Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-05-2011) 13-06-2011, n. 23619 Liquidazione e valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

no per i ricorrenti che chiede l’accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20 settembre 2010, la Corte d’ Appello di Milano, 4A sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale in sede appellata da V.M. e A.B. T., dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in relazione ai fatti commessi fino al (OMISSIS) perchè estinti per intervenuta prescrizione e per l’effetto riduceva la pena inflitta a V. a sette mesi di reclusione ed Euro 250 di multa e ad A. a tre mesi dieci giorni di reclusione ed Euro 70 di multa; confermava nel resto la sentenza impugnata con la quale erano stati dichiarati colpevoli di appropriazione indebita continuata ai danni di R.L. e condannati al risarcimento in favore della parte civile del danno da liquidarsi in separata sede con liquidazione di provvisionale di Euro 30.000,00 a carico di V. e di Euro 5.000,00 a carico di A..

La Corte territoriale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta della documentazione acquisita che dava conto che il fatturato dello studio associato che avevano costituito era notevolmente aumentato e che V. abusando della fiducia in lui riposta aveva continuato ad emettere fatture a titolo personale (nonostante con la scrittura del 31 marzo 2003 si fosse espressamente impegnato a non emetterne e a fatturare esclusivamente a nome dello studio, in conformità del resto dell’ impegno assunto all’atto della costituzione dell’ associazione con la scrittura del 30 novembre 2000) e a prelevare anticipazioni non sugli utili ma sul fatturata.

Analoghe condotte erano state tenute anche dalla A., moglie di V., che lavorava nello studio associato e che aveva collaborato nell’ attività appropriativa.

Contro tale decisione hanno proposto tempestivi ricorsi gli imputati, a mezzo del difensore, che ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

1) A.B.: – inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 110 e 646 c.p. con particolare riferimento alla sussistenza dell’ elemento oggettivo del reato; mancanza e/o contraddittorietà della motivazione con particolare riferimento all’individuazione in capo all’imputata dell’elemento soggettivo del reato perchè la A., che deve rispondere di concorso nell’ appropriazione indebita limitatamente alle imputazioni sub 1e) e 2c), ha svolto esclusivamente mansioni di segretaria e, nonostante fosse formalmente amministratrice della MB Data Consulting, non si era mai occupata della gestione della società ed in ogni caso, per come risulta dal dibattimento, la MB veniva posta in liquidazione il 29 ottobre 2001 e liquidatore era V.. La motivazione della Corte di appello trascura tali dati; giustifica il convincimento di responsabilità a titolo di concorso sul presupposto che "è fuori della normalità delle cose della vita che i coniugi non ne abbiano discusso" (della decisione di V. di associarsi con R. e di redigere dettagliati accordi n.d.e.). Nessuna condotta specifica di appropriazione è dalla sentenza addebitata alla donna. La sentenza di primo grado ne aveva individuata una (un bonifico del (OMISSIS) allo studio notarile De Napoli) condotta che non è oggetto di imputazione. Peraltro dal novembre 2001 e giugno 2002 ella era stata alle prese con gravi problemi di salute. 2) V.M.:

inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 646 c.p. e mancanza e/o contraddittorietà ed illogicità con particolare riferimento all’elemento soggettivo della motivazione, posto che l’imputato non ha mai negato di aver incassato le somme indicate nel capo d’ imputazione e che dal dibattimento è risultato che le somme erano prelevate dai conti dello studio dei cui estratti conto era destinatario anche R. e che V. teneva la contabilità presso lo studio, accessibile al socio, il quale era anche al corrente della fatturazione in proprio (anzichè a nome dello studio associato) perchè questo riguardava i vecchi clienti di V..

Tale condotta non influiva sulla quantificazione del prezzo di cessione dello studio che era calcolato sul fatturato generato dalla clientela del solo R. (come concordato nell’ atto di cessione delle quote). Non si ignora la diversa versione del querelante, ma proprio il contrasto esistente doveva indurre la Corte territoriale ad una verifica scrupolosa e per questo profilo rilievo doveva essere attribuito al riconoscimento del debito e all’avvenuta restituzione di somma pari alla metà del debito riconosciuto nonchè al consenso prestato acchè proprio R. diventasse liquidatore dello studio. La sua intenzione era quindi solo quella di incassare anticipi sugli utili.
Motivi della decisione

1. Il ricorso di V.M. è dedotto in maniera inammissibile perchè, a fronte della motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto provato il dolo appropriativo dalla constatazione che la condotta è proseguita anche dopo la scrittura del 31 marzo 2003 (con la quale V. espressamente si impegnava di non emettere più fatture a titolo personale) e che i prelievi dai conti dell’ associazione erano anticipazioni non sugli utili ma sul fatturato, il ricorrente insiste nell’ affermare la sua buona fede, senza fornire argomenti specifici idonei a criticare la sentenza impugnata. La Corte territoriale non ha trascurato di dare conto dell’avvenuta restituzione di parte delle somme di cui l’imputato si è appropriato. Ha correttamente rilevato che essa è avvenuta per la parte preponderante in data successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado. Constatazione che il ricorrente non contesta ed anzi espressamente riconosce allorchè individua come data (per la quantificazione della somma complessivamente restituita) il 28 aprile 2009. L’ assunto per il quale il ricorrente avrebbe agito in buona fede, perchè la sua quota all’interno dell’associazione era pari al 95%, non supera la specificità della motivazione della sentenza impugnata che, si ripete, ha posto in rilievo l’accordo del 31 marzo 2003; ha ricordato che il limite dell’importo degli anticipi che gli era consentito; ha messo in evidenza la circostanza che la quota di sua spettanza era sugli utili, detratte quindi le spese e l’IRPEF. La sentenza ha cioè fornito un congruo apparato argomentativo per giustificare il convincimento della sussistenza del dolo appropriativo e non ha mancato di prendere in considerazione gli elementi indicati nella prospettiva difensiva, contestandone compiutamente il significato probatorio.

Il ricorrente deve in conseguenza essere condannato al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si quantifica in mille/00 Euro.

2. Il ricorso di A.B..

2.1. è inammissibile per le parti in cui, al fine di contestare la congruità della motivazione della sentenza impugnata, introduce elementi di natura fattuale attraverso il riferimento a dati risultanti dal dibattimento, peraltro solo genericamente indicati, in violazione di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) che consente, al fine di denunciare la contraddittorietà mancanza della motivazione, di individuare come tertium comparationis gli atti del processo, purchè però essi siano "specificamente indicati". Non è quindi sufficiente dedurre ad esempio che la ricorrente sia stata "solo formalmente amministratrice della MB Data Consulting";

2.2. è infondato nella parte in cui denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver affermato che non si intende addebitare all’imputata l’essersi sposata con V., finisce con l’attribuire rilevanza al rapporto di coniugio al fine di giustificare il convincimento di consapevolezza nel concorso a lei addebitato allorchè afferma che "è fuori della normalità delle cose della vita che i coniugi non ne abbiano discusso anche nei dettagli", in riferimento alla scelta del V. di associarsi con R., perchè la sentenza impugnata va letta in collegamento con la sentenza di primo grado, che aveva argomentato in maniera diffusa sulle ragioni per le quali aveva ritenuto l’influenza del rapporto di coniugio, ma dopo aver dato conto del sostanziale permanere in capo alla ricorrente della gestione della MB, nonostante la formale nomina di liquidatore del V.. Tale assunto è stato giustificato attraverso l’analisi dell’ attività riconducibile alla A.. In questa ottica era stata valutata l’iniziativa dell’ imputata di disporre un bonifico in data (OMISSIS) a favore dello studio notarile De Napoli. In tal modo non si è violato il disposto dell’art. 521 c.p.p., perchè tale condotta è stata presa in considerazione al solo fine di rendere conto del convincimento della consapevolezza della ricorrente di quanto avveniva nella fase di liquidazione della società MB. 2.3. Il reato è tuttavia prescritto, perchè l’ultimo atto addebitato dall’imputazione alla ricorrente si arresta al (OMISSIS).

Restano ovviamente ferme le statuizioni civili.

3. Segue la condanna in solido dei ricorrenti alla rifusione in favore della parte civile delle spese sostenute nel presente grado di giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di V.M. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende; annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente a A.B.T. perchè estinto il reato a lei ascritto per prescrizione; rigetta nel resto il ricorso della A.; conferma le statuizioni civili adottate nei suoi confronti. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore della parte civile R.L. delle spese sostenute in questo grado, di giudizio che liquida in complessivi Euro 5000,00 oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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