Corte Costituzionale sentenza n. 310 SENTENZA 02 – 05 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 45 del 10-11-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 14, comma 1,
del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione
dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela
della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), promosso dal
Tribunale amministrativo regionale per la Liguria nel procedimento
vertente tra la Pizzeria P., ditta individuale di C. D., e il
Ministero del lavoro e della previdenza sociale con ordinanza del 13
maggio 2009, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 2009 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, 1ª serie
speciale, dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della Pizzeria P., ditta individuale
di C. D., nonche’ l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
Udito l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (d’ora
in avanti, T.A.R.), con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha
sollevato, in riferimento agli articoli 97, primo comma, 24 e 113
della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro), «nella parte in cui prevede che "ai provvedimenti del
presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 241" e, segnatamente, nella parte in cui esclude
l’applicazione ai provvedimenti de quibus dell’art. 3 comma 1 della
legge 7 agosto 1990, n. 241».
2. – Il rimettente riferisce che, con ricorso notificato il 27
maggio 2008, C. D., titolare di una ditta individuale per la
produzione e il recapito di pizze da asporto, ha impugnato un
provvedimento con il quale il Servizio ispezione del lavoro della
Direzione provinciale del lavoro di Genova, in seguito a una visita
ispettiva presso i locali dell’impresa, aveva disposto, ai sensi
dell’art. 14, comma 1, del citato d.lgs., la sospensione
dell’attivita’ imprenditoriale, avendo accertato l’impiego di due
fattorini addetti al recapito delle pizze da asporto (pari al 66 per
cento del totale dei lavoratori presenti sul posto di lavoro), non
risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
Il giudice a quo, dopo aver riassunto i motivi del ricorso
(violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in relazione all’art. 3 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 – recante «Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi» – e all’art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 e connesso
eccesso di potere per omessa motivazione; eccesso di potere per
omessa motivazione, per contraddittorieta’ e per manifesta
ingiustizia), prosegue osservando che, come esposto dal titolare
della ditta, sarebbero stati esibiti agli ispettori del lavoro copie
dei contratti di collaborazione autonoma e occasionale conclusi con i
due fattorini (circostanza risultante dal verbale di accesso
ispettivo). Ad onta di cio’ il provvedimento di sospensione, avente
conseguenze gravissime sulla vita di una piccola impresa come quella
ricorrente, sarebbe stato adottato in totale assenza di motivazione,
benche’ questa fosse necessaria avuto riguardo al carattere
discrezionale del provvedimento ed alla volonta’ manifestata dalle
parti in ordine all’inesistenza del vincolo di subordinazione.
Il T.A.R. precisa di avere accolto l’istanza diretta ad ottenere
la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato e di aver
poi trattenuto la causa per la decisione. Argomenta sulla rilevanza
della questione di legittimita’ costituzionale, sottolineando che
l’obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi fu
introdotto nel vigente ordinamento dall’art. 3, comma 1, della legge
n. 241 del 1990, sicche’, mentre prima di detta legge il difetto di
motivazione integrava una figura sintomatica di eccesso di potere,
oggi configura il vizio di violazione di legge.
La disposizione censurata, statuendo che «ai provvedimenti del
presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 241», verrebbe a sottrarre i provvedimenti di
sospensione dell’attivita’ imprenditoriale all’obbligo generale di
motivazione. Pertanto essa, dovendo trovare applicazione nella
fattispecie, impedirebbe al tribunale di conoscere della relativa
censura. D’altro canto, il dedotto difetto di motivazione non
potrebbe neppure essere valutato sotto il profilo dell’eccesso di
potere, perche’ la norma censurata escluderebbe in modo espresso il
relativo obbligo, la cui mancanza, dunque, non potrebbe costituire
sintomo del detto vizio.
Inoltre, ad avviso del Collegio, la questione non sarebbe
manifestamente infondata. Infatti, l’obbligo di motivare i
provvedimenti amministrativi – di cui all’art. 3, comma 1, della
legge n. 241 del 1990 – costituirebbe un principio generale,
attuativo sia dei canoni d’imparzialita’ e di buon andamento della
pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost., sia di altri
interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa
contro gli atti della stessa pubblica amministrazione, ai sensi degli
artt. 24 e 113 Cost. Di piu’, il suddetto obbligo sarebbe principio
del patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei, desumibile
dall’art. 253 del Trattato sull’Unione europea (oggi art. 296, comma
2, del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea,
ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008, n.130, ed entrato in
vigore il 1° dicembre 2009), che lo estende addirittura agli atti
normativi.
I principi d’imparzialita’ e di buon andamento, di cui all’art.
97 Cost., esigerebbero dunque che, quando l’interesse pubblico si
fronteggia con un interesse privato, l’amministrazione debba dare
conto, attraverso la motivazione, di aver ponderato gli interessi in
conflitto. In altri termini, in caso di provvedimenti discrezionali,
«la motivazione costituisce lo strumento principe a mezzo del quale
effettuare il controllo di legittimita’ dell’atto, consentendo al
giudice il sindacato sull’iter logico seguito dall’autorita’
amministrativa e sul ricorrere dei presupposti del potere in concreto
esercitato».
In questo quadro, l’esclusione degli obblighi di motivazione per
i provvedimenti di sospensione dell’attivita’ imprenditoriale si
porrebbe anche in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto
limiterebbe la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione.
3. – La parte privata si e’ costituita nel giudizio di
legittimita’ costituzionale, insistendo per la declaratoria di
illegittimita’ della norma censurata.
Essa, nel condividere le argomentazioni del giudice a quo,
sottolinea come la motivazione sia canone fondamentale del diritto
non soltanto italiano ma anche europeo, consentendo la trasparenza
dell’azione amministrativa, la verifica sulla legittimita’ del
provvedimento e l’esercizio di una concreta tutela giurisdizionale.
L’eliminazione del relativo obbligo, dunque, renderebbe non
controllabile la detta azione, legittimando l’arbitrio. Al riguardo,
e’ richiamata l’opinione della dottrina che, ben prima della legge n.
241 del 1990, avrebbe individuato negli artt. 24, 97 e 113 Cost. il
fondamento di tale obbligo.
La parte privata ritiene che ai profili sollevati dal T.A.R.
andrebbe aggiunta la violazione dell’art. 3 Cost. sotto l’aspetto
dell’ingiustificata disparita’ di trattamento tra tipologie di
sanzione. Infatti, l’art. 14 del d.lgs. n. 81 del 2008 costituirebbe
un unicum nel vigente ordinamento, nel quale tutte le fattispecie
sanzionatorie dovrebbero essere motivate.
Inoltre, andrebbero considerate le gravi conseguenze del
provvedimento, caratterizzato da ampi spazi di discrezionalita’, tali
da impedire ogni difesa, come emergerebbe anche dalle condizioni
richieste per ottenerne la revoca. Infine la norma, cosi’ come
formulata, sarebbe diretta a colpire in primis gli esercizi molto
piccoli, in quanto le imprese di medie o grandi dimensioni ben
difficilmente potrebbero subire contestazioni tali da riguardare il
20 per cento dell’organico.
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto nel
giudizio di legittimita’ costituzionale, chiedendo che la questione
sia dichiarata inammissibile o infondata.
La difesa dello Stato rileva che la normativa censurata, al fine
di contrastare il lavoro irregolare e di assicurare il rispetto delle
regole di prevenzione nei luoghi di lavoro, disciplina il
procedimento per l’adozione della misura cautelare che dispone la
sospensione dell’attivita’ imprenditoriale, da porre in essere in
presenza di determinati presupposti e di condizioni di effettivo
rischio e pericolo, certificati nel verbale redatto dagli ispettori
del lavoro, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali e
amministrative vigenti.
La procedura sarebbe diretta al rispetto delle esigenze di
celerita’ e di non aggravamento del procedimento, con prevalenza
dell’interesse pubblico primario tutelato dall’art. 97 Cost., avuto
riguardo alla particolare finalita’ della disposizione, per la quale
si sarebbe reso necessario escludere l’applicabilita’ della legge n.
241 del 1990 allo scopo di evitare che il provvedimento di
sospensione sia adottato soltanto all’esito del procedimento
sanzionatorio.
Ad avviso dell’interveniente, peraltro, un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81
del 2008, imporrebbe di ritenere che la norma, nella parte in cui
esclude l’applicazione della legge n. 241 del 1990, faccia salvo
l’obbligo di motivazione del provvedimento di sospensione, perche’
questo e’ imposto direttamente dalle norme costituzionali, a garanzia
del diritto del privato di agire in giudizio a tutela delle
situazioni giuridiche ritenute lese da provvedimenti amministrativi.
Il detto obbligo, infatti, discenderebbe dagli artt. 24, 97 e 113
Cost., mentre la mancanza di motivazione avrebbe configurato una
figura sintomatica di eccesso di potere prima ancora che fosse
introdotto l’art. 3 della citata legge.
Sotto tale aspetto, la disposizione censurata non violerebbe i
principi costituzionali invocati dal rimettente, in quanto «il
richiamo ai presupposti di legge accertati nel verbale ispettivo
costituisce un momento del procedimento amministrativo su cui si
fonda, sotto il profilo sostanziale, la legittimita’ del
provvedimento di sospensione dell’attivita’ imprenditoriale».

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (d’ora
in avanti, T.A.R.), con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita
della legittimita’ costituzionale – in riferimento agli articoli 97,
primo comma, 24 e 113 della Costituzione – dell’art. 14, comma 1, del
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’art. 1
della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute
e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui prevede
che «ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le
disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241» e,
segnatamente, nella parte in cui esclude l’applicazione ai
provvedimenti de quibus dell’art. 3, comma 1, della legge ora citata
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi), concernente l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti amministrativi.
2. – Il rimettente e’ chiamato a pronunciare in un giudizio
amministrativo promosso dal titolare di una ditta individuale, avente
ad oggetto la produzione e la vendita di pizze da asporto, nei
confronti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale per
l’annullamento di un provvedimento, adottato dalla Direzione
provinciale del lavoro di Genova. Con esso e’ stata disposta la
sospensione dell’attivita’ imprenditoriale, essendo risultato
l’impiego di due fattorini addetti al recapito delle pizze (pari al
66 per cento del totale dei lavoratori presenti sul posto di lavoro),
non emergenti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
Il giudice a quo ritiene che la norma censurata, in forza della quale
il provvedimento di sospensione e’ stato emesso, sia in contrasto con
i parametri costituzionali dianzi indicati, perche’ l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti amministrativi, di cui all’art. 3,
comma 1, della legge n. 241 del 1990, costituisce un principio
generale, che attua i canoni costituzionali di imparzialita’ e buon
andamento dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost., nonche’
la tutela del diritto di difesa contro gli atti della pubblica
amministrazione, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost.
3. – In via preliminare, si deve rilevare che e’ impugnato l’art.
14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, nel testo originario (in
Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2008, entrato in vigore il 15 maggio
2008). Detta disposizione e’ stata dapprima modificata dall’art. 41,
comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, e poi sostituita dall’art. 11, comma 1, lettera
a), del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (Disposizioni
integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro). Peraltro, con l’ordinanza di rimessione la norma e’
censurata nella parte in cui dispone che «Ai provvedimenti del
presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 241» e, segnatamente, «nella parte in cui esclude
l’applicazione ai provvedimenti de quibus dell’art. 3, comma 1, della
legge 7 agosto 1990, n. 241, per contrasto con gli artt. 97, comma 1,
24 e 113 Cost.». In tale dettato la disposizione non ha subito
modifiche nelle tre versioni suddette. Pertanto, avuto riguardo alla
persistenza del medesimo contenuto precettivo recato in parte qua
dalle menzionate disposizioni, la questione deve ritenersi trasferita
sulla nuova norma, sostitutiva di quella originaria e identica a
questa, addirittura nella stessa formulazione letterale (nei giudizi
in via incidentale: sentenze n. 270 e n. 84 del 1996; nei giudizi in
via principale: sentenze n. 40 del 2010 e n. 237 del 2009).
4. – Ancora in via preliminare, si deve osservare che, per
giurisprudenza costante di questa Corte, l’oggetto del giudizio di
legittimita’ costituzionale in via incidentale e’ limitato alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione,
non potendo essere considerati, oltre i limiti in queste fissati,
ulteriori questioni o profili dedotti dalle parti, eccepiti ma non
fatti propri dal giudice a quo oppure diretti ad ampliare o
modificare il contenuto delle stesse ordinanze. Ne deriva che sono
inammissibili, e non possono formare oggetto di esame in questa sede,
le deduzioni della parte privata dirette ad estendere il thema
decidendum, non soltanto attraverso l’invocazione di ulteriori
parametri costituzionali, ma anche con la denunzia di altre
disposizioni rispetto a quella sospettata d’illegittimita’
costituzionale dal rimettente (ex plurimis: sentenze n. 50 del 2010,
n. 311 e n. 236 del 2009).
5. – L’Avvocatura dello Stato ha dedotto l’inammissibilita’ della
questione, ma l’eccezione (peraltro priva di un adeguato apparato
argomentativo) non e’ fondata.
Infatti il T.A.R. ha motivato, sia pure in termini concisi, sulla
rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, ed ha aggiunto che il
dettato normativo conduce ad escludere in modo espresso l’obbligo di
motivazione per il provvedimento impugnato nel giudizio a quo, cosi’
rendendo palese, in forma implicita ma chiara, di non poter ricercare
un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma
censurata. Si tratta di valutazioni non implausibili, che consentono
di dare ingresso alla questione di legittimita’ costituzionale.
6. – Nel merito, essa e’ fondata.
6.1. – Si deve premettere che l’art. 3, comma 1, della legge n.
241 del 1990 (e successive modificazioni) stabilisce che «ogni
provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti
l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi
ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi
previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di
fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria».
Il comma 2, poi, esclude la necessita’ della motivazione per gli atti
normativi e per quelli a contenuto generale.
La norma sancisce ed estende il principio, di origine
giurisprudenziale, che in epoca anteriore all’entrata in vigore della
legge n. 241 del 1990 aveva gia’ affermato la necessita’ della
motivazione, con particolare riguardo al contenuto degli atti
amministrativi discrezionali, nonche’ al loro grado di lesivita’
rispetto alle situazioni giuridiche dei privati, individuando nella
insufficienza o mancanza della motivazione stessa una figura
sintomatica di eccesso di potere.
L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi e’ diretto a
realizzare la conoscibilita’, e quindi la trasparenza, dell’azione
amministrativa. Esso e’ radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in
quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon
andamento e d’imparzialita’ dell’amministrazione e, dall’altro,
consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una
propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela
giurisdizionale.
6.2. – In questo quadro, la disposizione censurata non e’
conforme ai parametri costituzionali sopra indicati.
Infatti essa, escludendo in modo espresso l’applicabilita’
dell’intera legge n. 241 del 1990 ai provvedimenti di sospensione
dell’attivita’ imprenditoriale, previsti dall’art. 14, comma 1, del
d.lgs. n. 81 del 2008, nel testo sostituito dall’art. 11, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 106 del 2009, rende non applicabile anche a
tali provvedimenti l’obbligo di motivazione di cui all’art. 3, comma
1, di detta legge, consentendo cosi’ all’organo o ufficio procedente
di non indicare «i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che
hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione
alle risultanze dell’istruttoria».
Restano, dunque, elusi i principi di pubblicita’ e di trasparenza
dell’azione amministrativa, pure affermati dall’art. 1, comma 1,
della legge n. 241 del 1990, ai quali va riconosciuto il valore di
principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di
imparzialita’ e buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo
comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente
protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stesse
amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.; sul principio di pubblicita’,
sentenza n. 104 del 2006, punto 3.2 del Considerato in diritto). E
resta altresi’ vanificata l’esigenza di conoscibilita’ dell’azione
amministrativa, anch’essa intrinseca ai principi di buon andamento e
d’imparzialita’, esigenza che si realizza proprio attraverso la
motivazione, in quanto strumento volto ad esternare le ragioni e il
procedimento logico seguiti dall’autorita’ amministrativa. Il tutto
in presenza di provvedimenti non soltanto a carattere discrezionale,
ma anche dotati di indubbia lesivita’ per le situazioni giuridiche
del soggetto che ne e’ destinatario.
Ne’ puo’ condividersi l’argomento della difesa dello Stato,
secondo cui la previsione normativa sarebbe diretta «al rispetto
delle esigenze di celerita’ e di non aggravamento del procedimento,
con prevalenza dell’interesse pubblico primario tutelato dall’art. 97
Cost. in considerazione della particolare finalita’ della
disposizione, per la quale l’esclusione dell’applicabilita’ della
legge n. 241 del 1990 si e’ resa necessaria per evitare che il
provvedimento di sospensione venga adottato solo all’esito del
procedimento sanzionatorio».
Invero, la giusta e doverosa finalita’ di tutelare la salute e la
sicurezza dei lavoratori, nonche’ di contrastare il fenomeno del
lavoro sommerso e irregolare, non e’ in alcun modo compromessa
dall’esigenza che l’amministrazione procedente dia conto, con
apposita motivazione, dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche che ne hanno determinato la decisione, con riferimento
alle risultanze dell’istruttoria.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, come sostituito
dall’art. 11, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 106 del 2009, nella
parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione
dell’attivita’ imprenditoriale previsti dalla citata norma non si
applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241,
esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’art. 3, comma
1, della citata legge n. 241 del 1990.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 14, comma
1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’art.
1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della
salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), come sostituito
dall’articolo 11, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 3
agosto 2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della
salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui,
stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attivita’
imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le
disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), esclude l’applicazione ai medesimi
provvedimenti dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 novembre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 5 novembre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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