Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-05-2011) 13-06-2011, n. 23629 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 17/03/2010, la Corte di Appello di Lecce onfermava la sentenza pronunciata in data 13/02/2007 nella parte in cui il Tribunale di Brindisi aveva ritenuto G.P. responsabile del delitto di truffa ai danni della costituita parte civile T.B.. p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

p.2.1. violazione dell’art. 81 c.p., e art. 61 c.p., n. 7 per non avere la Corte territoriale rilevato che, avendo l’imputato incassato i vari assegni consegnatogli dal T., si era in presenza di un reato continuato. Di conseguenza l’importo dei singoli assegni non poteva integrare l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7;

p.2.2. VIOLAZIONE dell’art. 124 c.p. per non avere la Corte territoriale rilevato che la querela era stata tardivamente presentata rispetto al momento in cui la parte offesa era venuta a conoscenza della truffa;

p.2.3. violazione dell’art. 157 c.p. per non avere la Corte territoriale dichiarato la prescrizione del reato.
Motivi della decisione

3. VIOLAZIONE dell’art. 81 c.p., e art. 61 c.p., n. 7: la censura è manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate.

L’imputato è stato ritenuto colpevole di avere perpetrato una truffa ai danni di T.B. dal quale si era fatto consegnare assegni per complessive L. 82.810.000: da qui la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7.

La tesi difensiva dedotta con il presente ricorso era stata già proposta avanti alla Corte territoriale la quale l’ha disattesa osservando che "anche se T. risulta avere corrisposto a G. diversi assegni tra il (OMISSIS), di importo variabile tra L. 1.430.000 e L. 7.200.000, ciò non comporta che per ogni assegno sia configurabile un singolo reato di truffa, da unificare per continuazione con gli altri episodi, in quanto la dazione delle somme è stata effettuata nell’ambito di un accordo unitario tra G. e T., accordo ovviamente viziato dell’errore in cui era stato indotto il secondo circa la serietà dell’affare; nel caso di specie, dunque, il reato deve ritenersi a consumazione prolungata, caratterizzato da unicità di azione e da un evento che continua a prodursi nel tempo, per cui occorre aver riguardo al complessivo ammontare delle somme pagate dalla persona offesa e non a quello dei singoli assegni". Si tratta di motivazione logica, congrua ed adeguata rispetto agli evidenziati elementi fattuali dai quali la Corte, in modo ineccepibile, ha tratto la suddetta conseguenza giuridica.

Avvero la suddetta motivazione, il ricorrente si è limitato a ribadire la sua tesi, sicchè la censura, essendo meramente ripetitiva, va ritenuta aspecifica e, quindi, inammissibile. p.4. violazione dell’art. 124 c.p.: la suddetta doglianza rimane assorbita nella reiezione della prima censura, in quanto deve ritenersi che il reato era perseguibile d’ufficio stante la rilevante gravità del danno. p.5. VIOLAZIONE dell’art. 157 c.p.: la prescrizione, anche a voler ritenere, secondo quanto dedotto dal ricorrente, che il periodo di sospensione non ammonta ad anni uno, mesi otto e giorni ventisei, come ritenuto dalla Corte territoriale, ma ad anni uno, mesi sei e giorni tredici, alla data della sentenza (17/03/2010), non era ancora maturata. Infatti, pur prendendo come dies a quo la data dell’incasso dell’ultimo assegno (9/03/2001), la prescrizione maturò il 22/03/2010 (9/03/2001 + anni sette e mesi sei = 9/09/2008 + anni 1, mesi sei e gg 13-22/03/2010).

Peraltro la declaratoria di inammissibilità preclude che la prescrizione, maturata nelle more, venga dichiarata in questo grado di giudizio dovendosi applicare il principio di diritto secondo il quale "l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.": ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero. p.6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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