Corte Costituzionale sentenza n. 324 SENTENZA 03 – 12 novembre 2010 .

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 46 del 17-11-2010

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale degli artt. 40, comma 1,
lettera f), e 49, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009,
n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di
ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), promossi
dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche con ricorsi notificati il 29
dicembre 2009, 4 gennaio 2010 e il 29 dicembre 2009, depositati in
cancelleria il 30 e il 31 dicembre 2009 e il 4 gennaio 2010 e
rispettivamente iscritti ai nn. 108 e 110 del registro ricorsi 2009
ed al n. 1 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Luigi Mazzella;
Uditi gli avvocati Mario Eugenio Comba per la Regione Piemonte,
Lucia Bora per la Regione Toscana, Stefano Grassi per la Regione
Marche e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Piemonte ha promosso, in riferimento all’art.
117, terzo e quarto comma, della Costituzione, questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f),
«secondo capoverso», del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150
(Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di
ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni).
La ricorrente premette che la disposizione impugnata modifica
l’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), introducendo, dopo il comma 6, i commi
6-bis e 6-ter, il quale ultimo recita: «il comma 6 ed il comma 6-bis
si applicano alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2», tra le
quali rientrano anche le Regioni.
L’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che il
conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni
all’amministrazione puo’ essere effettuato entro il limite del 10 per
cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima
fascia e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli
appartenenti alla seconda fascia; non puo’ prevedere una durata
superiore ai tre anni per gli incarichi di segretario generale e di
funzione dirigenziale di livello generale e di cinque anni per gli
altri incarichi dirigenziali; deve avvenire, dietro specifica
motivazione, a favore di persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli
dell’Amministrazione, che possano dimostrare il possesso di
specifiche esperienze; puo’ prevedere l’integrazione del trattamento
economico tramite un’indennita’ commisurata alla specifica
qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneita’ del
rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche
competenze professionali. Il successivo comma 6-bis dispone che, per
il calcolo delle percentuali di cui sopra, si deve operare un
arrotondamento all’unita’ inferiore, se il primo decimale e’
inferiore a cinque, o all’unita’ superiore, se esso e’ uguale o
superiore a cinque.
Ad avviso della Regione Piemonte, quelle appena richiamate sono
disposizioni che attengono esclusivamente alle modalita’ di accesso
all’impiego pubblico, disciplinando, tra l’altro con norme di estremo
dettaglio, la particolare fattispecie dell’affidamento di incarichi
dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione. La norma statale
impugnata, estendendo tali disposizioni alle Regioni, violerebbe
pertanto l’art. 117, quarto comma, Cost., poiche’ la materia delle
modalita’ di accesso all’impiego pubblico regionale rientra in quella
dell’autonomia dell’organizzazione amministrativa regionale la quale
appartiene alla competenza residuale esclusiva regionale.
La ricorrente aggiunge che lo stesso d.lgs. n. 150 del 2009
riconosce che la materia dell’attribuzione degli incarichi di
funzioni dirigenziali non e’ compresa tra quelle di competenza
legislativa statale, ne’ tra quelle ripartite. Il censurato art. 40,
infatti, non e’ incluso dall’art. 74, comma 1, dello stesso d.lgs. n.
150 del 2009 tra quelli riconducibili alla potesta’ legislativa
statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l) e m),
della Costituzione.
La Regione Piemonte sostiene, in via subordinata, che la norma
impugnata sarebbe illegittima anche se si dovesse ritenere che essa
rientri nelle competenze legislative concorrenti di cui all’art. 117,
terzo comma, della Costituzione. Essa, infatti, non detta principi
fondamentali, ma scende nel dettaglio, fissando la percentuale di
incarichi dirigenziali esterni attribuibili dalle amministrazioni
regionali nonche’ la loro durata massima, senza lasciare alle Regioni
alcuno spazio di autonoma scelta e dettando direttamente la regola
applicativa.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si e’ costituito e ha
chiesto che il ricorso sia respinto.
La difesa erariale sostiene che l’art. 19, comma 6-ter, del
d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’art. 40 del d.lgs. n. 150 del
2009, non regolando l’accesso agli incarichi dirigenziali, non
attiene all’organizzazione amministrativa delle Regioni, bensi’ alla
materia dell’ordinamento civile, poiche’ esso disciplina gli aspetti
fondamentali del rapporto costituito con il soggetto esterno
all’amministrazione (durata, qualificazione, corrispettivo
economico). In quanto tale, esso rientra nella competenza esclusiva
dello Stato.
3. – La Regione Toscana ha promosso, in riferimento agli artt.
76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009,
nella parte in cui introduce il comma 6-ter nell’art. 19 del d.lgs.
n. 165 del 2001, e dell’art. 49, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 150
del 2009, nella parte in cui, modificando l’art. 30, comma 1, del
d.lgs. n. 165 del 2001, dispone che le amministrazioni, prima di
bandire un concorso pubblico, debbano «rendere pubbliche le
disponibilita’ dei posti in organico da ricoprire attraverso
passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando
preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento e’ disposto
previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e
degli uffici cui il personale e’ o sara’ assegnato sulla base della
professionalita’ in possesso del dipendente in relazione al posto
ricoperto o da ricoprire».
3.1. – Rispetto all’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009, la
ricorrente lamenta che esso, introducendo nell’art. 19 del d.lgs. n.
165 del 2001 il comma 6-ter, estende alle Regioni la disciplina del
conferimento degli incarichi dirigenziali di cui al comma 6 del
predetto art. 19 e, in particolare, la previsione per cui detti
incarichi possono essere conferiti a tempo determinato solo entro il
limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti
appartenenti alla prima fascia e dell’8 per cento a quelli della
seconda fascia dei ruoli dirigenziali.
Cosi’ disponendo, la norma contrasterebbe con l’art. 117, quarto
comma, Cost., poiche’ essa atterrebbe alla materia dell’ordinamento
del personale e dell’organizzazione amministrativa regionale
riservata alla competenza esclusiva delle Regioni.
Ad avviso della difesa regionale, la norma impugnata non e’
giustificata da alcun titolo di competenza statale. In particolare,
non potrebbe sostenersi che essa sia finalizzata a garantire
l’osservanza dei principi di trasparenza e di efficacia
dell’attivita’ amministrativa: in primo luogo perche’ il limite del
10 per cento non garantisce di per se’ il rispetto dei canoni
suddetti; in secondo luogo, perche’, laddove si affermasse il potere
dello Stato di intervenire direttamente nell’organizzazione interna
degli uffici regionali per il buon andamento dell’amministrazione,
l’autonomia regionale verrebbe vanificata, poiche’ ogni disciplina
dell’organizzazione amministrativa deve essere diretta attuazione
dell’art. 97 della Costituzione.
L’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009 non rientrerebbe neppure
nella materia del coordinamento della finanza pubblica; infatti il
conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato non
provoca un aumento di spesa, poiche’ ad esso si ricorre per far
fronte ad esigenze straordinarie e temporanee ovvero per garantire la
continuita’ dell’azione amministrativa nel tempo necessario ad
espletare i concorsi diretti a colmare i vuoti in organico. Comunque,
seppure si ravvisasse nella norma censurata una finalita’ di
contenimento della spesa, la medesima sarebbe comunque
incostituzionale, perche’ non si presta in alcun modo, per il suo
livello di dettaglio, ad individuare un principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica quale limite complessivo della
spesa corrente, ma, in ipotesi, inciderebbe su una voce di spesa,
introducendo un vincolo puntuale e specifiche modalita’ del suo
contenimento. Percio’, ove ritenuta giustificata da esigenze
finanziarie, la norma determinerebbe un’inammissibile ingerenza
nell’autonomia finanziaria regionale, con conseguente sua
illegittimita’ costituzionale per violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 119 della Costituzione.
Infine, secondo la Regione Toscana, la norma impugnata lederebbe
il principio di leale collaborazione ed i criteri direttivi della
legge delega. Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge 4
marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione
della produttivita’ del lavoro pubblico e alla efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonche’ disposizioni
integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti), il decreto
legislativo avrebbe dovuto essere adottato, per alcuni aspetti (tra i
quali anche quello della dirigenza e, quindi, del conferimento degli
incarichi dirigenziali), previa intesa con la Conferenza unificata
Stato-Regioni e Autonomie locali o, quanto meno, per gli altri
profili, con il parere della suddetta Conferenza. Invece la
disposizione impugnata non e’ stata oggetto ne’ di parere ne’ di
intesa con la Conferenza unificata, ma e’ stata inserita nel decreto
dopo il parere espresso dal Senato, senza alcun coinvolgimento
regionale. Sussisterebbe, pertanto, violazione (oltre che del
principio di leale collaborazione) dell’art. 76 Cost., violazione che
puo’ essere fatta valere dalla Regione perche’ determina una
menomazione delle competenze regionali costituzionalmente garantite
in materia di organizzazione amministrativa ed ordinamento del
personale.
3.2. – Quanto all’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009,
la Regione Toscana sostiene che esso contrasterebbe con gli artt. 97
e 117, quarto comma, della Costituzione.
La norma censurata sostituisce l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n.
165 del 2001 in tema di mobilita’ volontaria tra le pubbliche
amministrazioni, imponendo a tutte le amministrazioni, e dunque anche
alle Regioni, prima di procedere all’espletamento di procedure
concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, di «rendere
pubbliche le disponibilita’ dei posti in organico da ricoprire
attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni,
fissando preventivamente i criteri di scelta»; la norma aggiunge che
«Il trasferimento e’ disposto previo parere favorevole dei dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e’ o sara’
assegnato sulla base della professionalita’ in possesso del
dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire».
La difesa regionale nega che sia possibile assimilare tale
disposizione all’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede,
a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’onere di comunicare
al personale collocato in disponibilita’ ovvero interessato ai
processi di mobilita’ previsti dalle leggi e dai contratti collettivi
l’esigenza di assunzione. Tale norma, infatti, mira a consentire al
personale – che rischia di perdere il lavoro in quanto «in
disponibilita’» per mancanza di posti – di ritrovare una collocazione
in altre amministrazioni. In considerazione di tale finalita’ di
tutela del lavoro, la Corte costituzionale (sentenza n. 388 del 2004)
ha ritenuto la disposizione non invasiva delle competenze regionali
in materia di organizzazione ed ordinamento del personale, essendo
piuttosto diretta a promuovere, nel settore del pubblico impiego,
condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art.
4 Cost. e a rimuovere ostacoli all’esercizio di tale diritto in
qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.).
La norma impugnata, riferendosi alla mobilita’ volontaria e
prescindendo del tutto da un esubero del personale, inciderebbe
fortemente sull’autonomia organizzativa delle amministrazioni
regionali sotto due profili.
In primo luogo, perche’ introduce un impegnativo onere per
l’amministrazione che ha necessita’ di coprire il posto vacante
(determinazione dei criteri di valutazione, esame delle domande di
mobilita’, effettuazione dei colloqui e redazione di una
graduatoria). In secondo luogo, perche’ limita la possibilita’ per
l’amministrazione di ricercare, scegliere ed assumere il personale
piu’ preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione di
cui all’art. 97 Cost., il quale richiede l’espletamento del concorso
pubblico.
A quest’ultimo proposito la ricorrente sostiene che la
disposizione impugnata non e’ conforme ai principi enunciati dalla
giurisprudenza costituzionale, in quanto la deroga al pubblico
concorso non e’, nel caso in esame, giustificabile in base ad alcuna
esigenza di interesse pubblico, posto che l’assunzione con la
procedura di mobilita’ risponde solo all’interesse dell’interessato
al trasferimento per motivi personali. Ne’ potrebbe essere sostenuto
che la norma abbia una finalita’ di contenimento della spesa
pubblica, poiche’ all’amministrazione che ha acconsentito al
trasferimento del dipendente non e’ precluso assumere altro personale
in sostituzione di quello; in tal modo alcune amministrazioni
dovranno coprire i posti vacanti con la procedura di mobilita’
volontaria ed altre potranno continuare a bandire concorsi e cio’
solo per motivi legati alle scelte personali del dipendente.
Ad avviso della Regione Toscana, pertanto, l’art. 49, comma 1,
del d.lgs. n. 150 del 2009 violerebbe, oltre all’art. 117, quarto
comma, della Costituzione, per la lesione dell’autonomia
organizzativa regionale, anche l’art. 97 Cost., perche’ limita il
reclutamento del personale mediante il concorso pubblico, e quindi
non permette di osservare i criteri di efficienza, imparzialita’ e
buona amministrazione che il predetto precetto costituzionale vuole
garantire nell’organizzazione degli uffici. La ricorrente aggiunge di
essere legittimata a far valere la violazione del citato art. 97
Cost. perche’ essa determina una compromissione della propria
autonomia organizzativa.
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si e’ costituito e ha
chiesto che il ricorso sia respinto.
4.1. – In ordine alla questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009, sollevata in riferimento
all’art. 117, quarto comma, Cost., la difesa dello Stato svolge
argomentazioni analoghe a quelle illustrate nell’atto di costituzione
nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte e riportate supra, sub
n. 2, aggiungendo che, comunque, essendo indubbio che, almeno in
parte, la norma censurata regola una materia di competenza esclusiva
statale, lo Stato era abilitato a dettare una normativa di principio
incidente su competenze regionali e conforme al dettato
costituzionale in tema di accesso e svolgimento del rapporto di
impiego pubblico (al riguardo il resistente richiama in particolare
l’art. 97 Cost.).
Rispetto alle censure proposte avverso la medesima norma con
riferimento al principio di leale collaborazione ed all’art. 76
Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce
preliminarmente la loro inammissibilita’, poiche’ le Regioni non
possono impugnare in via principale norme statali per violazione di
precetti costituzionali diversi da quelli direttamente regolanti il
riparto di competenze tra Stato e Regioni.
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato nega che il Governo abbia
ecceduto dai limiti della delega, essendo incontestabile che nella
materia delegata («disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni») rientri anche la regolamentazione
dei limiti e delle modalita’ di accesso alle qualifiche dirigenziali.
Il resistente aggiunge che sulla disposizione impugnata e’
intervenuta intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni ed
autonomie locali.
4.2. – Per quanto concerne la questione relativa all’art. 49 del
d.lgs. n. 150 del 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, con
riferimento alla pretesa violazione dell’art. 117, quarto comma,
Cost., deduce che la norma impugnata disciplina un aspetto della
mobilita’, istituto applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche
poiche’ rientrante nella competenza legislativa statale di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. ovvero, in via
subordinata, nelle materie, di competenza concorrente, della tutela
del lavoro e della armonizzazione dei bilanci pubblici e della
finanza pubblica.
La censura sollevata in riferimento all’art. 97 Cost. sarebbe,
invece, in primo luogo inammissibile, perche’ il parametro
costituzionale non rientra tra quelli deducibili dalle Regioni.
In secondo luogo, sarebbe infondata, perche’ la norma denunciata
e’ diretta a razionalizzare l’utilizzazione dei dipendenti pubblici,
prevedendo la copertura di posti vacanti con personale gia’ in forza
ad una pubblica amministrazione, evitando una lunga e costosa
procedura concorsuale fonte di nuove assunzioni e ulteriori oneri per
la finanza pubblica.
5. – La Regione Marche ha promosso, in riferimento agli artt. 76
e 117, quarto comma, Cost., questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009.
La ricorrente premette che la norma impugnata incide su una
materia gia’ integralmente disciplinata dall’art. 28 della legge
della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20 (Norme in materia di
organizzazione e di personale della Regione), il quale detta una
normativa che, pur conforme alla ratio di quella statale oggetto di
censura, non trova coincidenza con i nuovi vincoli che il legislatore
statale ha inteso imporre alle Regioni e, in particolare, con il
limite complessivo del 10 per cento dei posti della dotazione
organica dirigenziale per l’affidamento di tutti gli incarichi a
contratto, con l’annesso limite soggettivo dei possibili affidatari
(ormai coincidenti con i soli soggetti estranei all’amministrazione)
e, infine, con il criterio di arrotondamento automatico, per il
calcolo del suddetto limite percentuale, all’unita’ inferiore qualora
il primo decimale sia inferiore a cinque o all’unita’ superiore
qualora esso sia uguale o superiore a cinque.
La Regione Marche sostiene che l’art. 40, comma 1, lettera f),
del d.lgs. n. 150 del 2009 contrasta, in primo luogo, con l’art. 117,
quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la potesta’
legislativa residuale nella materia «organizzazione amministrativa e
ordinamento del personale della Regione». In proposito la ricorrente
richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la
quale la regolamentazione delle modalita’ di accesso al lavoro
pubblico regionale e’ riconducibile alla materia dell’organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e
rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117,
quarto comma, Cost. (la difesa regionale menziona le sentenze n. 95
del 2008, n. 233 del 2006, n. 380 e n. 2 del 2004, n. 274 del 2003).
La Regione Marche contesta che l’impugnato art. 40 del d.lgs. n.
150 del 2009 possa essere ricondotto alla materia «ordinamento
civile», dalla quale sono escluse le norme volte a disciplinare le
modalita’ tramite le quali (o i limiti entro i quali) le pubbliche
amministrazioni possono far ricorso agli strumenti riguardanti i
rapporti tra privati. E, nella fattispecie, la norma censurata non si
risolve nella regolazione dell’esercizio dell’autonomia negoziale;
essa, invece, pone dei limiti alle ipotesi in cui la pubblica
amministrazione puo’ fare uso di tale autonomia, restando ferma la
disciplina del suo esercizio e dei rapporti contrattuali che ne
derivano. Anche la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto –
ad avviso della ricorrente – che, mentre la regolazione del rapporto
di lavoro rientra nell’«ordinamento civile», gli aspetti attinenti
alle modalita’ e ai limiti della instaurazione e della cessazione di
tale rapporto ineriscono alla materia della «organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali».
La Regione nega, poi, che l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2009
possa essere ricondotto alla materia «coordinamento della finanza
pubblica». Infatti esso non avrebbe ne’ la finalita’, ne’ l’effetto
di determinare il contenimento della spesa pubblica complessiva per
la remunerazione delle funzioni dirigenziali, poiche’ il conferimento
di incarichi di dirigente a contratto, se avviene entro i limiti
della dotazione organica, non puo’, per sua stessa natura,
determinare alcuna spesa maggiore per l’amministrazione conferente.
La Regione Marche aggiunge che, anche a voler ritenere che la
norma impugnata abbia un effetto di contenimento della spesa
pubblica, essa sarebbe comunque illegittima, perche’, imponendo un
vincolo puntuale e specifico che non lascia alcun margine di
attuazione al libero apprezzamento del legislatore regionale, non
potrebbe essere considerata come un principio fondamentale in materia
di «coordinamento della finanza pubblica».
La ricorrente deduce, poi, che, per le ragioni gia’ spiegate,
l’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009 viola
l’art. 117, quarto comma, Cost., anche nella parte in cui questo
attribuisce alle Regioni la potesta’ legislativa residuale nella
materia «organizzazione amministrativa e ordinamento del personale
dei comuni, delle province e delle citta’ metropolitane», il
legislatore statale non disponendo di un titolo di potesta’
legislativa che lo abiliti a disciplinare le modalita’ di accesso al
lavoro presso le amministrazioni degli enti locali territoriali,
potendo esclusivamente, in riferimento a tali enti, regolare la
materia della «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni
fondamentali di comuni, province e citta’ metropolitane» come
previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera p), della
Costituzione.
La difesa regionale afferma, quindi, che nella giurisprudenza
costituzionale esisterebbero due differenti indirizzi circa la
spettanza della potesta’ legislativa in materia di ordinamento degli
enti locali: uno (rappresentato dalle sentenze n. 159 del 2008, n.
377 e n. 48 del 2003) secondo cui essa continuerebbe a spettare,
immutata, allo Stato anche dopo l’entrata in vigore della legge
costituzionale 18 ottobre del 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della
parte seconda della Costituzione); l’altro (al riguardo la Regione
menziona le sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del 2006, n. 456 e n.
244 del 2005, in tema di comunita’ montane) secondo cui questa
potesta’ legislativa deve ormai ritenersi compresa nell’area della
competenza residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma,
della Costituzione. La ricorrente ritiene che il primo indirizzo non
possa essere condiviso, stante la mancanza di un titolo
costituzionale che affidi allo Stato la competenza generale in
materia di ordinamento degli enti locali, onde non resterebbe che
ritenere che siffatta materia ricada nell’ambito disciplinato
dall’art. 117, quarto comma, Cost., spettando dunque alla potesta’
residuale regionale, fatto salvo quanto previsto dall’art. 117,
secondo comma, lettera p), Cost., e da eventuali ulteriori titoli di
intervento statale in grado di giustificare «incursioni» nella
materia de qua. Ad avviso della ricorrente, tale conclusione sarebbe
confermata dalla sentenza n. 326 del 2008, con la quale questa Corte
ha ricondotto alla «potesta’ legislativa regionale in materia di
organizzazione degli uffici (…) degli enti locali, fondata
sull’art. 117 Cost.», una disposizione che imponeva alcune
limitazioni alle societa’ partecipate da enti locali per lo
svolgimento di funzioni amministrative o attivita’ strumentali alle
stesse.
La Regione Marche deduce, inoltre, che l’art. 40, comma 1,
lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009 violerebbe anche l’art. 76
Cost., sia perche’ contrasterebbe con l’oggetto della delega
legislativa individuato nell’art. 2, comma 1, della legge n. 15 del
2009, sia perche’ non sarebbe conforme ai principi ed ai criteri
direttivi contenuti nell’art. 2, comma 2, della medesima legge di
delegazione.
Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene che la legge di
delegazione limitava i poteri normativi del Governo alla sola riforma
della «disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 2, comma 2», del
decreto legislativo n. 165 del 2001, sicche’ l’art. 40, comma 1,
lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009, recando una disciplina
concernente i limiti e le modalita’ di accesso agli incarichi di
dirigente pubblico a contratto, esorbiterebbe dall’ambito oggettivo
della delega, circoscritto, appunto, alla disciplina del rapporto di
lavoro dei dipendenti pubblici.
Ne’, in senso contrario, potrebbe essere richiamato l’art. 6,
comma 2, lettera h). Infatti la predetta disposizione della legge di
delega contemplava il seguente «principio e criterio direttivo»:
«Ridefinire i criteri di conferimento, mutamento o revoca degli
incarichi dirigenziali, (…), e ridefinire, altresi’, la disciplina
relativa al conferimento degli incarichi ai soggetti estranei alla
pubblica amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli,
prevedendo comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla
normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica
entro cui e’ possibile il conferimento degli incarichi medesimi».
Dunque la delega a prevedere «la riduzione delle quote percentuali di
dotazione organica» entro le quali ammettere l’attribuzione di
incarichi dirigenziali «a contratto» era espressamente riferita solo
al conferimento degli incarichi «ai soggetti estranei alla pubblica
amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli»
dell’Amministrazione conferente. Il legislatore delegato non era
abilitato ad estendere, come invece risulta dal nuovo testo del comma
6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, il suddetto limite delle
quote percentuali di dotazione organica a tutti i conferimenti di
incarichi dirigenziali a contratto, comprendendovi, oltre a quelli
riguardanti i soggetti espressamente individuati dalla citata norma
della legge di delegazione, anche quelli concernenti i soggetti
dipendenti della medesima amministrazione conferente, ma non aventi
la qualifica di dirigente.
Quanto all’ammissibilita’ della censura in questione, la
ricorrente sostiene che, nella fattispecie, la violazione dell’art.
76 Cost. ridonda in lesione delle sfere di competenza regionale,
poiche’ l’aver il decreto legislativo esteso alle Regioni anche la
disciplina in tema di limiti e modalita’ di accesso al lavoro
pubblico, impedisce alla normativa regionale esistente di dispiegare
la propria efficacia, e alla Regione di porre in essere nuove norme
in un ambito materiale che, attenendo all’organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti locali, e’ di sua
competenza.
Circa il contrasto dell’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs.
n. 150 del 2009 con i principi e criteri direttivi contenuti
nell’art. 2, comma 2, della legge n. 15 del 2009, la Regione Marche
deduce che questi ultimi imponevano al Governo l’adozione dei decreti
legislativi «previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui
all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni, relativamente all’attuazione delle
disposizioni di cui agli articoli 3, comma 2, lettera a), 4, 5 e 6,
nonche’ previo parere della medesima Conferenza relativamente
all’attuazione delle restanti disposizioni della presente legge».
Orbene, la disposizione censurata (riconducibile alla materia della
«dirigenza pubblica» di cui all’art. 6 della medesima legge n. 15),
in particolare nella parte in cui introduce il nuovo comma 6-ter
nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, e’ stata inserita dal
Governo all’interno del d.lgs. n. 150 del 2009 a seguito dei pareri
espressi dalle competenti Commissioni parlamentari, senza pero’
essere stata sottoposta alla prescritta intesa in sede di Conferenza
unificata (la quale era intervenuta il 29 luglio 2009). Tale vizio si
traduce nella violazione dell’art. 76 Cost., alla cui denuncia in
sede di giudizio di legittimita’ costituzionale in via principale la
Regione vanterebbe uno specifico interesse, come desumibile, ad
avviso della ricorrente, anche dalla giurisprudenza di questa Corte
(la difesa regionale cita, in proposito, le sentenze n. 206 e n. 110
del 2001).
6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si e’ costituito e ha
chiesto che il ricorso sia respinto, sulla base di considerazioni
analoghe a quelle esposte nell’atto di costituzione nel giudizio
promosso dalla Regione Toscana e riportate supra, sub n. 4.1.
In riferimento alla pretesa violazione delle attribuzioni
regionali in tema di organizzazione amministrativa e ordinamento del
personale degli enti locali, il resistente aggiunge che le Regioni a
statuto ordinario, in realta’, non hanno alcuna competenza in
materia, rientrando quest’ultima nella competenza esclusiva statale
prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera p), della
Costituzione.
7. – In prossimita’ dell’udienza pubblica le Regioni Toscana e
Marche hanno depositato memorie.
7.1. – La Regione Toscana insiste nell’accoglimento delle
conclusioni rassegnate nel proprio ricorso.
In particolare, la ricorrente nega che l’art. 40 del d.lgs. n.
150 del 2009 possa essere ricondotto alla materia dell’ordinamento
civile, regolando esso non gia’ aspetti propri del rapporto di lavoro
tra pubblica amministrazione e dirigente, bensi’ la diversa e
preliminare fase dell’accesso all’impiego presso le Regioni, profilo
che rientra nella materia dell’ordinamento degli uffici e del
personale regionale, oggetto di potesta’ legislativa residuale delle
Regioni.
La norma in questione, ad avviso della difesa regionale, neppure
potrebbe essere ricondotta alla materia del coordinamento della
finanza pubblica, per le ragioni gia’ indicate nel ricorso.
La Regione Toscana ribadisce, poi, le argomentazioni gia’ svolte
nel ricorso e relative alla violazione del principio di leale
collaborazione e dell’art. 76 Cost., aggiungendo che la lesione di
quest’ultimo precetto costituzionale comporta la compromissione di
attribuzioni regionali.
Quanto all’art. 49 del d.lgs. n. 150 del 2009, la ricorrente
ripete le censure e le relative motivazioni contenute nel proprio
atto introduttivo, aggiungendo che anche la violazione dell’art. 97
Cost. si risolve nella lesione di sfere di competenza regionale.
7.2. – Anche la Regione Marche insiste nell’accoglimento delle
richieste formulate nel proprio ricorso.
Alle considerazioni svolte nell’atto introduttivo, la difesa
regionale aggiunge che la censura sollevata in riferimento all’art.
76 Cost. e’ nella fattispecie ammissibile, sia perche’ la violazione
di quel parametro costituzionale comporta la lesione di competenze
costituzionalmente attribuite alle Regioni, sia perche’ l’obbligo
dell’intesa in sede di Conferenza unificata era imposto dalla stessa
legge delega n. 15 del 2009.
La ricorrente deduce altresi’ – a sostegno del proprio assunto
secondo il quale l’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150
del 2009 non puo’ essere ricondotto alla materia dell’ordinamento
civile – che lo stesso legislatore delegato, nell’elencare, nell’art.
74 del citato d.lgs. n. 150, le norme che rientravano in quel titolo
competenziale, non ha menzionato l’art. 40. In ogni caso, ad avviso
della difesa regionale, potrebbero essere considerati attinenti alla
materia dell’ordinamento civile solamente gli ultimi due periodi
dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 (in tema di
indennita’ integrativa e di collocamento in aspettativa senza assegni
dei dipendenti pubblici per il tempo di durata dell’incarico da
dirigente), onde la norma impugnata dovrebbe comunque essere
dichiarata illegittima nella parte in cui estende alle Regioni tutti
gli altri precetti contenuti nell’art. 19, commi 6 e 6-bis, del
d.lgs. n. 165 citato.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Piemonte, Toscana e Marche impugnano l’art. 40,
comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150
(Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di
ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), nella
parte in cui ha introdotto nell’art. 19 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il comma 6-ter, secondo
il quale i precedenti commi 6 (disciplinante le condizioni per
l’affidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni
all’amministrazione conferente) e 6-bis (in tema di calcolo delle
percentuali di incarichi attribuibili agli esterni) del citato art.
19 si applicano anche alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma
2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle Regioni e agli
enti locali, deducendo la violazione degli artt. 76, 117, terzo e
quarto comma, e 119 della Costituzione.
Le Regioni Toscana e Marche sostengono che la disposizione
impugnata contrasterebbe anche con l’art. 76 Cost., perche’ non e’
stata oggetto di intesa o di parere in sede di Conferenza unificata,
come richiesto dall’art. 2, comma 2, della legge delega 4 marzo 2009,
n. 15 (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della
produttivita’ del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza
delle pubbliche amministrazioni nonche’ disposizioni integrative
delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro e alla Corte dei conti). La Regione Marche aggiunge che la
disposizione censurata, recando una disciplina concernente i limiti e
le modalita’ di accesso agli incarichi di dirigente pubblico a
contratto, esorbiterebbe dall’ambito oggettivo della delega,
circoscritto alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti
pubblici.
Ad avviso delle ricorrenti, la norma, poi, violerebbe l’art. 117,
quarto comma, Cost., poiche’ attiene alla materia, di competenza
residuale regionale, dell’organizzazione delle Regioni e degli enti
pubblici regionali. La Regione Marche aggiunge che il predetto
precetto costituzionale sarebbe leso anche perche’ la norma, nella
parte in cui si riferisce agli enti locali, sarebbe riconducibile
alla materia dell’organizzazione amministrativa e ordinamento del
personale degli enti locali, anch’essa di competenza residuale delle
Regioni.
In via subordinata, ritenendo la norma attinente alla materia del
coordinamento della finanza pubblica, le Regioni Toscana e Marche
deducono la lesione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.,
poiche’ essa pone un vincolo puntuale all’autonomia finanziaria delle
Regioni e non e’ idonea a realizzare l’effetto di contenimento della
spesa pubblica.
1.1. – La Regione Toscana impugna anche l’art. 49, comma 1, del
d.lgs. n. 150 del 2009, il quale sostituisce l’art. 30, comma 1, del
d.lgs. n. 165 del 2001, che ora prevede che tutte le amministrazioni,
e dunque anche le Regioni, prima di procedere all’espletamento di
procedure concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, debbano
«rendere pubbliche le disponibilita’ dei posti in organico da
ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre
amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta» e che
«il trasferimento e’ disposto previo parere favorevole dei dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e’ o sara’
assegnato».
Ad avviso della ricorrente, il predetto art. 49 violerebbe l’art.
97 Cost., perche’ limita il reclutamento del personale mediante il
concorso pubblico, nonche’ l’art. 117, quarto comma, Cost., poiche’
incide sull’autonomia organizzativa delle Regioni, introducendo un
impegnativo onere per l’amministrazione e limitando la sua
possibilita’ di ricercare, scegliere ed assumere il personale piu’
preparato.
2. – In ragione della parziale connessione oggettiva, i giudizi
debbono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3. – Le questioni di legittimita’ costituzionale dell’art. 40,
comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 150 del 2009,
sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119
Cost., non sono fondate.
3.1. – La norma impugnata dispone l’applicabilita’ a tutte le
amministrazioni pubbliche della disciplina dettata dall’art. 19,
commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi
dirigenziali conferiti a soggetti esterni all’amministrazione.
Si tratta di una normativa riconducibile alla materia
dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., poiche’ il conferimento di incarichi dirigenziali a
soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza
mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto
privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di
tale contratto, cosi’ come quella del rapporto che sorge per effetto
della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla
materia dell’ordinamento civile.
In particolare, l’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001
contiene una pluralita’ di precetti relativi alla qualificazione
professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto
esterno, alla durata massima dell’incarico (e, dunque, anche del
relativo contratto di lavoro), all’indennita’ che – a integrazione
del trattamento economico – puo’ essere attribuita al privato, alle
conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale
preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale
massima di incarichi conferibili a soggetti esterni (il successivo
comma 6-bis contiene semplicemente una prescrizione in tema di
modalita’ di calcolo di quella percentuale).
Tale disciplina non riguarda, pertanto, ne’ procedure concorsuali
pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, ne’ la scelta delle
modalita’ di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata
nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere
posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto,
ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed e’ pertanto
riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che
l’amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui
conferisce l’incarico dirigenziale.
Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 119 Cost., appunto perche’ la norma impugnata non attiene a
materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza
pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli
uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensi’ alla
materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva statale.
3.2. – La stessa questione, sollevata in riferimento all’art. 76
Cost., e’, invece, inammissibile.
Dato che nella fattispecie, come si e’ visto sub 3.1, non si
verte in materia di organizzazione degli uffici regionali, bensi’ in
materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto alla
quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato, la pretesa
violazione del parametro costituzionale invocato non comporterebbe
lesione di alcuna attribuzione regionale. Da qui l’inammissibilita’
della censura.
4. – Passando alle questioni sollevate dalla Regione Toscana
sull’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, quella promossa in
riferimento all’art. 97 Cost. e’ inammissibile.
La Regione deduce la violazione di un precetto costituzionale
diverso da quelli attinenti al riparto di competenze tra Stato e
Regioni e, nella fattispecie, il preteso contrasto con l’art. 97
Cost. non ridonda nella compressione di sfere di attribuzione
costituzionalmente garantite alle Regioni.
4.2. – La questione sollevata in riferimento all’art. 117, quarto
comma, Cost., invece, non e’ fondata.
La norma impugnata non appartiene ad ambiti materiali di
competenza regionale, bensi’ alla materia dell’ordinamento civile.
L’istituto della mobilita’ volontaria altro non e’ che una
fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la cessione del
contratto e’ un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt.
1406-1410). Si e’, pertanto, in materia di rapporti di diritto
privato e gli oneri imposti alla pubblica amministrazione dalle nuove
disposizioni introdotte dall’art. 49 del d.lgs. n. 150 del 2009
rispondono semplicemente alla necessita’ di rispettare l’art. 97
Cost., e, precisamente, i principi di imparzialita’ e di buon
andamento dell’amministrazione.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi;
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo
2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivita’ del
lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni), promosse, in riferimento all’art. 76 della
Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche con i ricorsi indicati
in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009,
promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119
della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche con i
ricorsi indicati in epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009
promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in
riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Mazzella

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 12 novembre 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *