione promuove la realizzazione di un
sistema integrato di interventi e servizi per la piena integrazione
degli immigrati, orientato agli obiettivi prioritari indicati in
detta norma.
L’art. 4, comma 4, attribuisce alla Giunta regionale le funzioni
attinenti, tra l’altro, alla promozione di programmi in materia di
protezione e inclusione sociale (lettera a), alla promozione di
programmi di intervento per l’alfabetizzazione e l’accesso ai servizi
educativi, per l’istruzione e la formazione professionale, per
l’inserimento lavorativo e il sostegno ad attivita’ autonome
imprenditoriali, favorendo la piena integrazione istituzionale,
programmatica, finanziaria e organizzativa per la realizzazione di
tali interventi a livello regionale (lettera c), alla promozione di
iniziative di sostegno alla realizzazione dei progetti di vita degli
immigrati (lettera e).
L’art. 5, comma 1, della legge in esame disciplina i compiti
delle Province, ai fini dell’inserimento sociale degli immigrati,
disponendo che esse svolgono le seguenti funzioni: partecipare alla
definizione e attuazione dei piani di zona previsti dalla legge
Regione Puglia 10 luglio 2006, n. 19 (Disciplina del sistema
integrato dei servizi sociali per la dignita’ e il benessere delle
donne e degli uomini in Puglia), in materia di interventi sociali
rivolti ai cittadini stranieri immigrati, con compiti di
coordinamento, monitoraggio e supporto ai Comuni per la definizione
di specifici interventi sovra-ambito di valenza provinciale per
l’integrazione sociale dei cittadini stranieri (lettera a); favorire
la consultazione e la partecipazione alla vita sociale e
istituzionale e l’esercizio dei diritti politici da parte degli
immigrati (lettera b). Analoghi obiettivi sono fissati quali compiti
dei Comuni dall’art. 6, comma 1, lettere a) e b) (recte: lettere b) e
c), della legge regionale n. 32 del 2009.
Il citato art. 10 disciplina l’assistenza sanitaria disponendo,
al comma 5, che «la Regione, con la presente legge, individua le
modalita’ per garantire l’accesso alle cure essenziali e continuative
ai cittadini stranieri temporaneamente presenti (STP) non in regola
con le norme relative all’ingresso e al soggiorno».
L’art. 13 della legge in esame, concernente la formazione
professionale, dispone che «gli immigrati, compresi i richiedenti
asilo, hanno diritto alla formazione professionale in condizioni di
parita’ con gli altri cittadini», mentre l’art. 14 prevedrebbe
analogo diritto in riferimento all’inserimento lavorativo.
L’art. 15 della legge regionale n. 32 del 2009, avente ad oggetto
le politiche di inclusione sociale, stabilisce che la Regione Puglia
«si impegna a riservare, all’interno del piano regionale delle
politiche sociali, specifica attenzione alle condizioni di vita e
alle opportunita’ di integrazione e di inclusione sociale per gli
immigrati».
Secondo il ricorrente, siffatte norme prevedono una serie di
interventi volti, tra l’altro, a garantire l’accesso ai servizi,
socio-assistenziali, socio-sanitari, all’abitazione, all’istruzione,
alla formazione professionale, nonche’ il diritto di difesa,
garantendo altresi’ la partecipazione alla vita pubblica locale,
indicando i destinatari degli stessi, in modo generico, negli
«immigrati» (art. 2, comma 1), ovvero nei «cittadini immigrati
presenti sul territorio regionale» (art. 1, comma 1), oppure negli
stranieri «presenti a qualunque titolo sul territorio della regione»
(art. 1, comma 3, lettere a) ed h).
La lettera delle disposizioni, in considerazione della
genericita’ delle locuzioni adottate e della circostanza che altre
norme della legge regionale in esame (quali, ad esempio, gli artt.
10, commi 2 e 3; 14, comma 1; e 17, comma 1) si riferiscono
espressamente ai «cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nella
regione», indurrebbe a ritenere che detti interventi riguardino anche
gli immigrati privi di regolare permesso di soggiorno. Tuttavia,
l’ingresso, la permanenza e l’espulsione dei cittadini stranieri sono
stati compiutamente disciplinati dal d.lgs. n. 286 del 1998 e,
quindi, le norme regionali impugnate si porrebbero in contrasto con i
principi fondamentali da questo stabiliti, in particolare, negli
artt. 4, 5, 10, 11, 13 e 14, concernenti l’illegittimita’ del
soggiorno degli immigrati irregolari e la disciplina del
respingimento, dell’espulsione e della detenzione nei centri di
identificazione ed espulsione, nonche’ con l’art. 10-bis (introdotto
dall’art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante
«Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»), il quale configura
come reato la condotta dello straniero che faccia ingresso o si
trattenga nel territorio dello Stato, in violazione delle norme di
detto decreto legislativo.
Dunque, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, le
norme regionali impugnate violerebbero l’art. 117, secondo comma,
lettere a) e b), Cost., in relazione alle materie «diritto di asilo e
condizione giuridica dei cittadini non appartenenti all’Unione
Europea» e dell’«immigrazione», nonche’ lettere h) e l), Cost.,
poiche’ «disciplinano e in qualche modo agevolano la permanenza sul
territorio nazionale di cittadini extracomunitari», i quali «non solo
non avrebbero titolo a soggiornare ma, una volta sul territorio
nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente». Peraltro, gli
artt. 19 e 35 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevedono alcune deroghe a
detta disciplina che, costituendo misure eccezionali, sarebbero
tassative ed insuscettibili di applicazione per analogia.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la Regione non
potrebbe emanare norme in detti ambiti e, comunque, non potrebbe
prevedere interventi diretti al riconoscimento, ovvero all’estensione
di diritti in favore dell’immigrato irregolare o in attesa di
regolarizzazione e neppure stabilire, mediante «regimi di deroga non
previsti dalla normativa statale, casi diversi ed ulteriori di non
operativita’ della regola generale ovvero la condizione di
illegittimita’ e di autore di reato dell’immigrato irregolare». Il
d.lgs. n. 286 del 1998 attribuisce, infatti, alcuni compiti alle
Regioni, ferma la competenza esclusiva dello Stato per tutto quanto
attiene al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri
sul territorio nazionale, con la conseguenza che la Regione non
potrebbe emanare norme che, agevolando il soggiorno sul territorio
nazionale da parte di immigrati irregolari, influiscono su detti
profili.
2.1. – Il ricorrente deduce, inoltre, distintamente,
l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge
regionale in esame, il quale, disponendo che le norme della stessa
«si applicano, qualora piu’ favorevoli, anche ai cittadini
neocomunitari», disciplinerebbe una materia attribuita alla
competenza dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
lettere a) e b), Cost., concernente i «rapporti dello Stato con
l’Unione europea».
La previsione della norma impugnata era, infatti, gia’ contenuta
nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, sostituito
dall’art. 37, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, il quale ora dispone: «Il presente testo unico non si applica ai
cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo quanto
previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario».
2.2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed l),
Cost., l’art. 10, commi 5 e 6, della legge regionale in esame, avente
ad oggetto la disciplina dell’assistenza sanitaria, esponendo che il
comma 5 dispone che «la Regione, con la presente legge, individua le
modalita’ per garantire l’accesso alle cure essenziali e continuative
ai cittadini stranieri temporaneamente presenti (STP) non in regola
con le norme relative all’ingresso e al soggiorno»; il comma 6
stabilisce che «ai cittadini comunitari presenti sul territorio
regionale che non risultano assistiti dallo Stato di provenienza,
privi dei requisiti per l’iscrizione al SSR e che versino in
condizioni di indigenza, sono garantite le cure urgenti, essenziali e
continuative».
Ad avviso del ricorrente, siffatta norma si porrebbe in contrasto
con il principio stabilito dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 286
del 1998, in virtu’ del quale «ai cittadini stranieri presenti sul
territorio nazionale, non in regola con le norme relative
all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate» unicamente «le cure
ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche’
continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di
medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e
collettiva».
La disposizione in esame violerebbe, quindi, la competenza
regionale in materia di tutela della salute, nella parte in cui fa
riferimento a prestazioni sanitarie ulteriori rispetto a quelle
strettamente essenziali, indicate dalla disciplina statale, quali, ad
esempio, l’erogazione dell’assistenza farmaceutica con oneri a carico
del Servizio sanitario nazionale (SSN) e la previsione della libera
scelta del medico di base (art. 10, comma 5, lettere b) e c).
2.3. – Il ricorrente censura, altresi’, l’art. 15, comma 3, della
legge regionale in esame, il quale stabilisce che, «d’intesa con il
Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la
Regione programma interventi diretti a rimuovere gli ostacoli che
limitano l’accesso agli istituti previsti dall’ordinamento in
alternativa o in sostituzione della pena detentiva, nonche’ ai
permessi premio ex articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), come inserito dall’articolo 9
della legge 10 ottobre 1986, n. 663 e da ultimo modificato
dall’articolo 2, comma 27, lettera b), della legge 15 luglio 2009, n.
94».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, non sarebbe chiaro
cosa debba intendersi per «interventi diretti alla rimozione degli
ostacoli che limitano l’accesso agli istituti» sopra indicati e,
comunque, la norma concernerebbe l’ordinamento penitenziario,
riconducibile all’ordinamento penale, materia di competenza dello
Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost.,
disciplinata dalla legge n. 354 del 1975.
2.4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, infine,
l’illegittimita’ costituzionale del citato art. 1, comma 2, lettera
h), il quale dispone che la Regione, nell’ambito delle proprie
competenze, concorre all’attuazione, in particolare, dei principi
espressi «dalla Convenzione internazionale per la protezione dei
diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie,
approvata il 18 dicembre 1990 dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite ed entrata in vigore il 1° luglio 2003».
A suo avviso, poiche’ tale Convenzione non e’ stata ancora
ratificata dallo Stato, detta norma violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera a), Cost., che attribuisce alla competenza esclusiva
dello Stato la materia «politica estera e rapporti internazionali».
3. – Nel giudizio si e’ costituita la Regione Puglia, in persona
del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, chiedendo, anche
nella memoria depositata in prossimita’ dell’udienza pubblica, che le
questioni siano dichiarate inammissibili ed infondate.
La Regione, dopo avere sintetizzato il contenuto delle norme
impugnate e delle censure proposte dal ricorrente, sostiene che la
legge regionale in esame non attribuirebbe agli stranieri, in
particolare a quelli irregolarmente presenti nel nostro Paese,
diritti incompatibili con la condizione giuridica fissata dal
legislatore statale, ma sarebbe diretta ad agevolare la realizzazione
dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione e dalle leggi
statali, stabilendo finalita’ che concernono anche detti stranieri
«solo se e nella misura in cui […] possono realizzarsi nel rispetto
della vigente disciplina migratoria», come e’ reso chiaro dalla
clausola di compatibilita’ recata dall’art. 2, comma 4, di detta
legge. Le norme impugnate mirano, quindi, a coordinare interventi
riconducibili a materie di competenza regionale (istruzione, tutela
della salute, tutela e sicurezza del lavoro, promozione ed attivita’
culturale), che possono riguardare anche cittadini non italiani.
In riferimento ai richiedenti asilo, dopo avere sintetizzato la
relativa disciplina, la Regione deduce che gli interventi che li
riguardano concernerebbero esclusivamente quelli di essi che sono
titolari di un permesso che permette lo svolgimento di attivita’
lavorativa, mentre interventi in favore degli stranieri sono previsti
anche dalla legge regionale n. 19 del 2006, che non ha costituito
oggetto d’impugnazione.
Ad avviso della Regione, la competenza dello Stato nelle materie
«condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all’Unione europea» ed «immigrazione» non escluderebbe il potere
delle Regioni di emanare norme che, in ambiti riservati alla loro
competenza, possono avere quali destinatari anche cittadini non
italiani. D’altronde, l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998,
stabilendo che nelle materie attribuite alla competenza delle Regioni
le disposizioni di detto decreto legislativo costituiscono «principi
fondamentali», conforterebbe siffatta conclusione, peraltro affermata
anche da questa Corte (sentenze n. 300 del 2005 e n. 379 del 2004).
3.1. – Secondo la resistente, l’esame delle singole censure deve
tenere conto che la legge regionale di cui si tratta richiama i
diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione
(art. 1, comma 1), dispone che la Regione Puglia opera
nell’osservanza delle proprie competenze (art. 1, comma 2), ed e’
stata emanata all’esito di una lunga ed articolata concertazione con
le altre istituzioni, con le parti sociali e con le organizzazioni
sindacali. A suo avviso, molte delle attivita’ previste dalle norme
impugnate, quali «quelle connesse alle prestazioni sanitarie, quelle
connesse all’area penale esterna, quelle afferenti all’area della
formazione professionale», sarebbero strumentali alle competenze
regionali, tenuto conto anche che nei centri di permanenza e negli
istituti penitenziari sono svolte attivita’ non riconducibili
soltanto all’ordine pubblico o alla sicurezza, in relazione alle
quali sussiste almeno un «interesse regionale», riconosciuto
dall’art. 118, terzo comma, Cost., che demanda ad una legge dello
Stato la previsione di «forme di coordinamento» per queste materie.
La legge regionale in esame costituirebbe lo strumento per il
recepimento delle modifiche introdotte nel d.lgs. n. 286 del 1998 e,
appunto per questo, l’art. 2, comma 4, della medesima, dispone che
«gli interventi regionali sono attuati in conformita’ al testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero, emanato con decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286», con previsione rilevante
nell’interpretazione delle disposizioni in essa contenute.
In riferimento alla denunciata violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettere h) ed l), Cost., l’infondatezza delle censure
conseguirebbe alla circostanza che la tutela dei diritti
fondamentali, sino a quando non siano attuati il respingimento o
l’espulsione, non comporta un’agevolazione della permanenza
irregolare.
La Regione Puglia si sofferma, poi, ad esaminare l’ipotesi di
reato prevista dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 e deduce
che «l’obbligo di persecuzione penale non e’ affatto indefettibile» e
che la norma prevedrebbe «una pena priva di effettivita’». In ogni
caso, a suo avviso, le misure di tutela previste dalle disposizioni
impugnate con il primo motivo «non esonerano dall’obbligo di denuncia
dell’ipotesi di reato e quindi non sono incompatibili con la
persecuzione penale». La resistente prospetta, infine, che l’art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 violerebbe gli artt. 3, 25 e 27
Cost., chiedendo che, qualora detta norma sia ritenuta rilevante ai
fini della decisione delle censure, la Corte ne sollevi davanti a se’
questione di legittimita’ costituzionale, nella parte in cui, in
violazione di detti parametri costituzionali, prevede come reato
l’ingresso ed il soggiorno illegale dello straniero nel territorio
dello Stato.
3.2. – In riferimento alle censure concernenti specificamente il
comma 1 dell’art. 2 della legge regionale in esame, la resistente
deduce che detta norma avrebbe «inteso evitare "discriminazioni a
rovescio"», e la diminuzione delle garanzie in favore dei cittadini
comunitari, di cui questi godevano come cittadini extracomunitari,
che sarebbe stata, invece, realizzata dall’art. 37, comma 2, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che
ha modificato l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale
ora stabilisce che «il presente testo unico non si applica ai
cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo quanto
previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario», ha
abrogato quella che era «una vera e propria clausola di protezione».
La Regione Puglia, «in via incidentale e ad ulteriore supporto
della legittimita’ costituzionale», della norma regionale in esame,
«solleva questione di legittimita’ costituzionale» del citato art.
37, comma 2, in riferimento al principio di ragionevolezza» (art. 3
Cost.).
3.3. – La Regione, nell’esaminare le censure concernenti il
citato art. 10, commi 5 e 6, svolge un’ampia esposizione relativa
anche a norme non impugnate dal ricorrente.
In particolare, in relazione ai commi 1 e 2 di detta norma, la
Regione deduce che gli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 286 del 1998 e gli
artt. 42 e 43 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto
1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) disciplinano
l’assistenza sanitaria in favore dei cittadini non italiani che
soggiornano nel territorio dello Stato – prevista anche a garanzia
della collettivita’ e dell’incolumita’ dei cittadini italiani –
distinguendo tra quelli iscritti e non iscritti al SSN, ovvero che
fanno ingresso nel nostro Paese per ragioni di cura. In riferimento
all’art. 10, comma 3, della legge regionale in esame, avente ad
oggetto l’iscrizione volontaria al Servizio sanitario regionale
(SSR), ricorda che le norme statali prevedono che gli stranieri non
obbligatoriamente iscritti al Servizio sanitario nazionale (SSN) sono
tenuti ad assicurarsi contro il rischio di malattia ed infortunio e
per la maternita’ (art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, art.
42, comma 6, del d.P.R. n. 394 del 1999).
Il citato art. 10, comma 5, individua, invece, «le modalita’ per
garantire l’accesso alle cure essenziali e continuative ai cittadini
stranieri temporaneamente presenti (STP) non in regola con le norme
relative all’ingresso e al soggiorno»; il comma 6, dispone che «ai
cittadini comunitari presenti sul territorio regionale che non
risultano assistiti dallo Stato di provenienza, privi dei requisiti
per l’iscrizione al SSR e che versino in condizioni di indigenza,
sono garantite le cure urgenti, essenziali e continuative attraverso
l’attribuzione del codice ENI (europeo non in regola)», prevedendo
che «le modalita’ per l’attribuzione del codice ENI e per l’accesso
alle prestazioni, sono le medesime innanzi individuate per gli STP».
Gli artt. 35, commi 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e 43,
commi 2, 3, 4, 5 ed 8 del d.P.R. n. 394 del 1999 disciplinano
l’assistenza sanitaria in favore degli stranieri non in regola con le
norme in materia di ingresso e soggiorno, ai quali sono, altresi’,
applicabili le disposizioni del decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
Secondo la Regione Puglia, l’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 394
del 1999 dispone che, in sede di prima erogazione dell’assistenza, la
prescrizione e la registrazione delle prestazioni sono effettuate,
assegnando un codice regionale, identificato con la sigla STP
(straniero temporaneamente presente), mentre l’art. 35, comma 5, del
d.lgs. n. 286 del 1998, stabilisce che l’accesso alle strutture del
SSN da parte dello straniero non in regola con la disciplina in
materia di ingresso e soggiorno in Italia non deve comportare nessuna
segnalazione all’autorita’ di pubblica sicurezza, salvo i casi nei
quali sia obbligatorio il referto, a parita’ di condizioni con il
cittadino italiano, divieto di segnalazione non abrogato a seguito
dell’introduzione del reato dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998. Infine, a suo avviso, la disposizione relativa all’attribuzione
del codice ENI (europeo non in regola) sarebbe stata introdotta per
ottemperare alle indicazioni fornite dal Ministero della salute con
nota del 19 febbraio 2008, che richiedeva la definizione di idonee
procedure dirette a garantire le «cure essenziali» anche ai cittadini
europei presenti sul territorio.
3.4. – Secondo la resistente, le censure concernenti l’art. 15,
comma 3, della legge regionale in esame, sarebbero infondate, poiche’
tale norma non interferirebbe nella materia «ordinamento penale», ma
prevedrebbe soltanto «che la Regione, nell’ambito dei propri poteri
d’indirizzo e nei limiti delle proprie competenze programmatorie,
individua, d’intesa con le autorita’ competenti sul territorio, le
modalita’ organizzative piu’ idonee alla gestione di alcuni servizi
sul territorio».
3.5. – La Regione Puglia deduce, infine, l’infondatezza delle
censure riferite all’art. 1, comma 2, lettera h), della legge
regionale n. 32 del 2009, osservando, in primo luogo, che tale norma
fa «espresso riferimento al limite della competenza regionale»; in
secondo luogo, che la Convenzione oggetto della medesima non e’
richiamata dettagliatamente, dato che la disposizione si limita a
fare riferimento ai «principi» nella stessa contenuti, gia’ recepiti
nel nostro ordinamento, sia in quanto compresi nel diritto
internazionale consuetudinario, oggetto di adattamento automatico, ai
sensi dell’art. 10 Cost., sia in quanto coincidono «con altri
obblighi internazionali convenzionali e, in particolare, con la
Convenzione OIL» e con il protocollo addizionale della Convenzione
delle Nazioni Unite contro la criminalita’ organizzata transnazionale
per combattere il traffico dei migranti, sottoscritta a Palermo il
12-15 dicembre 2000. In particolare, l’art. 16 di detto protocollo
obbliga gli Stati a fornire un’assistenza adeguata ai migranti la cui
vita o incolumita’ e’ in pericolo, in quanto oggetto delle condotte
dell’art. 6. In definitiva, l’obbligo di fornire tale assistenza
sarebbe conforme all’art. 117, primo comma, Cost., che impone alle
Regione di esercitare la potesta’ legislativa nel rispetto dei
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, come sarebbe
accaduto nel caso in esame.
3.6. – La Regione Puglia, nella memoria depositata in prossimita’
dell’udienza pubblica ha reiterato le argomentazioni svolte nell’atto
di costituzione, deducendo, altresi’, che questa Corte, con la
sentenza n. 269 del 2010 ha dichiarato in parte inammissibili, in
parte infondate, le censure aventi ad oggetto alcune norme della
legge della Regione Toscana 9 giugno 2009, n. 29 (Norme per
l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini
stranieri nella Regione Toscana), sostanzialmente coincidenti con
quelle in esame.
A suo avviso, la legge regionale in esame non attribuisce agli
stranieri, tantomeno a quelli irregolari, diritti incompatibili con
la condizione giuridica loro delineata dal legislatore statale, ma
mira soltanto ad agevolare la realizzazione dei diritti loro
riconosciuti dalla Costituzione e dalle altre norme statali. Le
finalita’ stabilite dalle norme censurate sono, quindi, riferibili
agli stranieri irregolari soltanto nella misura in cui i relativi
interventi siano realizzabili nel rispetto della disciplina in
materia di immigrazione, come risulta dall’art. 2, comma 4, della
legge regionale, in esame, in virtu’ del quale «gli interventi
regionali sono attuati in conformita’ al testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, emanato con decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286, e successive modifiche».
4. – All’udienza pubblica, il ricorrente e la resistente hanno
insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese
scritte.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato
il 5/11 febbraio 2010, depositato l’11 febbraio 2010, ha promosso, in
riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed
l), della Costituzione, ed in relazione agli articoli 4, 5, 10,
10-bis, 11, 13, 14, 19 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero),
questioni di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, commi 1,
2, lettera h), e 3; 2; 3; 4, comma 4; 5, comma 1, lettere a) e b); 6,
comma 1, lettere b) e c); 10, commi 5 e 6; 13; 14 e 15, comma 3,
della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2009, n. 32 (Norme per
l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati
in Puglia), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia
del 7 dicembre 2009, n. 196.
2. – Il ricorrente, con un primo gruppo di censure, dubita della
legittimita’ costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 3; 2; 3; 4,
comma 4; 5, comma 1, lettere a) e b); 6, comma 1, lettere b) e c);
10, comma 5; 13 e 14 della legge della Regione Puglia n. 32 del 2009
(benche’ siano menzionati anche l’art. 10, comma 5, e l’art. 15,
tuttavia, la prima norma, unitamente al comma 6, e’ stata impugnata
specificamente soltanto con le distinte censure sintetizzate di
seguito nel paragrafo 2.1.; la seconda ha, invece, costituito oggetto
di impugnazione limitatamente al comma 3, con le censure esaminate
infra, nel paragrafo 4.1.).
In linea preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri
sintetizza il contenuto delle norme e deduce che, in virtu’ del
citato art. 1, la Regione: «concorre alla tutela dei diritti dei
cittadini immigrati presenti sul territorio regionale, attivandosi
per l’effettiva realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale
di tutte le persone» (comma 1); realizza politiche regionali
finalizzate a garantire i diritti inviolabili degli stranieri
presenti a qualunque titolo sul territorio regionale e, tra l’altro,
a «a) garantire i diritti umani inviolabili degli stranieri presenti
a qualunque titolo sul territorio regionale», «c) garantire
l’accoglienza e l’effettiva inclusione sociale delle cittadine e dei
cittadini stranieri immigrati nel territorio regionale», «d)
garantire pari opportunita’ di accesso e fruibilita’ dei servizi
socio-assistenziali, socio-sanitari, di conciliazione e
dell’istruzione, per la qualita’ della vita», «e) promuovere la
partecipazione alla vita pubblica locale», «h) garantire la tutela
legale, in particolare l’effettivita’ del diritto di difesa, agli
immigrati presenti a qualunque titolo sul territorio della Regione»
(comma 3).
A suo avviso, l’art. 2 indica genericamente gli «immigrati»,
quali destinatari degli interventi previsti dalla legge regionale,
mentre l’art. 3 stabilisce che, allo scopo di perseguire le finalita’
di cui all’art. 1, comma 3, la Regione promuove «la realizzazione di
un sistema integrato di interventi e servizi per la piena
integrazione degli immigrati in Puglia». L’art. 4, comma 4,
attribuisce, poi, alla Giunta regionale le funzioni attinenti, tra
l’altro: alla promozione di programmi in materia di protezione e
inclusione sociale (lettera a); alla promozione di programmi di
intervento per l’alfabetizzazione e l’accesso ai servizi educativi,
per l’istruzione e la formazione professionale, per l’inserimento
lavorativo e il sostegno ad attivita’ autonome imprenditoriali,
favorendo la piena integrazione istituzionale, programmatica,
finanziaria e organizzativa per la realizzazione di tali interventi a
livello regionale (lettera c); alla promozione di iniziative di
sostegno alla realizzazione dei progetti di vita degli immigrati
(lettera e).
Il citato art. 5, comma 1, lettere a) e b), disciplina i compiti
delle Province, ai fini dell’inserimento sociale degli immigrati,
disponendo che esse svolgono le seguenti funzioni: partecipare alla
definizione e attuazione dei piani di zona previsti dalla legge
Regione Puglia 10 luglio 2006, n. 19 (Disciplina del sistema
integrato dei servizi sociali per la dignita’ e il benessere delle
donne e degli uomini in Puglia), in materia di interventi sociali
rivolti ai cittadini stranieri immigrati, con compiti di
coordinamento, monitoraggio e supporto ai Comuni per la definizione
di specifici interventi sovra-ambito di valenza provinciale per
l’integrazione sociale dei cittadini stranieri (lettera a); favorire
la consultazione e la partecipazione alla vita sociale e
istituzionale e l’esercizio dei diritti politici da parte degli
immigrati (lettera b).
L’art. 6, comma 1, lettere a) e b) (recte: art. 6, comma 1,
lettere b) e c), giacche’, nonostante il riferimento nella parte
motiva del ricorso alle lettere a) e b), le prime sono indicate nella
premessa di tale atto ed e’ a queste che il ricorrente ha chiaramente
inteso fare riferimento, in armonia con l’indicazione contenuta in
tal senso nella delibera del Consiglio dei ministri, che ha disposto
l’impugnazione), della legge regionale in esame disciplina i compiti
affidati ai Comuni al fine di favorire la consultazione e la
partecipazione alla vita sociale e istituzionale e l’esercizio dei
diritti politici, in ambito comunale o zonale, da parte degli
immigrati, e di programmare e realizzare progetti di integrazione dei
medesimi.
L’impugnato art. 10 disciplina l’assistenza sanitaria disponendo,
al comma 5, che «la Regione, con la presente legge, individua le
modalita’ per garantire l’accesso alle cure essenziali e continuative
ai cittadini stranieri temporaneamente presenti (STP) non in regola
con le norme relative all’ingresso e al soggiorno»; l’art. 13,
concernente la formazione professionale, stabilisce, invece, che «gli
immigrati, compresi i richiedenti asilo, hanno diritto alla
formazione professionale in condizioni di parita’ con gli altri
cittadini» e l’art. 14 prevedrebbe analogo diritto in riferimento
all’inserimento lavorativo.
Il ricorrente deduce, infine, che l’art. 15 della legge regionale
in esame, avente ad oggetto le politiche di inclusione sociale,
dispone che la Regione si impegna a riservare, all’interno del piano
regionale delle politiche sociali, specifica attenzione alle
condizioni di vita e alle opportunita’ di integrazione e di
inclusione sociale per gli immigrati.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, dette norme
violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed l),
Cost., nonche’ i principi fondamentali enunciati dagli artt. 4, 5,
10, 10-bis, 11, 13, 14, 19 e 35, del d.lgs. n. 286 del 1998. A suo
avviso, la formula lessicale, in particolare, dei citati artt. 1,
commi 1 e 3, lettere a) ed h), e 2, comma 1, indurrebbe, infatti, a
ritenere che gli interventi ivi previsti riguardano anche gli
immigrati privi di regolare permesso di soggiorno, poiche’
«disciplinano e in qualche modo agevolano la permanenza sul
territorio nazionale di cittadini extracomunitari», i quali «non solo
non avrebbero titolo a soggiornare ma, una volta sul territorio
nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente». Inoltre, la
Regione non potrebbe predisporre «interventi volti al riconoscimento
o all’estensione di diritti in favore dell’immigrato irregolare o in
attesa di regolarizzazione» e neppure stabilire, mediante «regimi di
deroga non previsti dalla normativa statale, casi diversi ed
ulteriori di non operativita’ della regola generale ovvero la
condizione di illegittimita’ e di autore di reato dell’immigrato
irregolare».
2.1. – Il ricorrente impugna, poi, distintamente anche l’art. 10,
commi 5 e 6, della legge regionale in esame, svolgendo censure che
vanno esaminate congiuntamente con quelle dianzi sintetizzate.
Siffatta disposizione ha ad oggetto la disciplina dell’assistenza
sanitaria e stabilisce: «la Regione, con la presente legge, individua
le modalita’ per garantire l’accesso alle cure essenziali e
continuative ai cittadini stranieri temporaneamente presenti (STP)
non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno»
(comma 5); «ai cittadini comunitari presenti sul territorio regionale
che non risultano assistiti dallo Stato di provenienza, privi dei
requisiti per l’iscrizione al SSR e che versino in condizioni di
indigenza, sono garantite le cure urgenti, essenziali e continuative»
(comma 6).
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la norma recherebbe
vulnus all’art. 117, secondo comma, lettere a), b), h) ed l), Cost.,
ponendosi in contrasto con il principio fissato dall’art. 35, comma
3, del d.lgs. n. 286 del 1998, in virtu’ del quale «ai cittadini
stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le
norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate»
unicamente «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque
essenziali, ancorche’ continuative, per malattia ed infortunio e sono
estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute
individuale e collettiva». Siffatta disposizione, in violazione della
competenza regionale in materia di tutela della salute, farebbe,
infatti, riferimento a prestazioni sanitarie ulteriori rispetto a
quelle strettamente essenziali, indicate dalla disciplina statale,
quali, ad esempio, l’erogazione dell’assistenza farmaceutica con
oneri a carico del Servizio sanitario nazionale e la previsione della
libera scelta del medico di base.
2.2. – In via preliminare, la sintesi del primo gruppo di censure
rende palese che il ricorrente, dopo avere trascritto, in parte, le
disposizioni regionali con esse impugnate, ne ha dedotto
l’illegittimita’ costituzionale esclusivamente in quanto, a suo
avviso, esse sarebbero applicabili (soprattutto in virtu’ della
formula lessicale dei citati artt. 1, commi 1 e 3, lettere a ed h e
2, comma 1) «anche ai cittadini stranieri privi di regolare permesso
di soggiorno», i quali «non solo non avrebbero titolo a soggiornare,
ma, una volta sul territorio nazionale, dovrebbero essere perseguiti
penalmente». Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, dette norme
violerebbero i parametri evocati, poiche’ «incidono sulla disciplina
dell’ingresso e del soggiorno degli immigrati» e prevedono
«interventi volti al riconoscimento o all’estensione di diritti in
favore dell’immigrato irregolare o in attesa di regolarizzazione».
Pertanto, benche’ tali norme regolino molteplici e non omogenei
interventi – quali, tra gli altri, quelli diretti a «garantire
l’accoglienza e l’inclusione sociale» degli immigrati e la loro
«partecipazione alla vita pubblica locale (art. 1, comma 3, lettere c
ed e) – riconducibili a differenti ambiti materiali, le uniche
specifiche censure proposte riguardano dette disposizioni
esclusivamente nella parte in cui sarebbero riferibili agli immigrati
non in regola con il permesso di soggiorno, nonche’ l’art. 1, comma
3, lettera h), e cio’ in virtu’ dell’ampio riferimento al parametro
dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; conseguentemente, e’
soltanto entro questi termini e limiti che esse possono qui
costituire oggetto di scrutinio.
2.2.1. – Identificato l’ambito del sindacato al quale vanno
sottoposte le disposizioni impugnate, va ricordato che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, deve essere riconosciuta la
possibilita’ di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al
fenomeno dell’immigrazione, per come previsto dall’art. 1, comma 4,
del d.lgs. n. 286 del 1998, fermo restando che «tale potesta’
legislativa non puo’ riguardare aspetti che attengono alle politiche
di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel
territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio o
all’assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e
residuale delle Regioni» (sentenza n. 134 del 2010). L’intervento
pubblico concernente gli stranieri non puo’, infatti, limitarsi al
controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio
nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti –
dall’assistenza sociale all’istruzione, dalla salute all’abitazione –
che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite
allo Stato, altre alle Regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del
2005).
Lo straniero e’ «titolare di tutti i diritti fondamentali che la
Costituzione riconosce spettanti alla persona» (sentenza n. 148 del
2008). Inoltre, esiste «un nucleo irriducibile del diritto alla
salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della
dignita’ umana, il quale impone di impedire la costituzione di
situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare
l’attuazione di quel diritto». Quest’ultimo diritto deve percio’
essere riconosciuto «anche agli stranieri, qualunque sia la loro
posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno
nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalita’
di esercizio dello stesso» (sentenza n. 252 del 2001).
Il legislatore statale, con il d.lgs. n. 286 del 1998, ha
recepito tale impostazione, statuendo, in relazione all’assistenza
sanitaria, soprattutto all’art. 35, comma 3, che «ai cittadini
stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le
norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei
presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere
urgenti o comunque essenziali, ancorche’ continuative, per malattia
ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a
salvaguardia della salute individuale e collettiva», assicurando
altresi’ la tutela sociale della gravidanza e della maternita’, a
parita’ di trattamento con le cittadine italiane, la tutela della
salute del minore, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi
internazionale, la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie
infettive ed eventualmente bonifica dei relativi focolai. L’art. 43,
commi da 2 ad 8, del d.P.R. n. 394 del 1999, disciplina, in
dettaglio, le modalita’ di erogazione delle prestazioni previste dal
citato art. 35, comma 3, disponendo, al comma 8, che «le regioni
individuano le modalita’ piu’ opportune per garantire che le cure
essenziali e continuative previste dall’articolo 35, comma 3, del
testo unico, possono essere erogate nell’ambito delle strutture della
medicina del territorio o nei presidi sanitari, pubblici e privati
accreditati, strutturati in forma poliambulatoriale od ospedaliera,
eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi
esperienza specifica».
Questa Corte, nello scrutinare le norme di una legge regionale
che pure facevano riferimento alla tutela di diritti fondamentali
degli immigrati, eventualmente non in regola con il permesso di
soggiorno, ha, quindi, escluso che esse rechino vulnus alle
competenze legislative dello Stato, poiche’, «in attuazione dei
principi fondamentali posti dal legislatore statale in tema di tutela
della salute», esse provvedono «ad assicurare anche agli stranieri
irregolari le fondamentali prestazioni sanitarie ed assistenziali
atte a garantire il diritto all’assistenza sanitaria, nell’esercizio
della propria competenza legislativa, nel pieno rispetto di quanto
stabilito dal legislatore statale in tema di ingresso e soggiorno in
Italia dello straniero, anche con riguardo allo straniero dimorante
privo di un valido titolo di ingresso» (sentenza n. 269 del 2010).
2.2.2. – Nel quadro di tali principi, la questione concernente il
citato art. 1, comma 3, lettera h), e’ fondata.
La norma stabilisce, infatti, che le politiche della Regione sono
finalizzate, tra l’altro, «a garantire la tutela legale, in
particolare l’effettivita’ del diritto di difesa, agli immigrati
presenti a qualunque titolo sul territorio della regione». Siffatta
disposizione contempla, dunque, un intervento che, in considerazione
dell’univoco riferimento allo scopo di «garantire la tutela legale» e
«l’effettivita’ del diritto di difesa», concerne, all’evidenza,
aspetti entrambi riconducibili all’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., parametro evocato in modo ampio, ma congruamente, dal
ricorrente. Peraltro, questa conclusione si impone anche in
riferimento alla disciplina del diritto di difesa dei non abbienti,
che le norme statali contemplano in riferimento al processo penale,
civile, amministrativo, contabile e tributario e negli affari di
volontaria giurisdizione, garantendolo anche allo straniero e
all’apolide residente nello Stato (artt. 74 e seguenti del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante il
«Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia»). Pertanto, neppure in relazione a
questo profilo la norma e’ riconducibile ad un ambito materiale di
competenza regionale (in particolare, a quello dei servizi e
dell’assistenza sociale), con conseguente illegittimita’
costituzionale della medesima.
2.2.3. – Le questioni aventi ad oggetto il primo gruppo di
censure e le altre norme indicate nel paragrafo 2 non sono fondate.
L’art. 1 della legge della Regione Puglia n. 32 del 2009 (senza,
peraltro, considerare la lettera h), del comma 3, sopra esaminata)
e’, infatti, la sola di dette disposizioni che, unitamente all’art.
10, comma 5 (esaminato di seguito), contiene un generico richiamo
alla «tutela dei diritti dei cittadini immigrati presenti sul
territorio regionale» (comma 1) e menziona esplicitamente gli
stranieri «presenti a qualunque titolo sul territorio regionale»
(comma 3, lettera a), quindi, e’ univocamente riferibile anche a
quelli di essi non in regola con il permesso di soggiorno. Tuttavia,
la prima norma fa a questi riferimento allo scopo di stabilire che le
politiche della Regione, evidentemente nell’ambito delle proprie
competenze, devono «garantire i diritti umani inviolabili» (art. 1,
comma 3, lettera a), i quali, come sopra precisato, spettano anche
agli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, sino a
quando nei loro confronti non sia emesso ed eseguito un provvedimento
di espulsione, senza che cio’ valga a legittimarne la presenza nel
territorio dello Stato, oppure ad incidere sull’eventuale esercizio
dell’azione penale per il reato di cui all’art. 10-bis, del d.lgs. n.
286 del 1998, qualora ne sussistano i presupposti.
La circostanza che i citati artt. 1, commi 1 e 3, lettera a), e
10, comma 5, sono le uniche disposizioni impugnate a fare univoco
riferimento agli immigrati non in regola con il permesso di
soggiorno, permette, dunque, di escludere che la generica definizione
di «immigrati» contenuta nelle altre norme impugnate le renda ad essi
riferibili. Inoltre, la previsione contenuta nell’art. 2, comma 1,
della legge regionale in esame, in virtu’ della quale i «destinatari»
della medesima «sono di seguito indicati come immigrati»,
contrariamente alla deduzione del ricorrente, neppure puo’ dare adito
a dubbi. La norma, nello stesso comma, nel periodo immediatamente
precedente, esplicita, infatti, quali siano i soggetti cui e’
riferibile detta accezione e tra questi non sono compresi gli
immigrati non in regola con il permesso di soggiorno; i quali sono,
invece, espressamente contemplati dalle disposizioni sopra
richiamate. Pertanto, e’ chiara l’infondatezza della sola specifica
censura proposta dal ricorrente in relazione a dette norme,
concernente l’asserita applicabilita’ degli interventi dalle stesse
previsti anche agli immigrati non in regola con il permesso di
soggiorno, oltre quanto eventualmente reso necessario per garantire
la tutela dei diritti fondamentali.
2.2.4. – La questione avente ad oggetto l’art. 10, commi 5 e 6,
della legge regionale in esame, proposta in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettere a) e b), Cost., non e’ fondata.
Il comma 5 garantisce, infatti, «l’accesso alle cure essenziali e
continuative ai cittadini stranieri temporaneamente presenti (STP)
non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno»
nell’osservanza dei principi sopra indicati e delle norme statali di
principio; peraltro, la disposizione cio’ stabilisce, richiamando
espressamente l’art. 48, comma 3, del d.P.R. n. 394 del 1999 (comma
5) e chiaramente prevedendo l’erogazione dell’assistenza farmaceutica
in relazione appunto a tali prestazioni (lettera b). Inoltre, e’
immune dai vizi denunciati anche la lettera c) di tale comma, che
contempla la facolta’ di scelta del «medico di fiducia», poiche’,
indipendentemente dalla mancata indicazione da parte del ricorrente
del principio fondamentale stabilito dalle norme statali in tema di
«tutela della salute» che sarebbe leso dalla disposizione, essa, in
coerenza con la previsione contenuta nella prima parte del comma 5,
deve essere interpretata nel senso che una tale scelta, in ogni caso,
non esclude la limitazione dell’accesso dello straniero alle sole
cure essenziali e continuative.
Ad identica conclusione deve pervenirsi in ordine al comma 6 di
detta norma regionale, il quale dispone: «ai cittadini comunitari
presenti sul territorio regionale che non risultano assistiti dallo
Stato di provenienza, privi dei requisiti per l’iscrizione al SSR e
che versino in condizioni di indigenza, sono garantite le cure
urgenti, essenziali e continuative attraverso l’attribuzione del
codice ENI (europeo non in regola). Le modalita’ per l’attribuzione
del codice ENI e per l’accesso alle prestazioni, sono le medesime
innanzi individuate per gli STP» (comma 6). Al riguardo, va altresi’
aggiunto che la previsione risulta sostanzialmente conforme
all’interpretazione offerta dal Ministero della salute, il quale, a
chiarificazione della disciplina concernente i cittadini comunitari,
«che si trovano sul territorio dello Stato, [e] non risultano
assistiti dagli Stati di provenienza e non hanno i requisiti per
l’iscrizione al SSN», ha indicato che l’armonizzazione delle norme
del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della
direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e
dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri) «con le norme di principio
dell’ordinamento italiano che sanciscono la tutela della salute e
garantiscono cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.)» comporta
che «i cittadini comunitari hanno diritto alle prestazioni
indifferibili ed urgenti» (nota del 19 febbraio 2008, avente ad
oggetto «Precisazioni concernenti l’assistenza sanitaria ai cittadini
comunitari dimoranti in Italia»).
In definitiva, la norma impugnata disciplina la materia della
tutela della salute, per la parte di competenza della Regione, nel
rispetto di quanto stabilito dal legislatore statale in ordine alla
situazione dei soggetti sopra indicati.
Le censure riferite all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed
l), Cost., con riguardo alle materie «ordine pubblico e sicurezza» ed
«ordinamento penale», sono, infine, inammissibili, in quanto
l’impugnazione, in relazione a tali parametri, non e’ suffragata da
alcuna argomentazione (tra le piu’ recenti, sentenza n. 200 del
2010).
2.2.5. – L’infondatezza delle censure comporta, indipendentemente
da ogni altra considerazione, l’irrilevanza nel presente giudizio
della questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del
d.lgs. n. 286 del 1998 (e cio’ anche in relazione alla questione che
e’ stata accolta per la violazione di un parametro rispetto al quale
tale norma non assume rilievo), proposta in linea subordinata dalla
Regione, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.; quindi,
difettano i presupposti, perche’ questa Corte possa eventualmente
sollevarla davanti a se stessa.
3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, inoltre,
distintamente, della legittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma
1, della legge della Regione Puglia n. 32 del 2009, nella parte in
cui stabilisce che le norme di detta legge «si applicano, qualora
piu’ favorevoli, anche ai cittadini neocomunitari». A suo avviso, la
disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere a), b), h)
ed l), Cost., poiche’ la disciplina della condizione giuridica del
cittadino comunitario sarebbe riconducibile alla materia «rapporti
dello Stato con l’Unione europea», di competenza esclusiva dello
Stato. Inoltre, essa si porrebbe in contrasto con il principio
stabilito dall’art. 1, comma 2, del d.l.gs. n. 286 del 1998 che, nel
testo modificato dall’art. 37 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito dalla legge 6
agosto 2008, n.133, stabilisce: «Il presente testo unico non si
applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo
quanto previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento
comunitario».
3.1. – La questione proposta in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera a), Cost., non e’ fondata.
Il legislatore statale, con il d.lgs. n. 30 del 2007, ha dato
attuazione alla direttiva comunitaria 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto
dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che
modifica il regolamento CEE n. 1612/68 ed abroga le direttive
64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE,
90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE), concernente il diritto di libera
circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei
loro familiari, stabilendo i criteri relativi al diritto di soggiorno
dei cittadini dell’Unione europea, relativi al riconoscimento in
favore dei medesimi di una serie di prestazioni relative a diritti
civili e sociali. Siffatti criteri devono essere armonizzati con le
norme dell’ordinamento costituzionale italiano che garantiscono la
tutela della salute, assicurano cure gratuite agli indigenti,
l’esercizio del diritto all’istruzione, ed attengono a prestazioni
concernenti la tutela di diritti fondamentali, spettanti ai cittadini
neocomunitari in base all’art. 18 del TFUE (gia’ art. 12 del Trattato
CE), che impone sia garantita, ai cittadini comunitari che si trovino
in una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione europea, la
parita’ di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro.
Alla luce di detto principio, questa Corte, nello scrutinare le
censure mosse ad una norma regionale avente contenuto sostanzialmente
identico a quella in esame, ha, quindi, escluso che essa violi la
competenza legislativa statale in materia di rapporti con l’Unione
europea (art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.), in quanto si
limita «ad assicurare anche ai cittadini neocomunitari quelle
prestazioni ad essi dovute nell’osservanza di obblighi comunitari e
riguardanti settori di propria competenza, concorrente o residuale,
riconducibili al settore sanitario, dell’istruzione, dell’accesso al
lavoro ed all’edilizia abitativa e della formazione professionale»
(sentenza n. 269 del 2010).
La disposizione impugnata e’, quindi, immune dai vizi denunciati,
poiche’ si inserisce in un quadro normativo volto a favorire la piena
integrazione anche dei cittadini neocomunitari, presupposto
imprescindibile per l’attuazione delle disposizioni comunitarie in
materia di cittadinanza europea.
Le censure riferite all’art. 117, secondo comma, lettere b), h)
ed l), Cost., sono, infine, inammissibili, in quanto, in relazione a
tali parametri, l’impugnazione non e’ suffragata da alcuna
argomentazione.
L’infondatezza delle censure concernenti il citato art. 2, comma
1, comporta il difetto di rilevanza della questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel
testo modificato dal d.lgs. n. 112 del 1998, proposta in linea
subordinata dalla Regione, in riferimento all’art. 3 Cost., con
conseguente insussistenza dei presupposti affinche’ questa Corte
possa eventualmente sollevarla davanti a se stessa.
4. – Il ricorrente impugna poi l’art. 15, comma 3, della legge
regionale in esame, in virtu’ del quale, «d’intesa con il
Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la
Regione programma interventi diretti a rimuovere gli ostacoli che
limitano l’accesso agli istituti previsti dall’ordinamento in
alternativa o in sostituzione della pena detentiva, nonche’ ai
permessi premio ex articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), come inserito dall’articolo 9
della legge 10 ottobre 1986, n. 663 e da ultimo modificato
dall’articolo 2, comma 27, lettera b), della legge 15 luglio 2009, n.
94».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, detta norma si
porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera 1),
Cost., in quanto non sarebbe chiaro cosa debba intendersi per
«interventi diretti alla rimozione degli ostacoli che limitano
l’accesso agli istituti» sopra indicati e, in ogni caso, la norma
eccederebbe le competenze regionali, poiche’ concernerebbe
l’ordinamento penitenziario, riconducibile all’ordinamento penale,
materia di competenza dello Stato, disciplinata dalla legge n. 354
del 1975.
4.1. – La questione non e’ fondata.
Il ricorrente desume dall’asserita oscurita’ dell’inciso sopra
riportato la possibile incidenza della norma regionale sulla materia
«ordinamento penale». La formula lessicale del comma impugnato e la
considerazione che il citato art. 15 ha ad oggetto, come
espressamente indicato dalla rubrica, le «politiche di inclusione
sociale», rendono, invece, palese che tale disposizione prevede –
univocamente ed esclusivamente – che la Regione, nell’ambito
dell’assistenza e dei servizi sociali, spettante alla competenza
legislativa residuale della medesima (sentenza n. 10 del 2010), puo’
approntare le misure assistenziali materiali, strumentali a garantire
le condizioni necessarie (quali, esemplificativamente, la
disponibilita’ di un alloggio), affinche’ gli immigrati possano
accedere alle misure alternative alla detenzione che, a seguito della
dichiarazione parziale di illegittimita’ costituzionale degli artt.
47, 48 e 50 della legge n. 354 del 1975 (sentenza n. 78 del 2007),
possono, eventualmente, essere concesse anche agli stranieri
extracomunitari entrati illegalmente nel territorio dello Stato,
ovvero privi del permesso di soggiorno.
La norma non interviene in nessun punto e modo sulla disciplina e
sui presupposti di dette misure. Inoltre, stabilisce che la stessa
programmazione degli interventi necessari per rimuovere le condizioni
che potrebbero impedire l’accesso alle medesime deve essere
effettuata d’intesa con il Provveditorato regionale
dell’amministrazione penitenziaria e, quindi, dispone che la Regione
debba conformarsi alle esigenze di tale organo, senza neppure
prevedere alcun onere di collaborazione a carico di quest’ultimo.
5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, infine,
della illegittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera h),
della legge Regione Puglia n. 32 del 2009, il quale dispone che la
«Regione concorre, nell’ambito delle proprie competenze,
all’attuazione, in particolare, dei principi espressi», tra l’altro,
«dalla Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di
tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, approvata il 18
dicembre 1990 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata
in vigore il 1° luglio 2003». A suo avviso, poiche’ detta Convenzione
non e’ stata ancora ratificata dall’Italia, la norma impugnata
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., il quale
attribuisce la materia «politica estera e rapporti internazionali»
alla competenza esclusiva dello Stato.
5.1. – La questione e’ fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’attivita’ delle
Regioni volta all’attuazione ed all’esecuzione di accordi
internazionali deve muoversi all’interno del quadro normativo
contrassegnato dall’art. 117, quinto comma, Cost., e dalle norme
della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante «Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» (sentenza n. 12 del 2006;
siffatto parametro e’ stato implicitamente, ma chiaramente evocato
dal ricorrente). I «rapporti internazionali» e la «politica estera»
(art. 117, secondo comma, lettera a, Cost.) sono, poi,
rispettivamente, «riferibili a singole relazioni, dotate di elementi
di estraneita’ rispetto al nostro ordinamento» ed alla «attivita’
internazionale dello Stato unitariamente considerata in rapporto alle
sue finalita’ ed al suo indirizzo» (sentenze n. 258 e n. 131 del
2008; n. 211 del 2006). Inoltre, le Regioni, nelle materie di propria
competenza, «provvedono direttamente all’attuazione ed all’esecuzione
degli accordi internazionali», nel rispetto delle norme di procedura
stabilite dall’art. 3 della legge n. 131 del 2003.
Questa Corte ha anche gia’ affermato che le Regioni non possono
dare esecuzione ad accordi internazionali indipendentemente dalla
legge di ratifica, quando sia «necessaria ai sensi dell’art. 80 della
Costituzione, anche perche’ in tal caso l’accordo internazionale e’
certamente privo di efficacia per l’ordinamento italiano», e nel caso
in cui non siano riconducibili a quelli stipulati in forma
semplificata e che intervengano in materia regionale (sentenza n. 379
del 2004), riguardando invece, come nella specie, molteplici profili
eccedenti le competenze delle Regioni. Ed e’ questo quanto stabilisce
la norma in esame, la quale, in violazione della competenza
legislativa esclusiva dello Stato, prevede di dare esecuzione alla
citata Convenzione, benche’ non sia stata ancora ratificata.
La lettera della disposizione impugnata e l’ampio – generico e
sostanzialmente indefinito – riferimento all’attuazione dei principi
espressi dalla Convenzione, «alla luce del generale canone
ermeneutico del "legislatore non ridondante"» (sentenza n. 226 del
2010), rendono, infine, palese che, contrariamente alla deduzione
della Regione, neppure e’ possibile offrirne un’interpretazione
restrittiva, ritenendo che essa renderebbe applicabili esclusivamente
le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art.
10, primo comma, Cost.), con conseguente illegittimita’
costituzionale della medesima.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 1, commi
2, lettera h), e 3, lettera h), della legge della Regione Puglia 4
dicembre 2009, n. 32 (Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e
l’integrazione degli immigrati in Puglia);
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione
Puglia n. 32 del 2009, proposta, in riferimento all’articolo 117,
secondo comma, lettere b), h) ed l), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in
epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 10, commi 5 e 6, della legge della
Regione Puglia n. 32 del 2009, proposta, in riferimento all’articolo
117, secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione, con il
ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
degli articoli 1, commi 1 e 3, lettere da a) a g) e da i) ad l); 2;
3; 4, comma 4; 5, comma 1, lettere a) e b); 6, comma 1, lettere b) e
c); 13 e 14 della legge della Regione Puglia n. 32 del 2009,
proposte, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere a),
b), h) ed l), della Costituzione, ed in relazione agli articoli 4, 5,
10, 10-bis, 11, 13, 14, 19 e 35 del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 32 del
2009, proposta, in riferimento all’articolo 117, secondo comma,
lettera a), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 10, commi 5 e 6, della legge della Regione Puglia n. 32
del 2009, proposta, in riferimento all’articolo 117, secondo comma,
lettere a) e b), della Costituzione, con il ricorso indicato in
epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 15, comma 3, della legge della Regione Puglia n. 32 del
2009, proposta, in riferimento all’articolo 117, secondo comma,
lettera l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Tesauro

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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