Corte Costituzionale sentenza n. 304 SENTENZA 20 – 28 ottobre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 44 del 3-11-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma
24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni
urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza
del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, promosso dal
Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, nel procedimento
vertente tra E.M.M. ed il Ministero dello sviluppo economico ed
altra, con ordinanza del 2 ottobre 2008, iscritta al n. 154 del
registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 22, 1ª serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di E.M.M. e di R.L., nonche’
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
Uditi gli avvocati Massimo Coccia e Luca Pardo per E.M.M. e
l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 2 ottobre 2008 il Tribunale ordinario di
Roma, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18
maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino
delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei
Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17
luglio 2006, n. 233, per asserito contrasto con gli articoli 97 e 98
della Costituzione.
Il giudice remittente espone che la ricorrente, dott.ssa E.M.M.,
aveva chiesto, con ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 del codice
di procedura civile, di essere reintegrata nell’incarico di direttore
dell’ufficio di Gabinetto del Ministro dello sviluppo economico e nel
relativo contratto individuale di lavoro. In particolare, la
ricorrente aveva dedotto che tale incarico le era stato conferito,
secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 4, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 gennaio
2008, per la durata di quattro anni a decorrere dal 14 gennaio 2008.
Con successiva nota del 23 maggio 2008 il Ministro dello sviluppo
economico le aveva comunicato, «per mera conoscenza», la decadenza
immediata dall’incarico dirigenziale generale in applicazione della
norma censurata, secondo la quale «all’atto del giuramento del
Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli
incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i
contratti, anche a termine», conferiti nell’ambito degli uffici di
diretta collaborazione «decadono automaticamente ove non confermati
entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro». Il successivo
comma 24-ter dell’art. 1 stabilisce che: «il termine di cui
all’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, come modificato dal comma 24-bis del presente articolo, decorre,
rispetto al giuramento dei Ministri in carica alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, da tale
ultima data. Sono fatti salvi, comunque, le assegnazioni e gli
incarichi conferiti successivamente al 17 maggio 2006».
Il giudice a quo riferisce, inoltre, di avere disposto, con
ordinanza del 13 agosto 2008, la integrazione del contraddittorio nei
confronti della controinteressata, dott.ssa R.L., nominata in luogo
della ricorrente.
1.1. – Cio’ premesso, il giudice a quo osserva, sotto il profilo
della rilevanza della questione, che nella controversia in esame non
potrebbe trovare applicazione, come ritenuto dalla ricorrente, il
riportato comma 24-ter, in quanto detta norma «disciplina un profilo
di diritto intertemporale, connesso all’emanazione del decreto-legge
n. 181 del 2006 a seguito del mutamento della compagine governativa
(entrata in carica del Governo presieduto dall’onorevole Prodi) e,
quindi, con riferimento, sostanzialmente, agli incarichi dirigenziali
conferiti dal precedente Governo». Ne consegue che troverebbe
applicazione il censurato art. 1, comma 24-bis, il quale
precluderebbe la reintegra della ricorrente nell’incarico
dirigenziale di livello generale.
Si aggiunge, inoltre, che, contrariamente a quanto sostenuto
dalla controinteressata, l’incarico in questione non potrebbe
ritenersi di diretta collaborazione. Gli artt. 2, 3, 6, e 7 del
decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 2007, n. 187
(Regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione
del Ministro dello sviluppo economico), infatti, «nell’enumerare
l’ufficio di diretta collaborazione del Ministro comprende anche
l’ufficio di Gabinetto, ma ne individua quale titolare il "capo
dell’ufficio di Gabinetto", con il quale viene ad instaurarsi un
rapporto di fiducia politica e non soltanto tecnica»; all’ufficio di
Gabinetto, prosegue il remittente, «sono quindi, come pure agli altri
uffici, preposti dei dirigenti generali, quale "personale di diretta
collaborazione", con i quali si instaura un rapporto di fiducia
tecnica».
1.2. – Alla luce di quanto sopra, il giudice remittente assume il
contrasto della norma impugnata con gli articoli 97 e 98 Cost., in
quanto tale norma, come affermato dalla Corte costituzionale con le
sentenze n. 103 del 2007 e n. 161 del 2008, «determinando una
interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso prima
dello spirare del termine stabilito, viola, in carenza di garanzie
procedimentali, il principio costituzionale di continuita’
dell’azione amministrativa che e’ strettamente correlato a quello di
buon andamento dell’azione stessa».
1.3. – Il giudice a quo conclude affermando, «in punto di
rilevanza della questione», che sussisterebbe il requisito del
pregiudizio grave e irreparabile per la ricorrente, posto che
l’incarico e’ stato conferito ad altro dirigente, con assegnazione
della ricorrente ad un incarico di seconda fascia, il che avrebbe
determinato «prevedibili effetti negativi sulla sua immagine
professionale e verosimili ricadute non positive sul suo futuro
sviluppo di carriera (ovvero sulla possibilita’ di attribuzione di
ulteriori incarichi)»; inoltre, la documentazione medica depositata
testimonierebbe «uno stato di disagio psicosomatico, verosimilmente
riconducibile alla repentina cessazione dell’incarico stesso,
concretizzando in tale modo un pregiudizio non ristorabile soltanto
in via economica».
Si deduce, infine, come, alla luce della stessa giurisprudenza
costituzionale (citata sentenza n. 161 del 2008), sia possibile
sollevare questione di costituzionalita’ anche nel corso di un
procedimento instaurato ai sensi dell’art. 700 cod. prov. civ.
2. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, assumendo che la questione proposta non sarebbe fondata.
Si rileva, innanzitutto, come sia inconferente il richiamo alla
sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale.
Con tale sentenza e’ stata dichiarata, infatti, l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n.
145 (Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per
favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e
privato), che prevedeva un sistema di cessazione automatica e
generalizzata degli incarichi una tantum.
La normativa impugnata contemplerebbe una disciplina diversa, in
primo luogo, perche’ la decadenza dall’incarico e’ subordinata alla
mancata conferma da parte dell’amministrazione; in secondo luogo,
perche’ il meccanismo previsto opera soltanto nell’ambito degli
uffici di diretta collaborazione con il Ministro (tra i quali
certamente rientra anche l’ufficio di Gabinetto che la ricorrente era
stata chiamata a dirigere); infine, perche’ non e’ stato contemplato
un sistema di spoils system una tantum, bensi’ un sistema che opera
solo quando vi sia un cambio di vertice del Ministero con la nomina
di un nuovo Ministro.
Tali differenziazioni, sottolinea sempre la difesa dello Stato,
sarebbero, inoltre, idonee a rendere la disposizione censurata immune
dai vizi di costituzionalita’ denunciati dal giudice a quo.
Analoghe considerazioni varrebbero in ordine al richiamo operato
dal Tribunale remittente alla sentenza n. 161 del 2008 della Corte
costituzionale.
La difesa dello Stato rileva, poi, come non sarebbe configurabile
la distinzione, operata nell’ordinanza di rimessione, nell’ambito
degli uffici di diretta collaborazione, tra ruoli che implicano una
fiducia politica e ruoli che implicano una fiducia tecnica. Infatti,
si osserva come cio’ che distinguerebbe gli uffici di diretta
collaborazione (cosiddetti uffici di staff) da quelli incardinati
nella struttura del Ministero (cosiddetti uffici di line) sarebbe
«l’assenza per i primi di qualsivoglia riferimento a parametri
codificati che costituiscano presupposto per ricoprire incarichi». A
conferma di quanto riportato si rileva che la normativa impugnata
consentirebbe la nomina intuitu personae in uffici di diretta
collaborazione e cioe’ sulla base di scelte esclusivamente
fiduciarie, che, in quanto tali, non impongono il rispetto dell’iter
previsto per il trasferimento del personale assegnato agli uffici di
line. Inoltre, ancora secondo la difesa dello Stato, «negli uffici di
diretta collaborazione non si svolge alcuna attivita’ amministrativa
riferibile al rapporto ordinario di ufficio del dipendente con la sua
amministrazione di appartenenza, bensi’ si collabora nel tenere il
collegamento tra l’organo politico di vertice e la struttura che esso
e’ chiamato a dirigere merce’ l’incarico di Governo». Inoltre, in
presenza degli uffici che vengono in rilievo in questa sede, da un
lato, i rapporti con l’esterno avvengono in nome e per conto del
vertice politico, dall’altro, e’ prevista una specifica indennita’
volta a «compensare» non solo il «disagio derivante dal dovere di
effettuare la prestazione lavorativa al di fuori degli ordinari orari
di lavoro», ma anche la precarieta’ del rapporto fiduciario. Ne
conseguirebbe che «non sono rinvenibili aspetti legati all’ordinario
rapporto di servizio, sia in tema di giudizio sulla diligenza che di
valutazione delle attitudini a svolgere le mansioni ricoperte,
tant’e’ che in nessun caso la rimozione da tali uffici, proprio
perche’ non necessitante di motivazione, e’ idonea a creare
conseguenze pregiudizievoli sulla carriera del soggetto interessato».
3. – Si e’ costituita in giudizio la ricorrente nel giudizio a
quo, la quale, sviluppando argomentazioni analoghe a quelle contenute
nell’ordinanza di rimessione, ha chiesto che la questione di
costituzionalita’ sollevata venga accolta.
4. – Si e’ costituita in giudizio anche la controinteressata
costituita nel giudizio a quo, la quale, dopo aver ricordato, in
punto di fatto, gli aspetti principali della vicenda contenziosa
oggetto del giudizio a quo, ha dedotto che la questione di
costituzionalita’ sarebbe inammissibile, in primo luogo, perche’ il
giudice remittente non avrebbe reso esplicite le ragioni per le quali
assume la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione
sollevata; in secondo luogo, perche’ la ricorrente, avendo chiesto
che le venisse attribuito l’incarico revocato e non un incarico
equivalente, avrebbe dovuto impugnare l’atto di nomina della
controinteressata in quell’incarico. A tale proposito, si osserva
come gli atti di revoca e di nomina siano autonomi, con la
conseguenza che l’eventuale declaratoria di illegittimita’ del primo
non potrebbe comportare un travolgimento del secondo.
Nel merito la interveniente deduce anche la infondatezza della
questione per ragioni analoghe a quelle formulate dall’Avvocatura
generale dello Stato.
5. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica l’Avvocatura generale
dello Stato ha depositato una memoria con la quale ha ribadito le
argomentazioni difensive che deporrebbero per la infondatezza della
questione, aggiungendo che la stessa sarebbe anche inammissibile per
difetto di rilevanza.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con
ordinanza del 2 ottobre 2008, ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18
maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino
delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei
Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17
luglio 2006, n. 233, per asserito contrasto con gli articoli 97 e 98
della Costituzione.
In particolare, la norma censurata, modificando il secondo comma
dell’art. 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), prevede che «all’atto del giuramento del
Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli
incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i
contratti, anche a termine», conferiti nell’ambito degli uffici di
diretta collaborazione, «decadono automaticamente ove non confermati
entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro».
Secondo il giudice a quo, tale norma violerebbe gli artt. 97 e 98
Cost., in quanto, «determinando una interruzione automatica del
rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine
stabilito», sarebbe, «in carenza di garanzie procedimentali»,
contraria «al principio costituzionale di continuita’ dell’azione
amministrativa che e’ strettamente correlato a quello di buon
andamento dell’azione stessa».
2. – Appare opportuno ricostruire, brevemente, la vicenda oggetto
del giudizio a quo.
Alla ricorrente era stato conferito, con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2008, ai sensi dell’art.
19, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, l’incarico di direttore
dell’ufficio di Gabinetto del Ministro dello sviluppo economico, per
la durata di quattro anni; nel provvedimento di attribuzione della
funzione dirigenziale era fatta comunque salva l’applicazione della
norma censurata.
Con nota del 23 maggio 2008 il Ministro le aveva comunicato, «per
mera conoscenza», la decadenza immediata dell’incarico dirigenziale
generale in attuazione della predetta norma.
A seguito di tale comunicazione la ricorrente aveva proposto
ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile per essere
reintegrata nel posto di lavoro.
3. – Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di
inammissibilita’ sollevate dalla controinteressata, sul presupposto
della assenza di motivazione in ordine alla rilevanza e alla non
manifesta infondatezza della questione, nonche’ della mancata
contestazione del provvedimento di conferimento del proprio incarico.
A tale proposito, deve rilevarsi come il giudice a quo abbia
adeguatamente indicato le ragioni che, a suo avviso, depongono per il
contrasto della norma con gli evocati parametri costituzionali. Per
quanto attiene, poi, al giudizio sulla rilevanza, il remittente ha
addotto una motivazione non implausibile, senza che possa essere di
ostacolo l’omessa contestazione dell’incarico medio tempore assegnato
ad altro dirigente; tale ultimo profilo potrebbe incidere
eventualmente soltanto sulle modalita’ di tutela ottenibili all’esito
del giudizio.
4. – Nel merito, la questione non e’ fondata.
5. – La norma impugnata contempla un sistema di spoils system
applicato alle assegnazioni di personale, compresi gli incarichi di
livello dirigenziale, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta
collaborazione con il Ministro.
L’analisi della questione sollevata presuppone che siano
richiamati, in via preliminare, da un lato, gli orientamenti della
giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto tra politica e
amministrazione, dall’altro, le linee essenziali della normativa che
definisce le funzioni esercitate dai Ministri e dagli uffici di
diretta collaborazione. Cio’ al fine di stabilire quale sia la natura
dell’attivita’ svolta dai predetti uffici e quindi la loro esatta
collocazione nel complessivo quadro dei rapporti tra gli organi di
governo e quelli di gestione.
5.1. – In relazione al primo profilo, deve rilevarsi come la
giurisprudenza costituzionale sia ormai costante nel ritenere che
debba essere assicurata una chiara distinzione tra funzioni politiche
e funzioni amministrative di tipo dirigenziale, al fine di
assicurare, in particolare, la piena attuazione dei principi
costituzionali di buon andamento e di imparzialita’ dell’azione della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Perche’ possa in concreto
operare tale differenziazione di compiti e’ necessario, altresi’,
come puntualizzato da questa Corte, che il rapporto di ufficio, pur
se caratterizzato dalla temporaneita’ dell’incarico, sia connotato
«da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato
in modo tale da assicurare» l’effettivo rispetto dei principi
consacrati dal citato art. 97 Cost. (sentenza n. 103 del 2007). In
questa prospettiva i meccanismi di decadenza automatica dei predetti
rapporti in corso si pongono in contrasto con l’indicato parametro
costituzionale «in quanto pregiudicano la continuita’ dell’azione
amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di
parzialita’, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto
dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la
rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati
conseguiti» (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 34 del 2010).
5.2. – Con riferimento al secondo aspetto, e’ sufficiente porre
in evidenza come l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001
attribuisca agli organi di governo le funzioni di indirizzo
politico-amministrativo, che si sostanziano, in particolare, nella
definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e nella
verifica della rispondenza dei risultati dell’attivita’
amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Il
successivo art. 14, comma 1, dello stesso decreto prevede, poi, che
spetta al Ministro, anche sulla base delle proposte dei dirigenti
generali, periodicamente: a) definire obiettivi, priorita’, piani e
programmi da attuare ed emanare le conseguenti direttive generali per
l’attivita’ amministrativa e per la gestione; b) assegnare, a ciascun
ufficio di livello dirigenziale generale, una quota-parte del
bilancio dell’amministrazione, commisurata alle risorse finanziarie,
riferibili ai procedimenti o subprocedimenti attribuiti alla
responsabilita’ dell’ufficio, e agli oneri per il personale e per le
risorse strumentali allo stesso assegnati (si veda la sentenza n. 103
del 2007).
Tali funzioni – una volta abbandonato «il modello incentrato
esclusivamente sul principio della responsabilita’ ministeriale, che
negava, di regola, attribuzioni autonome ed esterne agli organi
burocratici» (citata sentenza n. 103 del 2007) – sono nettamente
separate dall’attivita’ gestionale che i dirigenti svolgono mediante
apposite strutture organizzative (cosiddetti uffici di line).
In questo ambito, gli uffici di diretta collaborazione con il
Ministro (cosiddetti uffici di staff), nella configurazione che di
essi ha dato la normativa vigente, svolgono una attivita’ di supporto
strettamente correlata all’esercizio delle predette funzioni di
indirizzo politico-amministrativo. Lo stesso decreto del Presidente
della Repubblica 20 settembre 2007, n. 187 (Regolamento di
organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro
dello sviluppo economico), vigente al momento della adozione
dell’ordinanza di rimessione, prevedeva, al primo comma dell’art. 2,
la facolta’ del Ministro di avvalersi «per l’esercizio delle funzioni
ad esso attribuite dagli articoli 4 e 14 del decreto legislativo n.
165 del 2001, degli uffici di diretta collaborazione». Si e’
precisato, inoltre, che detti uffici «esercitano le competenze di
supporto all’organo di direzione politica e di raccordo tra questo e
l’amministrazione, collaborando alla definizione degli obiettivi ed
all’elaborazione delle politiche pubbliche, nonche’ alla relativa
valutazione ed alle connesse attivita’ di comunicazione, con
particolare riguardo all’analisi dell’impatto normativo, all’analisi
costi-benefici ed alla congruenza fra obiettivi e risultati» (in
questo senso anche l’art. 2 del d.P.R. 28 novembre 2008 n. 198,
recante «Regolamento di definizione della struttura degli uffici di
diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico», che ha
sostituito integralmente il d.P.R. n. 187 del 2007).
5.3. – Alla luce di quanto sopra, emerge come gli uffici di
diretta collaborazione svolgano un’attivita’ strumentale rispetto a
quella esercitata dal Ministro, collocandosi, conseguentemente, in un
contesto diverso da quello proprio degli organi burocratici. Detti
uffici, infatti, sono collocati in un ambito organizzativo riservato
all’attivita’ politica con compiti di supporto delle stesse funzioni
di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di
competenza dei dirigenti.
In questa prospettiva, non assume rilievo, contrariamente a
quanto sostenuto dal remittente, la distinzione funzionale tra le
attribuzioni del Ministero e quelle degli uffici in esame, dovendo,
al contrario, sussistere tra loro una intima compenetrazione e
coesione che giustifichi un rapporto strettamente fiduciario
finalizzato alla compiuta definizione dell’indirizzo
politico-amministrativo.
La separazione di funzioni, che la giurisprudenza di questa Corte
ha ritenuto necessaria per assicurare il rispetto, in particolare,
dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialita’
dell’azione amministrativa, deve essere assicurata, pertanto,
esclusivamente tra l’attivita’ svolta dai Ministri, con il supporto
degli uffici di diretta collaborazione, e quella esercitata dagli
organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva.
5.4. – Chiarito cio’, deve ritenersi non difforme dagli evocati
parametri costituzionali la norma, contenuta nella disposizione
censurata, che prevede la interruzione del rapporto in corso con il
personale, compreso quello dirigenziale, assegnato agli uffici di
diretta collaborazione al momento del giuramento di un nuovo
Ministro, ove non confermato entro trenta giorni dal giuramento
stesso. La previsione in esame, infatti, si giustifica in ragione del
rapporto strettamente fiduciario che deve sussistere tra l’organo di
governo e tutto il personale di cui esso si avvale per svolgere
l’attivita’ di indirizzo politico-amministrativo. Al momento del
cambio nella direzione del Ministero e’, pertanto, legittimo
prevedere l’azzeramento degli incarichi esistenti, che possono essere
confermati qualora il Ministro stesso ritenga che il personale in
servizio possa godere della sua fiducia.
In definitiva, cosi’ come la nomina del personale, compreso
quello dirigenziale, puo’ avvenire, in base alla normativa vigente,
intuitu personae, senza predeterminazione di alcun rigido criterio
che debba essere osservato nell’adozione dell’atto di assegnazione
all’ufficio, allo stesso modo, e simmetricamente, e’ possibile in
qualunque momento interrompere il rapporto in corso qualora sia
venuta meno la fiducia che deve caratterizzare in maniera costante lo
svolgimento del rapporto stesso.
Per le ragioni indicate, pertanto, non e’ ravvisabile il
denunciato contrasto della norma censurata con gli evocati parametri
costituzionali.
5.5. – Ne’ si potrebbe obiettare, come fa il giudice a quo, che
quanto sin qui esposto non varrebbe per tutto il personale, ma
soltanto, avendo riguardo alla specifica controversia in esame, per
il capo di Gabinetto.
L’attuale configurazione degli uffici di diretta collaborazione
impedisce, infatti, in linea con i compiti ad essi assegnati, di
scindere l’attivita’ di chi svolge funzioni «apicali» da quella
espletata dal personale addetto allo stesso ufficio. Non e’ senza
rilievo che l’art. 3 del d.P.R. n. 198 del 2008 prescrive che
«l’ufficio di Gabinetto coadiuva il capo di Gabinetto per le
competenze proprie e per quelle delegate dal Ministro. L’ufficio di
Gabinetto coordina in particolare la cura dei rapporti con gli altri
organi costituzionali, con le autorita’ indipendenti e con il
Consiglio di Stato e cura altresi’ l’esame degli atti ai fini
dell’inoltro alla firma del Ministro e dei Sottosegretari di Stato.
Cura le risposte agli atti parlamentari di controllo e di indirizzo
riguardanti il Ministero e il seguito dato agli stessi». In
definitiva, pertanto, la unitarieta’ degli uffici stessi giustifica,
pur nella diversita’ dei compiti del personale ad essi assegnato, un
trattamento normativo omogeneo in relazione alle modalita’ di
cessazione degli incarichi conferiti.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n.
181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni
della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri),
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006,
n. 233, sollevata, in riferimento agli articoli 97 e 98 della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 20 ottobre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Quaranta

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 28 ottobre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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