Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 13-06-2011, n. 23640 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 28/5/07, dichiarava Z.P. responsabile dei reati di cui all’art. 61 c.p., n. 7, art. 81 c.p., comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 e art. 8, e lo condannava alla pena di anni 2 mesi 9 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie.

La Corte di Appello di Brescia, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 9.3.2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa dello Z., con i seguenti motivi:

– vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per le condotte ad esso ascritte: nonchè erronea ed eccessiva quantificazione della pena, visto che le predette condotte sono state poste in essere in un arco di tempo assolutamente limitato e circoscritto:

– i reati contestati dovevano essere dichiarati estinti per maturata prescrizione.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

Il discorso giustificativo, sviluppato dal giudice di merito a sostegno della affermazione della responsabilità del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti, è logico e corretto.

La censura mossa col primo motivo di impugnazione denuncia una non corretta lettura delle emergenze istruttorie, nonchè contraddittoria e insufficiente motivazione nel prospettare la interpretazione che di esse il decidente ha fornito.

Orbene, la Corte territoriale è pervenuta nella convinzione della colpevolezza dell’imputato evidenziando che le risultanze probatorie hanno permesso di rilevare la inesistenza di contatti commerciali tra la AZ s.r.l.. facente capo allo Z. e la Metal Center, tanto che le fatture in uso a tale società, pur riportando i medesimi dati, risultavano graficamente diverse da quelle prodotte dal prevenuto: nonchè la inconsistenza dell’assunto di quest’ultimo, tendente ad evidenziare la propria buona fede sulla identità effettiva del fornitore, e, quindi, dei costi documentati, in quanto si sarebbe sempre servito, per effettuare le operazioni de quibus, di un intermediario, del quale il prevenuto ha fornito un nome, il numero di cellulare e una ipotetica zona di residenza, dati in base ai quali gli agenti non sono stati posti in grado di identificare alcun soggetto corrispondente alle caratteristiche indicate.

Peraltro, ad avviso del decidente, l’intera struttura probatoria permette di escludere la inconsapevolezza dell’imputalo della natura l’inizia della documentazione fiscale-contabile.

Osservasi, inoltre, clic la doglianza deve ritenersi totalmente priva di pregio, in quanto tende ad una evidente rivalutazione della piattaforma probatoria, sulla quale al giudice di legittimità è precluso di procedere ad un riesame estimativo.

Esula, infatti, dai poteri di questa Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa, quindi, integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Al giudice di merito spetta di argomentare il punto di individuazione del quadro probatorio e di spiegazione del proprio convincimento sulla ricostruzione dei fatti: sulla relativa motivazione è conferito alla Corte di Cassazione solo il compito di verificare la adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni con le quali si sia dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sè stessi e nel loro reciproco collegamento.

Al contrario, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e della osservanza della legge, non può divenire giudice della prova, in particolare non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (ex plurimis Cass. 6.3.03, Di Folco).

Del pari manifestamente infondata è la censura relativa al trattamento sanzionatorio, visto che la Corte territoriale ritiene di dovere confermare il trattamento applicato dal Tribunale, atteso che la notevole gravità dei fatti, in termini di portata economica e reiterazione degli stessi, le modalità attuative della condotta illecita contestata, denotante la pericolosità sociale dell’imputato, minimamente scalfita dalle precedenti esperienze giudiziarie dello stesso, maturate per reati di notevole gravità, e costituiscono elementi ostativi ad una revisione in melius della pena.

Con il secondo motivo di ricorso viene censurata la omessa dichiarazione di estinzione dei reati contestati per intervenuta prescrizione.

La eccezione è totalmente priva di fondamento e il giudice di merito, sul punto, correttamente rileva che secondo la vecchia normativa il termine prescrizionale per entrambe le imputazioni matura in anni 15: in forza della nuova disciplina, che prevede la valorizzazione della recidiva, sia al fine di individuare il tempo di prescrizione del reato, che al fine di quantificare l’ambito temporale nel quale può agire la interruzione di tale termine, si giunge al medesimo risultato: pena base anni 6, metà per la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4 ex art. 157 c.p. anni 9 i due terzi, in forza del secondo comma dell’art. 161 c.p.p., anni 15.

Di talchè il reato commesso in data più lontana (dicembre 1998) andrebbe a prescriversi solo il 2/4/2014, dovendosi aggiungere alla data del dicembre 2013 il periodo di sospensione del decorso del termine, verificatori tra il 17/11/06 ed il 19/3/07, a causa di un differimento per astensione dei difensori dalle udienze.

Tenuto conto della sentenza del 13/672000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che lo Z. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve essere, altresì, condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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